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Home » Cronaca

“Le carceri sono palestre del crimine”: parla il sindacato della polizia Penitenziaria

Immagine di copertina
Credit: Geoffrey Swaine / Avalon / AGF

In cella circolano armi, telefonini e stupefacenti. I detenuti girano per i corridoi e ogni giorno si contano aggressioni agli agenti della penitenziaria. I sindacati accusano: “Questo carcere non rieduca”. Ma la ministra Cartabia non ha fatto nulla. E il Covid ha peggiorato le cose

Le carceri italiane come palestre del crimine: questo è ciò che pensa Gennarino De Fazio, Segretario generale del sindacato Uilpa della Polizia penitenziaria, dovendo tracciare un quadro della situazione negli istituti penitenziari italiani. Un’immagine sconfortante i cui problemi vanno ricercati prima di tutto nel sovraffollamento e nell’endemica mancanza di personale. La stessa ministra della Giustizia Marta Cartabia ha specificato che «su 50.832 posti regolamentari, di cui 47.418 effettivi, i detenuti sono 54.329». Una percentuale di sovraffollamento che arriva al 114 per cento e che «esaspera i rapporti tra detenuti». Un problema che rende molto più difficile il lavoro degli operatori a partire da quello della polizia penitenziaria, troppo spesso vittima di aggressioni. Nonostante questo, i numeri dei detenuti continuano ad aumentare e all’orizzonte non ci sono concrete soluzioni alternative al sistema vigente.

Il carcere può avere una funzione educativa o riabilitativa?
«Assolutamente no, neanche si avvicina a un qualcosa del genere, neanche ha la tendenza a rispondere all’art. 27 del dettato costituzionale rispetto alla finalità della pena. Tutto ciò, facendo salve pochissime eccezioni che non fanno altro che confermare la regola. Che poi serva come contenitore del disagio e come una discarica attraverso la quale si allontanano dalla società determinati tipi di elementi che possono essere tossicodipendenti, malati mentali, quello è un altro discorso, ma è qualcosa di diverso rispetto a quello che vorrebbe la Costituzione. Le carceri oggi sono la palestra del crimine, nel senso che specialmente dopo la condanna della Cedu all’Italia di qualche anno fa per trattamento inumano e degradante dovuto al sovraffollamento (che si sta ripresentando) per aggirare l’ostacolo si è fatto ricorso a un modello carcerario denominato sorveglianza dinamica, che però è stato pensato in un modo ma attuato in un altro. Quella che doveva essere una sorveglianza organizzata in un certo modo, anche mediante il ripensamento dell’organizzazione strutturale degli edifici e anche attraverso implementazione di nuove tecnologie, si è tradotta di fatto in un’apertura indiscriminata delle celle, cui ha fatto da contraltare una riduzione dell’organico della Polizia penitenziaria dovuta anche ai tagli della legge Madia. Per cui, di fatto, sono state aperte le celle dei detenuti indiscriminatamente, al di là di una vera selezione, senza una vera attività che li impegnasse nel tempo libero, senza alcuna sorveglianza. Questo ha prodotto dei traffici interni di sostanze stupefacenti, telefonini e armi, come abbiamo visto con la sparatoria di Frosinone. L’attuale procuratore antimafia Melillo dichiarò tempo fa in Commissione Antimafia che per quanti telefonini circolano nelle carceri neanche si procede più col sequestro. Questo è il quadro. Un sistema di questo tipo non può rieducare».

La riforma della Giustizia può cambiare qualcosa?
«La riforma pensata dalla ministra Cartabia non incide in alcun modo sulle carceri, né direttamente né indirettamente. Con il venir meno della “prescrizione” non può che aumentare il sovraffollamento. Il Pnrr prevede solo 8 nuovi padiglioni, praticamente nulla, specie in una situazione di deficit organico di 18mila unità. Al corpo di Polizia penitenziaria, infatti, secondo uno studio fatto dall’amministrazione penitenziaria, rispetto all’organico presente oggi di 36mila unità, ne servirebbero ancora 18mila. Nell’ultima legge di Bilancio la ministra Cartabia ha dichiarato al question time che sono previste per tutte le forze di Polizia (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, Polizia penitenziaria) 2.300 assunzioni spalmate in 10 anni, cioè fino al 2032. Di cosa stiamo parlando? Significa 50 assunzioni per corpo di polizia. Oltre che aprire i padiglioni si dovrebbe dire cosa si vuole fare lì dentro e con quale organico».

