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L’incontenibile leggerezza di un popolo: a Napoli il calcio è “na malatia”

Immagine di copertina
Credit: AGF

La città e mezzo Sud Italia sono in fermento da settimane per un titolo praticamente già vinto. Ma che fine ha fatto la tipica scaramanzia partenopea? Bando agli scongiuri. Intanto gli addobbi per l’attesa vittoria stanno già innescando un circuito virtuoso

«Si nat ncopp e quartier, però par na stranier, te guard e nun m par over. Malatì, malatì, pe me tu si na malatia». Questo breve estratto è un verso di un brano di Ciccio Merolla, cantautore napoletano, divenuto famoso nelle trepidanti settimane che precedono il raggiungimento di un obiettivo tanto atteso dai partenopei: la vittoria dello scudetto. E il tifo per il Napoli è così, “na malatia” (una malattia). Una passione malata, una patologia di cui accetti tutto, gioie e dolori. E i napoletani questo lo sanno fare bene. Aspettano questo momento da 33 anni. Ma si può dire che lo scudetto è quasi matematicamente vinto? No. Non sia mai. Eppure la città, l’hinterland, la Campania e tanti altri centri del Sud Italia sono in fermento ormai da settimane.

Per chi conosce Napoli, ci è nato e la vive ogni giorno, risulta quasi presuntuoso voler descrivere questo incredibile entusiasmo, questa gioia spudorata, gridata, esibita. E non basta una fugace visita nella città per capire cosa davvero significhi il calcio Napoli, la squadra, per questo luogo, per i suoi abitanti. Maglie e gagliardetti spuntano ad ogni angolo della città partenopea, ma anche in altri Paesi del mondo fervono i preparativi per la festa tricolore. Ma che fine ha fatto la scaramanzia tipica napoletana? Si potrebbe dire che il napoletano ha abdicato agli scongiuri a favore di un circuito virtuoso che questi abbellimenti per i festeggiamenti stanno innescando.

Sentieri azzurri
La città, è inutile negarlo, sta godendo della ricchezza che turisti e tifosi portano per ammirare l’incredibile mirandola di luci, colori, suoni, sapori e profumi che solo gli abitanti del Vesuvio sanno creare intorno a una festa che non finisce mai. Tanto per cominciare un pasticcere dei Quartieri Spagnoli ha inventato la torta Osimhen, in poche ore ne ha vendute duemila. E già ne prepara altre. Per la gioia di tanti golosi. E così possiamo provare i panini con il volto di Maradona, le bombette al cioccolato dedicate ancora al bomber nigeriano, o i cocktail intitolati ai calciatori. Sacro e profano campeggiano uno accanto all’altro, sempre uniti dalla fede, calcistica e religiosa. San Gennaro e Maradona svolazzano tra i vicoli della città, unendo balconi e palazzi. Bandiere azzurre inneggiano a ogni angolo, con i gadget che spuntano sulle bancarelle del centro.

L’arteria principale che collega via Foria a Porta Capuana è un sentiero tutto d’azzurro adornato. Una cinquantina di striscioni da sei metri per un metro e mezzo, uno per ogni incrocio, tra un palo della luce e l’altro, tra palazzine dirimpettaie, come omaggio trionfale agli azzurri di Luciano Spalletti. Un lavoro che ha richiesto sette giorni di preparazione certosina nei minimi dettagli.

Uno degli ultimi interventi è stato realizzato su una scalinata di un vicolo dei Quartieri Spagnoli dove decine di bandiere fanno da sipario ad una scalinata azzurra sui cui è stato dipinto un grande scudetto. Una scalinata che non poteva chiamarsi che “Salita Paradiso”.

Ma la scaramanzia resta, se si è partiti a bomba, ora c’è maggiore cautela. Ma la gioia non si ferma. Prima c’era il coprifuoco alle 19, ora la gente è orgogliosa della sua città e se la gode.

La pretesa di riscatto
Napoli non è certo quella di 30 anni fa. Molte cose sono cambiate. Tutto cambia a Napoli, per non cambiare mai. Anche se non è universalmente vero. Oggi si può assaporare il clima di festa in una città che non chiede più un riscatto, ma che lo rivendica. Sono tantissimi i cittadini che adesso tengono cucito il nome di Napoli come stemma da mostrare e da far vivere anche in quegli anfratti, in quei quartieri un tempo inaccessibili, sotto il dominio dei clan, teatri di sparatorie e vendette trasversali.

