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Lorenzo Terenzi, il marito di Michela Murgia: “Eravamo migliori amici, mi chiese di sposarla a Pasqua”

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Si sono svolti ieri i funerali di Michela Murgia, la scrittrice scomparsa a 51 anni a causa di un tumore. Meno di un mese fa aveva sposato, in articulo mortis, Lorenzo Terenzi. I due erano da tempo legati nella famiglia queer di Murgia. In questo modo è stato possibile riconoscere il loro legame familiare anche dopo la morte della scrittrice.

In un’intervista al Corriere della Sera, Terenzi ha parlato del loro rapporto, che ha definito una “amicizia che ha continuato a fiorire nel tempo”. I due si sono incontrati in Sardegna nel 2017: “Lei stava lavorando a Quasi Grazia, uno spettacolo teatrale tratto dal libro di Marcello Fois. Io ero stato chiamato all’ultimo come aiuto regista. Era la prima volta che Michela faceva teatro professionale e io mi occupavo tanto del training, gli esercizi che si fanno prima. Per fare bene il mestiere dell’attore devi entrare in contatto con parti molto profonde di te. Questo ci ha fatto legare. È stata generosissima fin dall’inizio. Siamo diventati subito amici, poi confidenti, e negli anni “migliori amici”, come diceva”.

Nella loro relazione “non c‘è mai stato niente di sessuale, era un’amicizia evoluta all’ennesima potenza”, ha spiegato Terenzi. “Siamo fioriti uno accanto all’altra”. Un matrimonio il loro arrivato a seguito della malattia della scrittrice: “Lei ha avuto bisogno di me e mi ha chiesto di fare questa cosa che altrimenti non avrei mai fatto, perché non eravamo mai stati fidanzati, non c’era mai stato niente oltre all’essere fratello e sorella, due esseri umani che si erano incontrati in maniera profonda. Abbiamo riso di cose stupide e pianto di cose difficili”.

La proposta, spiega l’uomo, è arrivata “più o meno verso Pasqua”, quando Murgia credeva di avere un’aspettativa di vita di quattro anni. “Mi disse: “Se tra qualche anno sei libero ti va di sposarmi? Così potrò avere vicino una persona di cui mi fido per farla decidere al posto mio”. Ho detto subito di sì. Poi il quadro clinico è cambiato e mi ha detto che dovevamo anticipare”.

Negli ultimi giorni della sua vita, prima di morire “serenamente, intorno a lei le persone che le volevano bene”, Michela Murgia ha mantenuto “un impressionante controllo lucido fino all’ultimo: il motore è l’amore”. Ha deciso molti aspetti della sua cerimonia funebre, anche il vestito da indossare nella camera ardente in camera sua (“un kimono fantasia e sotto aveva un vestito verde”). Nei giorni scorsi ha anche “dettato un libro a Riccardo Turrisi, uno dei suoi figli d’anima: faceva parte della comunità del gioco di ruolo Lot, si erano conosciuti tanti anni fa. È uno scienziato dei materiali, molto veloce a trascrivere tutto”.

“Le dava fastidio non poter lavorare a battaglie importanti, come la gestazione per altri, i diritti delle donne trascurate, i migranti. Ci pensava anche quando stava male”, racconta ancora Terenzi. “Ogni artista è scomodo. L’ho sempre trovata una donna molto centrata. E simpaticissima: io sono toscano, eravamo un mix letale di cavolate”. Negli ultimi momenti, ha detto Terenzi, non sono servite parole. “Sembravamo una coppia di ottantenni felici, ai quali basta uno sguardo per capirsi. Nel suo ultimo sguardo, mi ha detto tante cose e nessuna”.

“Non si è mai sentita in un ospedale: a volte, anzi, ci riprendeva perché non eravamo pronti subito”. C’erano anche dei litigi, “in modo scherzoso. Per esempio: le avevano regalato un fischietto e pretendeva di usarlo come richiamo. Così quando fischiò le risposi con una parolaccia. Poi, scoppiammo a ridere”, aggiunge il marito. Su tutti, un gesto che gli mancherà è “il bacino che le davo sulla fronte ogni volta che uscivo dalla sua stanza”.

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