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L’esercito dei fuorisede: 5 milioni di elettori esclusi dal voto

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Da anni il Parlamento non riesce a correggere una legge piena di falle che non garantisce a chi studia o lavora lontano dal comune di residenza di esercitare un diritto sacrosanto. L'articolo sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale, in edicola da venerdì 9 settembre

Fabrizio (nome di fantasia) ha 24 anni ed è uno studente fuorisede di Medicina. Quando gli italiani sono andati alle urne per le elezioni del 2018 non ha votato: era all’inizio del suo percorso di studi a Milano e non poteva permettersi di perdere denaro e tempo per volare in Sicilia. «Per le elezioni del 25 settembre mi sarebbe piaciuto finalmente esercitare il mio diritto, ma sarò in piena sessione d’esami», racconta a TPI. Fabrizio è uno dei 4,9 milioni di studenti o lavoratori (pari al 10,5 per cento del corpo elettorale) che secondo i dati Istat svolgono la propria attività lavorativa o frequentano corsi di studio scolastici o universitari in luoghi diversi dalla Provincia o Città metropolitana di residenza. Tra questi, gli elettori che per rientrare al luogo di residenza impiegherebbero oltre 4 ore (tra andata e ritorno) attraverso la rete stradale sono 1,9 milioni, pari al 4 per cento degli aventi diritto. «Con alcuni colleghi abbiamo chiesto ai professori di spostare le date degli appelli, o di consentire lo svolgimento delle prove a distanza per favorire gli spostamenti, ma le risposte positive sono arrivate a macchia di leopardo», spiega Fabrizio. «Alcuni non hanno proprio dato riscontro, e nel frattempo i prezzi dei biglietti aerei aumentano. Per me, inoltre, tornare a casa vuol dire perdere mezza giornata di studio. Temo che non ci riuscirò a votare neanche stavolta».

S&D

La storia di Fabrizio ricorda quella di Stefano La Barbera, Presidente Comitato “Iovotofuorisede”, che dal 2008 si batte affinché sia consentito ai fuorisede di votare lontano dal comune di residenza. «Io sono palermitano e all’epoca studiavo al Politecnico di Torino», racconta a TPI, che lo ha contattato telefonicamente. «Ho fondato il comitato insieme a un gruppo di studenti che, come me, per l’ennesima volta non sarebbero riusciti a votare. Sono passati 14 anni da allora, e ancora il problema continua a persistere, nonostante i numerosi appelli e le raccolte firme che sono state fatte. Ad oggi abbiamo una raccolta firme che è arrivata a quasi 40mila sottoscrizioni, e ogni giorno cresce il numero di firmatari. Ma la politica non è ancora stata in grado di dare risposte concrete».

Secondo il Libro bianco “Per la partecipazione dei cittadini, come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, presentato il 14 aprile 2022 dalla Commissione istituita dal ministro Federico D’Incà e coordinata dal professor Franco Bassanini per indagare e affrontare la questione dell’astensionismo, l’obbligo di spostamento per i fuorisede è tra le principali cause del cosiddetto “astensionismo involontario”, ossia la mancata partecipazione al voto per motivi indipendenti dalle proprie scelte politiche.

Un problema tutto italiano

Il sistema elettorale italiano prevede che ogni cittadino sia iscritto alle liste elettorali del comune di residenza, e che voti recandosi personalmente al seggio assegnatogli. Nelle Faq pubblicate sul sito del Viminale si legge che «la legge prevede che possano votare in Italia fuori del comune di residenza solo alcune categorie di elettori, come quelli ricoverati in ospedali e case di cura, militari, naviganti, i componenti dell’Ufficio elettorale di sezione e le Forze dell’ordine; inoltre i rappresentanti di lista, designati dai partiti, possono votare presso il seggio in cui svolgono tali funzioni qualora siano elettori dello stesso collegio plurinominale alla Camera e della stessa regione al Senato. Per gli elettori che, non rientrando in tali categorie, per esercitare il diritto di voto devono raggiungere il comune di residenza recandosi presso il proprio seggio di iscrizione elettorale, sono previste agevolazioni tariffarie per viaggi in treno, aereo o nave».

