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Home » Ambiente

Come ti “mostro” il riscaldamento globale: così Torino è diventata la capitale italiana del clima

Immagine di copertina
L’artista Mapenzi Chibale del duo Las Nietas de Nonó usa il proprio corpo per denunciare lo sfruttamento ambientale e dei lavoratori. Credit: Per gentile concessione dell'artista

La città ospita una mostra dell’Onu sul climate change. E la denuncia di 12 artiste in prima linea contro la crisi. A TPI il capo di gabinetto del segretario generale Courtenay Rattray propone: “I Paesi ricchi risarciscano i più poveri”

Con le ultime previsioni degli esperti che fissano in 6 anni e 200 giorni circa il momento in cui le temperature terrestri aumenteranno di 1,5° per colpa del riscaldamento globale, segnando di fatto un punto di non ritorno nella crisi climatica, nessuno vorrebbe essere nei panni di chi deve prendere decisioni a livello nazionale o internazionale ed assumersi enormi responsabilità sul futuro di intere generazioni.

Lucy Chinen, professionista di materiali a base biologica e ricercatrice di tecnologia alimentare in relazione al cambiamento climatico, ha trovato un modo per avvicinare alla gente comune la sfera delle politiche di gestione delle risorse di un Paese, attraverso un videogioco, “Half Earth Socialism”, al quale ha contribuito come dialogue writer: scansionando un codice QR, i giocatori si immedesimano nel ruolo di pianificatori globali di una società futura, dovendo fare i conti con l’impatto delle decisioni umane sui sistemi alimentari e sulla biodiversità. Bisogna fare scelte su come investire il budget, tra energia alternativa, enormi infrastrutture o persino viaggi nello spazio, calcolando nel frattempo le rispettive emissioni di carbonio.

Una preziosa alleata
La sua opera, un vero e proprio pezzo di arte contemporanea che coinvolge il fruitore attivamente nella realizzazione della performance con lo scopo di sensibilizzarlo, fa parte – insieme ad altre creazioni di artiste – della mostra “Fragile Soil Fertile Souls”, promossa dallo UN System Staff College (Unssc), l’ente di formazione delle Nazioni Unite, che per il suo ventesimo anniversario ha organizzato l’evento nella sede centrale di Torino. «Nel corso degli ultimi 20 anni, l’Unssc è diventato un centro in grado di fornire opportunità di apprendimento innovative, anche nel settore dell’educazione al cambiamento climatico», ha dichiarato Jafar Javan, direttore del College, presente all’inaugurazione dell’evento. «Promossa in occasione del nostro anniversario – ha aggiunto – questa mostra conferma come l’arte sia una preziosa alleata della nostra contemporaneità: da un lato permette di metterci alla prova e ripensare la nostra visione del mondo, dall’altro di comprendere come poter affrontare l’educazione ambientale in maniera diversa».

In totale dodici artiste hanno portato il loro punto di vista sull’argomento, esplorando tutte le frontiere della comunicazione, dall’arte visiva e fotografica a quella concettuale. Annabelle Agbo Godeau, pittrice parigina, lascia fluttuare un pesce nell’aria, giocando con il significato figurativo e letterale dell’idioma anglosassone “red herring”, in italiano “aringa rossa” ma anche “falsa pista”, che in questo caso si riferisce a qualsiasi affermazione fuorviante contro la realtà del cambiamento climatico indotto dall’essere umano. Uýra Sodoma, performer di Manaus, in Amazzonia, usa il corpo come supporto, e attraverso elementi organici e trucco mimetico, si sposta per mostrare le violazioni umane della natura e promuovere la protezione dell’ambiente.

