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“Mi disse ‘stai zitta’ e mi violentò la notte di Natale mentre vomitavo”: Maria, drogata e stuprata dal cugino

Immagine di copertina

Donna violentata Natale cugino – “Era la notte di Natale, ero andata a ballare con la mia comitiva di sempre. Mio cugino mi chiamò all’ultimo secondo per aggregarsi. Insistette. Gli dissi che non c’era posto. Insistette. Feci di tutto per farlo entrare e alla fine ci riuscii. Poi arrivarono i drink e fu la fine”.

S&D

Questa è la storia di Maria (nome di fantasia). La sua vicenda si consuma nel Natale del 2017 in un paesino in provincia di Napoli. Maria a soli 21 anni vive una delle esperienze più traumatiche della vita. Il suo coraggioso racconto che riporta a TPI è una testimonianza dell’importanza dei centri antiviolenza, che in particolari contesti diventano ancora più preziosi, specie quando si resta soli contro tutti.

Cosa successe quando arrivarono i drink?

Mio cugino insistette molto per essere lui ad offrirmi da bere e tornò con i bicchieri. Dopo aver bevuto non capii più nulla.

Mi sentii male, mi addormentai di sasso, le mie amiche volevano portarmi in ospedale ma mio cugino insistette per assistermi lui stesso.

Poi cosa accadde?

Mi risvegliai in una terreno. Mio cugino aveva abusato di me, e lo aveva fatto mentre stavo male. Mentre vomitavo, con me che ero del tutto incosciente. Poi, come nulla fosse accaduto, mi riportò a casa. Abitavamo nello stesso palazzo. Io corsi a dormire da mia nonna. Dormivo e mi svegliavo, sapevo quello che era successo, ma facevo fatica a ricostruire gli eventi.

Non so cosa avesse messo nel mio drink, ma stetti male per due giorni. Dormivo, mi svegliavo e vomitavo. Ebbi dei flashback e iniziai a ricostruire l’accaduto.

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Come riuscisti a raccontare quello che ti era successo e a chi?

Ne parlai con la mia migliore amica e poi con mia madre, la quale inizialmente aveva paura. Partì da me la decisione di denunciare. Con mio padre non me parlammo per paura. Mio cugino lavorava con lui e non volevamo dirglielo fino a cose fatte.

Tua madre ti accompagnò a denunciare la violenza?

Sì, trovammo la forza per farlo e anche le mie amiche mi diedero supporto.

E tuo padre?

Ho dovuto portare questo segreto e stavo male. Decidemmo di dirglielo il giorno dell’arresto di mio cugino. Lo portammo a casa dei miei zii e lo facemmo sedere, tutti noi parenti ci sedemmo intorno a lui. Mio padrà sbiancò quando gli raccontammo quello che mio cugino aveva fatto. Non parlava più. È rimasto sotto shock per giorni.

A te cosa successe?

Fui trasferita nel centro antiviolenza dell’Associazione Terra Viva di Qualiano, dove mi diedero un supporto psicologico, supporto del quale si avvalsero anche i miei genitori. Mio padre non poteva immaginare una cosa del genere, mio cugino stava a casa nostra tutti i giorni.

Non ha mai sospettato nulla, era un rapporto tra cugini.

Tuo cugino si è mai scusato?

Rispetto a quella violenza mio cugino diede tante versioni differenti. All’inizio negò di aver commesso il fatto, poi disse che fui io a provarci con lui, che l’idea era stata mia. Poi ammise la verità e le sue colpe.

Tuo cugino è stato condannato?

Sì, a sei anni. Ora sta scontando parte della pena ai domiciliari, ha già scontato un anno e mezzo, ma il resto dovrò scontarlo in carcere. Non so come andrà. Il mio processo si è chiuso il mese scorso. Se non chiede la corte di appello 2 dovrà andare in prigione.

Si vive con la paura che queste persone escano presto e si vogliano vendicare.

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Tu come stai ora?

Adesso io convivo con il mio ragazzo, lontano da lì. Ma ho sempre contatti con il centro. Il centro mi ha salvata, è stata il mio pilastro, nel momento del bisogno ho potuto contare sul supporto degli assistenti. Ero sola, stavo denunciando una persona “di famiglia”, i parenti di mio padre erano contro di me. A parte mia madre e le mie amiche, ero sola. Al centro ho trovato la forza di combattere.

Cosa hai fatto al centro?

Al centro facevo delle terapie psicologiche, una volta ho avuto un episodio di autolesionismo. Mi diedi fuoco ai capelli. Sentivo il peso delle accuse della famiglia, dalla parte di mio padre, non mi sostenevano, non mi credevano. E non ho retto la pressione.

Al centro ho conosciuto altre persone, ho fatto terapie di gruppo, abbiamo fatto qualche lezione di auto-difesa. C’erano tante storie lì dentro. Ragazze che avevano denunciato i genitori; persone che avevano bisogno di un sostegno. Sono stata io a dover dare forza ai miei genitori. L’assistente mi ha accompagnato agli interrogatori … è stata dura. Dovevo raccontare ciò che era successo.

Cosa ti è rimasto più impresso?

La frase che mi è rimasta impressa fu mentre mio cugino mi violentava, mi disse: “Devi stare zitta, non ti preoccupare, se stai vomitando a me non me ne frega”, mentre mi asciugava il vomito.

Mio cugino aveva dei precedenti, lo sapevamo, ma a noi aveva detto che era per altro, per furto, invece era per violenza sessuale.

È strano che non si sapesse.

Alla famiglia aveva detto che aveva solo rubato i soldi a quelle ragazze, mentre le aveva pure violentate. Tutti gli avevano creduto.

I centri antiviolenza in Italia

Come testimonia la storia di Maria, i centri antiviolenza sono fondamentali per chi subisce abusi. Eppure in Italia la loro sopravvivenza è a rischio. Il governo avrebbe dovuto trasferire i 20 milioni stanziati fin dagli inizi del 2019 alle Regioni per finanziare i centri e le case rifugio, ma sta per terminare anche maggio e di quei fondi non c’è traccia nei versamenti effettuati.

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Si tratta delle risorse previste nell’ultima legge di bilancio del 2018 del governo Gentiloni nel fondo antiviolenza. Sono state aumentate rispetto agli anni precedenti ma sono anche state accompagnate da molte polemiche per un uso non corretto. La Corte dei Conti era intervenuta nel 2016 per denunciare la cattiva gestione da parte delle Regioni: si disse che il problema era creato dalla mancanza di un censimento dei centri e fu avviata un’attività di raccolta dei dati per creare la prima mappa nazionale.

Il centro antiviolenza dell’Associazione Terra Viva sta vivendo criticità legate alla mancanza di fondi necessari che dovrebbero essere distribuiti dalla regione Campania ma, come premesso, le difficoltà riguardano molti altri centri.

Da poco è stato lanciato un crowdfunding per salvare il Centro donna Lisa, che a luglio rischia di chiudere per sempre. Il motivo è un antico debito con Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica). La struttura fondata dalla Onlus Donne in genere si trova nel III Municipio a Roma, in via Rosina Anselmi 41.

Il centro rappresenta un punto di riferimento come sportello antiviolenza anche per le donne del nostro quartiere.

Le 25 operatrici specializzate che vi operano, di cui alcune avvocate e psicologhe, sono tutte volontarie e offrono sostegno a chi ha subito maltrattamenti fisici e psichici.

Donne in Genere è tra le fondatrici della rete nazionale D.i.RE, ed è uno dei centri segnalati dal numero 1522, l’help line anti violenza e stalking, promosso dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

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