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    Sfilata di bare a Bergamo, il commovente post del militare che guidava il camion: “Ci ho messo l’anima”

    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 8 Mag. 2020 alle 11:15 Aggiornato il 8 Mag. 2020 alle 11:22

    Bare Bergamo, militare che guidava il camion: “Fanno sempre parte di me”

    Forse è l’immagine simbolo dell’emergenza Coronavirus in Italia: il giorno in cui i cittadini di Bergamo hanno assistito a una sfilata di camion che portavano fuori Regione le bare con i morti a causa del Covid che non potevano essere seppelliti in città, tutta Italia ha compreso la gravità della pandemia. Adesso Tomaso Chessa, uno dei militari che quel 18 marzo era alla guida di uno degli automezzi con a bordo i feretri delle vittime bergamasche, ha rotto il silenzio su quei momenti delicati e toccanti. Su Facebook infatti, in occasione dell’inizio della Fase 2, il caporalmaggiore, 42 anni, ha affidato il suo ricordo di quella notte a un commovente post che ha fatto il giro del web.

    “Stasera termina la Fase 1. Che dire? Forse la gente non si rende conto, non ha materialmente avuto il tempo di percepire la realtà! Io vi dico la mia, anche se sono cosciente di non rendere (per fortuna) l’idea. Essere alla guida di un camion, in una giornata qualunque dove il pensiero ti porta oltre la tua quotidianità. Guidi, scambi due chiacchiere con il collega alla parte opposta della cabina, ma quando per forza di cose, per un istante, il silenzio rompe la tua routine, il tuo pensiero si posa su di loro. E realizzi che dentro quel camion non siete in due, ma in sette. Cinque dei quali affrontano il loro ultimo viaggio”.

    “Ti rendi conto – continua ancora il post del militare, originario di Sassari – di essere la persona sbagliata. Qualcuno doveva essere al posto tuo, ma purtroppo non può e tocca a te. Ed è li che sentì addosso quella grande responsabilità, qualcosa che ti preme dentro, ogni buca, ogni avvallamento sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti. Poi arrivi lì alla fine del tuo viaggio, dove ti ritrovi ad abbandonare ‘il tuo carico’. Ma ormai fa parte di te, come se ti togliessero una parte di cuore, ed è li che cerchi di capire l’identità del tuo compagno di viaggio. Delle otto persone che personalmente ho accompagnato, l’unico con cui sono riuscito è il signor Guerra, classe 1938. Pagherei oro per conoscere tutti i parenti delle otto persone e potergli dire che nonostante il contesto non avrebbero potuto fare un viaggio migliore”.

    “La cosa che mi dispiace di più – conclude Chessa nel suo ricordo del giorno del trasporto delle bare fuori da Bergamo – è che amici e familiari continuano a non rendersi conto che tutto questo non è uno scherzo. La gente muore, chi non muore soffre. Abbiate la coscienza ed il buon senso di tutelare i nostri cari che hanno la fortuna di vivere in posti più sicuri. Spero un giorno di poter conoscere i cari dei miei compagni del loro ultimo viaggio, ma se cosi non fosse sappiano che c’ho messo l’anima!”.

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