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Home » Cronaca

Ambrogio Crespi a TPI: “Grazie a Mattarella mi sono ripreso la libertà. Ora voglio riprendermi l’onore”

Immagine di copertina

Regista e sceneggiatore, Ambrogio Crespi, condannato in via definitiva a 6 anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa, ha ricevuto la grazia parziale dal presidente Mattarella. In un'intervista a TPI racconta il suo inferno, dal giorno dell'arresto alla detenzione in carcere fino alla ritrovata libertà

Ambrogio, tu – solo quattro mesi fa – eri un uomo all’inferno.
Già. Un uomo condannato con una aggravante odiosa: quella del “concorso esterno in associazione mafiosa”.

S&D

Oggi sei stato graziato da Mattarella.
Giuro. Non ci posso ancora credere. Mi pizzico il braccio per capire se sono sveglio!

Ed è vero?
Per fortuna avverto il dolore. E questa intervista la stiamo facendo veramente.

La tua storia è incredibile, raccontala.
Mi avevano accusato di aver raccolto dei voti in un quartiere popolare di Milano.

Non solo.
Dicevano che lo avevo fatto per far eleggere un candidato sostenuto dalla ‘Ndrangheta.

Ti dichiaravi innocente.
Mi sembrava di vivere un incubo.

Perché?
Mentre si svolgeva quella campagna elettorale io ero in Albania, a fare da consulente e ad occuparmi del mio lavoro per quello che oggi è il premier Edi Rama e in quell’anno candidato sindaco di Tirana. Per lui abbiamo fatto un bellissimo spot che ancora si trova in rete.

Cercavi voti per lui?
Non scherzi. Da regista giravo il suo spot.

Eri accusato di aver mosso voti nei “palazzi dei calabresi”.
Una accusa folle. Priva di ogni fondamenta

Spieghiamo come mai.
Uno: non ero in grado di farlo. Due: quando mi ero candidato io, in prima persona, con Bobo Craxi, sempre a Milano, non avevo raccolto quei voti nemmeno per me.

Ai magistrati cosa dicevi?
Ma secondo voi uno che non riesce a raccogliere duecento voti per se stesso riesce a spostarne duemila e cinquecento su di un altro candidato?

C’è anche una terza motivazione?
Sì. Il più grande studioso italiano di flussi elettorali, Roberto D’Alimonte, durante il processo ha presentato una perizia a mio favore in cui dimostrava, con uno studio realizzato proprio in quei seggi, la mia estraneità ai fatti. Inoltre, le preferenze elettorali di un singolo candidato sono facilmente consultabili da chiunque sul sito del ministero degli Interni e se si va a spulciare per curiosità, si vede facilmente che il candidato in questione nel quartiere dove avrei smosso “palazzi di calabresi” ha preso a malapena 9 voti.

E che cosa emergeva dalla ricerca di D’Alimonte?
Che nei seggi incriminati non c’era nessuna concentrazione di voti, anzi, sono stati i seggi con il minor numero di preferenze elettorali.

Come si spiega di essere finito in quella inchiesta?
Dagli atti ho scoperto che venivo accusato “De relato”.

Ovvero in modo indiretto.
Seguimi bene. Una persona che lavorava per il candidato, aveva detto in una telefonata intercettata, che una persona che io conoscevo in modo superficiale, aveva assicurato che io avrei portato voti nei “palazzi dei calabresi”. Tutto chiaro?

Sembra il gioco del telefono.
Anche io sono incredulo: ma l’inchiesta, leggendo gli atti, è partita da qui. Il mio nome compariva una decina di volte nel rinvio a giudizio, insieme ad un plotone di altri imputati che non conoscevo.

Ma è vero che lei non aveva mai conosciuto nemmeno Mimmo Zambetti, il candidato che era accusato di aver preso quei voti?
Mai, nemmeno una sola volta in vita mia. Ci siamo conosciuti solo in carcere.