L’espressione “palestra del crimine” in che modo si evidenzia nella giornata tipo del detenuto e del poliziotto?
«Non c’è una distinzione all’interno di quelli che dovrebbero essere i circuiti penitenziari richiamati dall’ordinamento, vi è un’assegnazione del tutto promiscua dei detenuti: nell’ambito di alta sicurezza, media sicurezza, 41 bis si trovano indiscriminatamente il delinquente, il tossicodipendente, il malato di mente, quello condannato con sentenza definitiva. Questo genera anche il proselitismo. La giornata tipo si svolge in questo modo: le celle dei detenuti vengono aperte a una certa ora, diciamo intorno alle 9 e poi vengono richiuse la sera, in tutto questo periodo o vanno a passeggio, o stazionano nelle sezioni aperte con scarsa sorveglianza, con una unità di polizia penitenziaria che deve controllare a volte centinaia di persone, spesso anche su piani diversi. Questa è la giornata tipo per il detenuto e di rimando per il poliziotto che spesso viene fatto oggetto di aggressione dai detenuti. Le aggressioni gravi sono 3 al giorno. Come sindacato abbiamo avviato una procedura di accesso civico per conoscere quante fossero state le aggressioni ad opera dei detenuti nel corso del 2021. Quante fossero state le sostanze stupefacenti sequestrate e quanti telefonini, armi. Rispondendo a questa procedura è stato detto che questi dati non possono essere forniti per motivi di sicurezza pubblica, perché potrebbero favorire rivolte da parte dei detenuti. Ossia, da quei dati emerge evidentemente una vulnerabilità del sistema e certificarla significherebbe far comprendere ai detenuti che possono fare come vogliono perché il sistema non è in grado di arginarli. Ma le aggressioni alla Polizia penitenziaria sono infortuni sul lavoro, non possono essere secretati».

Il caso di S.M. Capua Vetere è uno di quelli che resta nella storia. Di recente c’è stato il rinvio a giudizio di 107 persone. Come analizzate la situazione?
«Da subito abbiamo detto che quello che è avvenuto è gravissimo e che chi ha sbagliato deve pagare, ma riteniamo che non sia un problema di mele marce ma di un sistema che non funziona. E non è più un caso isolato, su tutto il territorio italiano abbiamo diversi procedimenti penali che ipotizzano il reato di tortura: Torino, San Gimignano, Firenze, Monza. Per cui è evidente che c’è un sistema patologico. S.M.C.V. non nasce per caso, se si continua a non arginare le aggressioni ai danni degli agenti, se si continua a non arginare i traffici di droga, di armi, di telefoni interni alle carceri si alimenta un sistema che genera violenza, da una parte e dall’altra. E alla fine ci può essere la reazione inconsulta che non può essere giustificata in nessuno modo, ma che va messa in conto. È evidente che a S.M.C.V. sono successe molte cose tutte insieme che evidenziano l’inefficienza organizzativa. Si è parlato di linea di comando che non funziona, ma io chiedo qual è la linea di comando. A me pare che ognuno si alza e fa come vuole».

Sembra che non si voglia fermare questa escalation e che la Polizia penitenziaria covi disagio.
«Dal suo insediamento, non c’è un solo atto della ministra Cartabia che afferisca al carcere. Il sottosegretario Sisto parla sempre di interventi mirati, non ne abbiamo visto uno. Intanto ci sono delle indagini in corso per cui si ipotizza che in passato i concorsi stessi per l’assunzione di personale siano stati inquinati per assumere unità indicate dalla criminalità organizzata. Si continua a lavorare senza programmazione ma in emergenza, si è rinunciato a fare formazione, né aggiornamenti professionali. I poliziotti vengono abbandonati a loro stessi. Da un lato ci sono le regole, dall’altro c’è l’organizzazione penitenziaria che le calpesta metodicamente. Abbiamo agenti appena assunti nelle scuole ai quali spieghiamo che ci sono delle regole come la divisa, poi però non gliela si dà».

Quanto guadagna un agente di Polizia penitenziaria?
«Lo stipendio di un agente appena assunto si aggira sui 1.500 euro per 36 ore settimanali».

Il Covid quanto ha peggiorato la situazione?
«Ha inciso tantissimo, lo dimostrano le rivolte nei vari istituti nel marzo del 2020 con 13 morti. Certamente l’aver reso più difficoltose le attività che davano comunque risposta all’esigenza di impegnare il tempo dei detenuti ha peggiorato la situazione, si è registrato un aumento oltre che dei suicidi anche delle malattie di ordine psichiatrico. Sia a carico dei detenuti che del personale. Si teme che la situazione in autunno possa di nuovo precipitare».

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