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Migranti, naufragio del primo luglio in Tunisia: recuperati 72 corpi. L’appello di Unhcr e Oim: “Rilasciare i 5.600 detenuti in Libia”

Immagine di copertina

Migranti morti, naufragio del primo luglio in Tunisia: recuperati 72 corpi

MIGRANTI MORTI NAUFRAGIO TUNISIA – Altre decine di corpi sono stati rinvenuti a seguito del naufragio di un gommone, con a bordo oltre 80 migranti, avvenuto lo scorso primo luglio al largo delle coste della Tunisia, nei pressi di Zarzis. Il totale delle persone recuperate è salito oggi a 72, come riferito tra gli altri dalla Reuters, citando la Mezzaluna rossa.

S&D

La maggior parte delle vittime sono state rinvenute proprio nei pressi di Zarzis, nel Sud Est della Tunisia, alcune al largo dell’isola di Djerba.

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Secondo le dichiarazioni raccolte da uno dei sopravvissuti dall’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) a bordo del gommone partito dalle coste libiche di Zwara in direzione Italia, vi erano 86 persone. E solo tre sono stati i sopravvissuti.

migranti naufragio tunisia
Mappa da Google Maps: Zarzis, Tunisia

Migranti, Unhcr e Oim: rilasciare i 5.600 detenuti in Libia

L’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, e l’Oim intanto in un comunicato congiunto “chiedono che i 5.600 rifugiati e migranti attualmente detenuti nei diversi centri della Libia siano rilasciati in modo coordinato e che ne sia garantita la protezione, oppure che siano evacuati verso altri Paesi dai quali sarà necessario reinsediarli con procedura accelerata”.

“A tale proposito, è necessario – si legge nella nota – che i Paesi acconsentano a un numero maggiore di evacuazioni e mettano a disposizione posti per il reinsediamento. Inoltre, ai migranti che desiderano fare ritorno nei propri Paesi di origine dovrebbero essere garantite le condizioni per poter continuare a farlo. Risorse supplementari sono parimenti necessarie”.

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L’Unhcr e l’Oim sottolineano poi che “la detenzione di quanti sono fatti sbarcare in Libia dopo essere stati soccorsi in mare deve terminare. Esistono alternative pratiche: dovrebbe essere consentito loro di vivere nelle comunità locali o in centri di accoglienza aperti e si dovrebbero stabilire le relative modalità di registrazione”.

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