No, la camorra non è sparita, semmai ha cambiato forma. E per certi versi è ancora più potente, prepotente e pericolosa di prima. Colpisce ovunque, si insinua capillarmente ed è anche emigrata. Ma oggi è un fenomeno che ha lasciato alle istituzioni più spazio e modo per ripulire. Rimettendo a posto, a nuovo, quei luoghi un tempo vietati. Come non pensare ai Quartieri Spagnoli. Oggi sono un’attrazione turistica, un dedalo di viuzze colorato, pieno di bandierine, pizzerie, ristoranti, bar, negozietti e case dove si consuma la vita senza nascondersi al viandante. I tipici vasci (i bassi), ad esempio, sono richiestissimi dal mercato immobiliare e vengono ristrutturati in ottica turistica e trasformati in B&B di lusso. Il quartiere è folkloristico, queste viuzze sprizzano “napoletanità” da ogni angolo, tra panni stesi, murales, monumenti e palazzi storici. I Quartieri Spagnoli sono un reticolo di strade che si sviluppa tra Corso Vittorio Emanuele, in alto, e Via Toledo, in basso, strade importanti che ospitano le residenze della ricca borghesia e le attività commerciali più antiche e tradizionali di Napoli.

Quando sono nati, i Quartieri Spagnoli avevano una vocazione precisa: era il XVI secolo e dovevano accogliere i militari spagnoli addetti a soffocare eventuali rivolte della popolazione (da qui il nome). Erano anche, però, dimora temporanea per altri soldati di passaggio, diretti verso altri luoghi di conflitto. Fu proprio questa natura iniziale a dettare legge su quello che, purtroppo, sarebbero stati questi luoghi, nonostante il tentativo del vicerè don Pedro de Toledo di debellare il fenomeno attraverso delle leggi ad hoc: quella miriadi di gelsi che invadeva il paesaggio cominciò, infatti, a contrastare con criminalità, prostituzione e godimenti lussuriosi di ogni tipo che, all’epoca, erano la regola per “sfamare” le voglie dei militari. Una cattiva fama che si è tramandata così a lungo che persino gli americani, durante la Seconda Guerra Mondiale, si avventuravano lì a caccia di “avventure” di questo tipo.

Venti anni fa il turista aveva paura di entrare nei Quartieri, o a Forcella, o nella Sanità. Erano posti off limits. Oggi sono diventati meta privilegiata del turismo. Quei luoghi che hanno conservato autenticità e nel frattempo voglia di riscatto.

Una passione travolgente
«Il fatto che Napoli sia la sola metropoli al mondo ad avere una sola squadra di calcio rende il Napoli oggetto di un’attenzione morbosa, che va al di là del tifo e riconduce in qualche modo qualsiasi dibattito politico, economico, sociale o culturale a ciò che riguarda i giocatori e le partite. I napoletani lo hanno già visto nella seconda metà degli anni Ottanta: le emergenze quotidiane della città vengono affrontate con piglio diverso a seconda dei risultati calcistici. È come se la squadra rappresentasse lo stato d’animo di una città destinata a non essere mai ordinaria, nel bene e nel male», ci spiega Vincenzo Strino, fondatore e presidente di Secondigliano ASD e presidente di Larsec.

«In questo solco scavato dalla passione fortissima per il calcio, nel settembre scorso abbiamo fondato la Secondigliano ASD: un progetto che usa il calcio come leva sociale, in un quartiere in cui la percentuale di abbandono scolastico supera di gran lunga la media europea. Davanti a questo scenario abbiamo raggiunto subito i 100 tesserati tra i 7 e i 18 anni attraverso una regola sola: chi vuole emulare i campioni del Napoli in campo deve andare a scuola e impegnarsi ad avere un comportamento corretto a casa, in classe, ovunque: chi non studia o non si comporta bene, non gioca. Questo è possibile grazie ad un patto con i genitori i quali si impegnano a segnalarci le possibili lacune scolastiche o problematiche di tipo caratteriale, in modo da potergli offrire un supporto che sia didattico o di natura specialistica in modo del tutto gratuito (come tutte le nostre attività), grazie ai tanti volontari che hanno sposato la causa. L’idea di una comunità che usa la scusa del calcio per riunirsi dopo tanti anni di faida camorristica che aveva diviso il territorio in più fazioni ha generato tantissimo entusiasmo, al punto che anche molti genitori dei nostri atleti oggi fanno parte del team dei volontari e altre squadre, tra cui le due campane di Serie A, ci coinvolgono di continuo in attività che tengono i ragazzi lontani dalla strada e concentrati su quello che è il loro futuro».

Ed è per questo che il rapporto simbiotico tra Napoli e il calcio non può che trovare in queste settimane palpitanti la raffigurazione più azzeccata. Lo Scudetto è ben nascosto, non si nomina e lo si attende come un dono dei Re Magi. Nel frattempo, però a Napoli si sta allegri, perché è la sua natura.

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