Ma la questione del voto fuorisede è un problema che in Europa riguarda praticamente solo l’Italia. Gli unici altri due Paesi che non hanno una legge apposita per il voto a distanza dentro i confini nazionali sono infatti Malta e Cipro, due realtà geograficamente molto piccole, per le quali gli spostamenti interni non sono un grosso problema. La stessa cosa non può dirsi per lo Stivale. «Il nostro Paese ha una conformazione geografica molto allungata, percorsa da montagne. Molto spesso l’unico vettore per spostarsi è l’aereo, con i relativi costi», sottolinea La Barbera. Il problema è presente in tutto il territorio nazionale, aggiunge, ma riguarda specialmente i collegamenti col Sud e le Isole. Infatti, le Province del Mezzogiorno, dove risiede circa il 35 per cento degli elettori fuorisede, sono quelle che esprimono la quota più consistente (oltre la metà) dei potenziali spostamenti “lunghi” dei propri cittadini, come riporta il Libro bianco. Secondo i dati contenuti nella pubblicazione, l’incidenza sul corpo elettorale di chi deve rientrare “da fuori” è pari in media al 6 per cento nelle Isole e al 5,8 per cento nel Sud, con punte superiori all’8 per cento nelle Province di Matera, Taranto e Sassari.

Partecipare alle elezioni del 25 settembre per i fuorisede sarà anche più difficile del solito, secondo La Barbera. «Siamo in una fase dell’anno abbastanza sensibile, in cui gli studenti sono rientrati nelle proprie sedi, sono in piena sessione d’esami, quindi è difficile anche pensare di dover prendere un biglietto aereo per tornare. Dall’altro lato anche i lavoratori sono magari rientrati da poco dalle ferie, da cui si torna spesso col portafoglio vuoto. Tra l’altro con l’aumento delle tariffe e dell’inflazione, l’esborso economico diventa ancora più rilevante».

Eppure, i tentativi di risolvere la situazione ci sono stati. Durante la legislatura in corso, infatti, sono state presentate cinque proposte di legge sul tema, ma dinanzi a esse sono state sollevate alcune obiezioni da parte del ministero dell’Interno, fra cui i possibili ritardi nello spoglio delle schede e il rischio di riconoscibilità del voto nei casi in cui un solo elettore voti in un’altra città, a distanza, per il proprio comune di residenza. «Dopo il Libro bianco, grazie al lavoro come comitato e come “Rete Voto Sano Da Lontano”, che da circa due anni raccoglie decine di realtà associative della società civile, eravamo riusciti a trovare una convergenza», spiega La Barbera. «Lo studio conteneva infatti anche delle proposte operative rivolte al governo, accettate dal ministero dell’Interno, che ha partecipato con un suo componente alla commissione di studio. Si era trovato un accordo di maggioranza di governo, che coinvolgeva praticamente tutto l’arco parlamentare, a parte Fratelli d’Italia, partito che comunque non ha mai manifestato una contrarietà a questo disegno di legge: è infatti un provvedimento che non toglierebbe niente a nessuno, semmai andrebbe a sanare una ferita da troppo tempo aperta». Il testo di legge unificato sarebbe dovuto quindi arrivare in Commissione e iniziare il suo iter, ma la fine anticipata della legislatura costringe di fatto a ricominciare tutto daccapo dopo le prossime elezioni. «Le forze politiche non sono riuscite, nonostante le promesse fatte, ad approvare una legge prima delle elezioni», conclude La Barbera. «Per questo abbiamo rivolto loro due richieste specifiche. La prima è che i partiti politici si prendano la responsabilità di chiedere al governo in maniera unitaria di stanziare i soldi per almeno il 100 per cento dei rimborsi. Infatti, al momento sono previste solo agevolazioni parziali sul prezzo del biglietto. In secondo luogo, abbiamo indirizzato a tutti i leader politici una lettera aperta, chiedendo di impegnarsi pubblicamente a promulgare la legge per l’utilizzo del voto a distanza entro sei mesi dall’inizio della legislatura. In passato, infatti, la politica ha sempre messo dinanzi a questo intervento altre priorità, salvo poi arrivare al momento delle elezioni e rendersi conto solo allora che ci sono 5 milioni di persone che non possono votare. È tempo che le cose cambino».

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