E lui cosa ha detto?
Era arrabbiato, e mi diceva: “Ma ti pare che io mi faccio cercare voti da uno come te?”. Non si è creata nessuna simpatia, tra di noi, ma questa sua affermazione era incontestabile.

Ambrogio Crespi. Regista, sceneggiatore. Fra pochi giorni dovrebbe salire sul red carpet di Venezia per la sceneggiatura di un docu-film sulla pandemia: “L’ho scritto dal carcere, quando ero convinto che ci sarei rimasto cinque anni”.

Raccontiamo il giorno dell’arresto.
Ero convinto fino all’ultimo che sarei stato assolto. Invece mi è piombata questa tegola sulla testa. Doveva essere un giorno di festa invece è stato un incubo.

È accaduto lo stesso giorno in cui Fabrizio Corona si ricopriva il volto di sangue e insulti a i magistrati di sorveglianza che lo rimandavano in carcere.
Non voglio commentare la storia di Fabrizio. Troppo dolore. Capisco la disperazione, capisco anche l’istinto suicida. Ma io ho vissuto la mia vicenda in un altro modo.

Tu ti dichiaravi innocente, ma non hai mai contestato il verdetto.
Ho pensato il peggio. Mi è piombato un macigno sulla testa. Ma una cosa è difendersi da una accusa che si ritiene ingiusta, altro contestare la legittimità di una sentenza.

Non deve essere facile quando il condannato sei tu.
È parte della mia cultura radicale. Il massimo della disobbedienza civile, il massimo del rispetto della legge: pensa che impatto ebbe sulla mia formazione Marco Pannella, quando distribuiva droghe leggere e poi chiedeva al giudice – che lo voleva liberare – di essere condannato.

Incredibile.
E poi, sarà folle, io non ho mai perso la fiducia nella capacità di autocorrezione del sistema.

Sei crollato.
Insieme alla sentenza, e all’arresto, mi è piombato sulla testa anche il Covid. Finisco in un letto di ospedale, piantonato.

E come ti senti?
Come quei protagonisti dei film americani che passano dalla vita spensierata all’inferno. Come Will Smith in Nemico pubblico.

Come hai fatto a non crollare?
Non potevo.

No?
Avevo lasciato mia moglie, Helene, dicendole che dovevamo combattere con tutte le nostre forze ed il nostro amore. I miei bambini dicendo che partivo per una missione da agente segreto. Non potevo permettermi di crollare. Poi “fuori” avevo un coro unanime che mi sosteneva, fatto di persone, alcune che conoscevo altre che non conoscevo, che però mi hanno sostenuto senza mai mettere in dubbio la mia estraneità a questa storia. La mia resistenza la dovevo anche a loro.

Sii sincero: non hai maledetto i giudici?
Mai. La controprova è facile: se lo avessi pensato lo avrei detto dopo la condanna di terzo grado, quando tutto mi sembrava perduto.

Perché?
La rabbia che hai detto ti tira fiori tutto.

Cos’altro ti impedisce di andare a fondo?
Il fatto che fuori qualcuno mi credesse. Ero un detenuto che ascoltava dal carcere, su Radio radicale, la maratona oratoria organizzata in mia difesa da Nessuno Tocchi Caino, come un assetato che si getta in una pozza nel deserto.

E cosa è accaduto poi?
Due miracoli molto improbabili.

Quali?
Il primo è la sospensione della pena. Dopo quattro mesi, dei magistrati di sorveglianza prendevano un provvedimento senza precedenti, decidendo che io ero già riabilitato e mi concedevano il differimento pena in attesa di esito della domanda di grazia che mia moglie e la mia famiglia avevano presentato ad aprile grazie agli avvocati Andrea Nicolosi, Simona Gannetti e Marcello Elia.

Un escamotage per tirarti fiori e annullare una sentenza ingiusta?
Non la vedo così. Io penso che il sistema più complesso del mondo abbia degli strumenti di auto correzione. E che di fronte ad un caso clamoroso li abbia utilizzati.

È la prima volta, ma potrebbero esserci altri casi analoghi?
Di fronte ad ingiustizie plateali me lo auguro.

