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“Mio figlio fu ucciso senza una ragione”. La lettera del padre di Federico Aldrovandi per l’anniversario della morte

Immagine di copertina
Federico Aldrovandi

Federico Aldrovandi è stato ucciso il 25 settembre 2005. A ricordarne l'anniversario della morte è suo padre, con un post su Facebook

L’anniversario della morte di Federico Aldrovandi

“Non c’è più musica e non ci sono più colori nella vita, quando ti viene a mancare l’aria e il profumo del respiro di un figlio”. Sono le toccanti parole di Lino Giuliano Aldrovandi. Suo figlio, Federico Aldrovandi, moriva il 25 settembre 2005. Oggi ricorrono 14 anni dalla sua morte.

Il padre ne ricorda l’anniversario in un post su Facebook.

Federico Aldrovandi è morto a Ferrara a seguito di un controllo di polizia, aveva 18 anni. “Il 17 luglio 2005 compiva 18 anni per sempre”. Si legge nella lettera. Il padre riporta l’orario della morte, le “6.04 circa” del 25 settembre 2005 e i nomi dei colpevoli, quattro agenti dalla Polizia di Stato.

“Federico non c’è più. È la cruda realtà che rivedo attraverso un’immagine orribile che mai nessun genitore vorrebbe vedere” scrive il padre nella lettera. E allega una foto del corpo martoriato del figlio. “Quell’immagine terribile fummo costretti a renderla pubblica a quei tempi, – continua – dall’inerzia di tante cose. Ma poi una piccola strada verso una piccola giustizia si aprì”.

Il padre ricostruisce la vicenda: “Bastonato di brutto per mezz’ora, di cui due manganelli ritornati in Questura risultarono rotti (atti processuali), con alla fine impresse sul suo corpo ben 54 ferite e non solo…, causate da un’azione improvvida e violenta che arrivò a spezzargli il cuore per una forte compressione o per un forte colpo… – (atti processuali), da persone definite in Cassazione dal procuratore generale durante la sua arringa: ‘schegge impazzite'”.

“Una cosa è certa, Federico non morì di malore, ma di ben altro. Fu ucciso senza una ragione. Anche se di ragioni per uccidere non potranno mai essercene”, continua il padre.

“Ucciso senza una ragione” furono pure la parole che il giudice pronunciò il 6 luglio 2009, quando gli agenti vennero condannati a 3 anni e mezzo per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. Il 21 giugno 2012 la Corte di cassazione ha confermato la condanna. Lino Giuliano Aldrovandi però denuncia che quegli agenti “assurdamente ancora in divisa […] sono ancora in servizio”. Tre dei quattro poliziotti, infatti, sono tornati a lavorare nel 2014.

Gli agenti “hanno già scontato la loro pena, così secondo la legge degli uomini, ma sono convinto […] – dice il padre – che il giudice più severo rimarrà la loro coscienza di uomini e sopratutto di genitori”.

“Per me invece fino alla fine dei miei giorni – conclude papà Aldrovandi – sarà un ergastolo senza appello, con la sola speranza che ciò che è accaduto a Federico non accada mai più a nessun figlio”.

A fondo di quella che ha le caratteristiche di una lettera, con tanto di firma alla fine, c’è una postilla: “Vi chiedo cortesemente di non proferire offese ad alcuno per rispetto di Federico – scrive il padre – per non far sentire “vittima” chi non lo è, e non lo sarà mai”.

“Bastano solo dei piccoli cuori che arrivino dal vostro, per chi li voglia lasciare. Nient’altro”. E gli utenti, in pochi minuti, hanno inondato il post di tanti cuori rossi.

Che male c’è: la canzone di Valerio Mastandrea e Riccardo Sinigallia per ricordare Federico Aldrovandi
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