In una delle fotoperformance esposte si trasforma in Boiúna, una creatura della mitologia brasiliana simile a un serpente con una coda di 10 metri. Sdraiata su un mucchio di immondizia, accende i riflettori sul fiume Rio Negro inquinato, incoraggiando le persone a mobilitarsi di fronte al degrado ambientale. «Ognuna usa un mezzo diverso per discutere del cambiamento climatico. Dobbiamo seguire il lavoro dei giovani artisti, vedere il presente attraverso i loro occhi, e domandarci cosa possiamo fare per incidere», dice Federica Candelaresi, direttrice esecutiva dell’Associtaion Internationale pour la Biennale des Jenues Créateurs d’Europe et de la Méditerranée, che ha collaborato all’allestimento della mostra. La curatrice è Giulia Colletti, palermitana, nella lista degli italiani under 30 più influenti d’Europa secondo Forbes nella categoria “Arts And Culture”.

«Lo scopo era non proiettare sul futuro l’azione degli artisti – spiega a TPI – perché il presente è adesso, la terra sta soffrendo ora. Non ci sono opere futuristiche, la narrazione è pensata insieme alla Terra di oggi. Anche la fragilità, che molte artiste hanno mostrato, è un invito a prendere una posizione. È un inno all’azione climatica della contemporaneità».

Tempo di agire
E di urgenza nell’intervenire parla anche il giamaicano Courtenay Rattray, Capo di Gabinetto del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha tenuto il discorso inaugurale: «Stiamo bussando alle porte della catastrofe climatica, è una crisi esistenziale da fronteggiare. Intorno a noi ci sono ancora tantissimi negazionisti del clima, dovrebbero parlare con questi artisti». Dopo la sua introduzione si sofferma ad ammirare le opere esposte, e si concede volentieri per un breve colloquio. «I Paesi più poveri del mondo – dice a TPI – dovranno imparare a vivere con gli effetti del cambiamento climatico, dovranno adattarsi. Quello che possiamo fare noi è un’opera di mitigazione, per accompagnarli al meglio durante questa fase. Hanno bisogno di soldi per prepararsi all’impatto».

Il riferimento è al cosiddetto fondo “loss and damage”, risorse che i Paesi più sviluppati hanno deciso di comune accordo di destinare alle zone più povere del mondo come sorta di “risarcimento” per aver contribuito maggiormente alla catastrofe ambientale che stiamo già vivendo oggi. È considerato uno dei risultati più importanti raggiunti nel corso della Cop 27 tenutasi a novembre in Egitto, anche se non è ancora chiaro quali Paesi risulteranno beneficiari e a quanto ammonterà la somma che ogni componente verserà per compensare gli squilibri economici amplificati dalla crisi climatica. Ad oggi, infatti, i Paesi che emettono meno CO2 nell’aria perché meno sviluppati sono quelli che soffrono maggiormente le conseguenze degli eventi estremi, si pensi alle gravissime ondate di calore o di siccità in Africa. «Diventa una questione morale, è ingiusto, no?», prosegue Rattray. «Abbiamo ancora molto lavoro da fare – insiste – Guterres ha detto che siamo dipendenti dai combustibili fossili. Dobbiamo liberarci da questo vizio. Quando parlo ai componenti più giovani della mia famiglia, come i miei nipoti, mi dicono sempre che sono preoccupati per il loro futuro e mi chiedono di fare qualcosa». Sul come convincere i governi a rinunciare ai vecchi schemi di produzione basati su petrolio e carbonio per abbracciare in toto le energie rinnovabili le idee sono chiare. «Dobbiamo fare azioni di persuasione, farli vergognare delle decisioni che prendono mostrando a tutti cosa fanno le compagnie alle quali si affidano. E poi dobbiamo tassare queste aziende, utilizzando quei soldi per il loss and damage».

La mostra è il momento culmine delle celebrazioni in occasione del 20esimo anniversario dell’Unssc: nel corso degli anni il college delle Nazioni unite ha investito le proprie energie nella formazione e cooperazione con l’Onu e altri enti con l’obiettivo di raggiungere un futuro sostenibile per tutti, confrontandosi con crisi globali, promuovendo lo sviluppo e il progresso sociale e favorendo la gestione comune e coesa tra gli Stati membri volta al raggiungimento degli obiettivi sviluppo sostenibile fissati entro il 2030.

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