Hanno pesato la tua attività di regista, i tuoi documentari anti-camorra?
Probabilmente. Ma provo a ribaltare la domanda: allora vorrebbe dire che non hanno pesato nelle tre sentenze che prima di allora mi avevano condannato. O no?

Vuoi dire che non ti è stato regalato nulla.
Quando ti devi presentare per dieci anni in tribunale, e spendere centinaia di migliaia di euro di avvocati per difenderti, non credo che la parola “regalo” abbia senso.

La lezione più dura di quei giorni.
Inventare delle storie fantastiche al telefono con i miei bambini, dire loro che dormivo in tenda sulle montagne e che passavo da un bunker ad un altro per svolgere questa missione segreta. Vedere il loro stupore nei miei racconti attraverso le videochiamate che facevamo. Non poterli abbracciare, sentire il loro odore, portarli a scuola. Trovarmi in un luogo diametralmente opposto dal mio modus vivendi, a dialogare con persone che non erano d’accordo con il mio pensiero. Tutto molto difficile…

Tu non lo avresti fatto per un altro, a ruoli invertiti?
No, io – personalmente – sono andato a raccontare persino i condannati con gli ergastoli ostativi. Ma fammi spiegare una cosa importante.

Prego.
Io non avrei nulla da dire nei confronti di chi, conoscendo la tua vicenda giudiziaria, si convince che tu sia colpevole.

Cosa ti dava fastidio, allora?
Quelli che non leggevano una riga, non ascoltavano nessuna versione difensiva, e si trinceravano nella posizione: “Ma se lo hanno condannato qualcosa avrà fatto”.

Spiega perché non va bene.
Perché nel sistema italiano ci sono centinaia di persone che ogni giorno finiscono nel tritacarne per dichiarazioni mendaci, abbagli giudiziari, errori formali.

Quindi?
Rispetto di più chi si convince di una colpevolezza a ragion veduta di chi ti considera colpevole senza riconoscere il diritto inalienabile alla difesa.

Ci si sente traditi due volte?
Si. Ma si scopre anche il valore delle persone che senza doverti nulla ti credono. Il direttore di TPI, Giulio Gambino, mi ha invitato alla giornata di apertura del TPI Fest! prima che arrivasse questa grazia. E io non lo scordo.

Perché?
Ho avuto amici che si sono dileguati nel nulla, e persone che hanno creduto nella mia innocenza, rischiando la loro credibilità.

Avresti dovuto scontare cinque anni.
E per giunta avevo un reato ostativo che mi avrebbe impedito di accedere ai benefici di legge.

Quando ti abbiamo invitato alla festa di TPI a raccontare la tua storia ti trovavi ancora in questa condizione.
Ed ero l’uomo più felice del mondo.

Ma dal punto di vista legale restavi condannato. Anche se con una sentenza sospesa.
Esatto poi, la settimana scorsa, è arrivata la grazia.

Il gesto di Mattarella è stato straordinario. Te lo aspettavi?
Sperare nella grazia è molto diverso da ottenerla. Anche in questo atto del presidente nulla è stato casuale.

In che senso?
Avendo già scontato un anno di detenzione tra quella preventiva e quella definitiva, ne rimanevano cinque. Il 9 settembre, al termine del differimento pena, dovevo tornare in carcere, senza se e senza ma. Mattarella ha usato l’istituto della “grazia parziale”. E questo ha cambiato la mia condizione in modo irreversibile.

Togliendo un anno e mezzo alla pena ha reso definitivo quello che la sospensione della pena ti aveva già regalato.
Non dovrò mai più tornare in carcere. E il fatto che questo gesto arrivi da un uomo che ha perso il fratello per un delitto di mafia ai miei occhi dà un valore enorme a quel gesto.

E adesso? Un film a lieto fine per un regista?
Adesso chiederò la revisione del processo.

Lo ritieni necessario? Sei già libero.
Sì. Mi sono ripreso la mia libertà. Ho diritto a riprendermi il mio onore.

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