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Chat sessiste, sotto accusa l’agenzia di comunicazione We Are Social: “Foto in bikini e classifiche delle dipendenti”

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Chat sessiste, sotto accusa l’agenzia di comunicazione We Are Social: “Foto in bikini e classifiche delle dipendenti”

Molestie, commenti sessisti e classifiche delle colleghe. Scoppia il caso di We are Social, nota agenzia di comunicazione di Milano, e della chat a cui erano iscritti “tutti i maschi etero” dell’azienda. I contenuti, risalenti a circa sei anni fa, sono emersi in questi giorni sui social, dopo la denuncia fatta su Facebook dal pubblicitario Massimo Guastini, due volte presidente dell’Art Directors Club Italiano.

Una chat a cui partecipavano un’ottantina di dipendenti, su cui abbondavano commenti sessisti e foto di colleghe in bikini ignare, con tanto di classifiche aggiornate di chi aveva il fondoschiena migliore. All’ondata di indignazione, We Are Social ha risposto ribadendo la propria condanna “a qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati”.

Secondo un ex dipendente intervistato da Sara Bettoni sul Corriere, della chat facevano parte “tutti i dirigenti maschi, a eccezione dei tre capi”. “Mi sono accorto a posteriori dell’inopportunità di quella chat”, ha ammesso. “In We Are Social ho rivissuto lo stesso clima del liceo, volevo essere accettato e sentirmi integrato. Era un ambiente tossico per me, che ha fatto male anche alle mie relazioni personali”, ha proseguito Mario, che ha lavorato per l’agenzia dal 2016 al 2017. Alla chat erano iscritti “tutti i maschi etero di We Are Social. Un’ottantina di contatti, su Skype. Esisteva anche una chat di sole donne e una per la comunità arcobaleno, ma i contenuti e i toni erano diversi: in quelle si parlava di tinte, si scambiavano consigli sui ristoranti. Una chat come tante altre. Quella maschile andava oltre”.

“Ancor prima che una nuova collega arrivasse, giravano i suoi contatti social, le foto in bikini, i nomi degli eventuali fidanzati. E poi commenti al fisico, classifiche. Cose che preferirei non ripetere. Anche io sono stato autore di alcuni messaggi”, ha affermato. Quando la chat è stata scoperta, c’è stato un “fuggi fuggi generale. Poi la chat è stata cancellata. Dopo, se ne parlava quasi in modo carbonaro. A quel punto ho iniziato a riflettere. La faccenda poi è emersa varie volte dal 2017 a oggi, ma solo ora è stato fatto chiaramente il nome dell’agenzia coinvolta”.

Secondo Erica Mattaliano, un’altra ex dipendente, quella della chat “non era l’unico problema in agenzia”. “C’erano dinamiche di mobbing. Quattro persone sono andate via perché erano in burn out. Io stessa ho avuto bisogno di sostegno psicologico, non solo per questioni lavorative”, ha detto al Corriere. “I vertici pensavano che la situazione fosse più sotto controllo rispetto alla realtà

Tuttora, mi sembra che almeno due dei tre soci non abbiano compreso la portata del problema”.

In una nota, “We Are Social condanna, da sempre, qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati”, ha sottolineato We Are Social in una nota, precisando che i fatti risalgono “al periodo compreso tra il 2016-2017”. “We Are Social è da sempre impegnata nel creare un ambiente di lavoro sano e inclusivo. La società, nel corso degli anni, ha messo in atto numerose iniziative con partner qualificati affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto”.

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