Ecco dove finiscono i nostri rifiuti di plastica
Dove finiscono i nostri rifiuti di plastica? A rivelarlo è l’ultimo rapporto di Greenpeace Le rotte globali e italiane dei rifiuti in plastica. L’organizzazione non governativa ambientalista ha messo in luce i lati oscuri del sistema dei rifiuti di plastica a livello globale. E in Italia le cose non vanno bene.
L’Italia è tra i principali esportatori di rifiuti plastici: nella classifica si piazza all’undicesimo posto. Solo nel 2018 sono state quasi 200mila le tonnellate di rifiuti in plastica. Per la precisione 197mila tonnellate di plastica hanno varcato i confini italiani, per un giro d’affari che sfiora i 60 milioni di euro.
Fino a qualche mese fa era la Cina il paese principale con cui l’Italia aveva a che fare: era proprio in quegli impianti che finiva la metà degli scarti plastici nostrani. Ma oggi le cose sono cambiate. Dal 2018, infatti, il governo di Pechino ha chiuso le frontiere a 24 diversi tipi di rifiuti, tra cui proprio la plastica. Il risultato è stato che i paesi con una eccedenza di scarto hanno dovuto trovare nuove destinazioni.
Le mete oggi sono diverse: oltre a quelle europee, che vedono tra i paesi destinatari tra gli altri anche Austria, Spagna, Germania, Slovenia, Romania, i nostri rifiuti in plastica arrivano fino in Malesia, Turchia, Vietnam, Yemen e Thailandia.
Il problema, però, non è tanto la destinazione in sé, quanto il modo in cui i rifiuti vengono smaltiti. Secondo il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 i rifiuti che superano i confini dell’Unione europea devono essere trattati con norme equivalenti a quelle europee, relative al rispetto di ambiente e salute. Ed è qui l’intoppo, perché nei paesi in cui i nostri rifiuti plastici finiscono questi requisiti non vengono rispettati.
Indonesia e Turchia sono i principali importatori emergenti a livello mondiale, ma sono anche alcuni paesi europei a iniziare ad accettare i rifiuti plastici degli altri. I nostri, per esempio, nel 2018 sono finiti anche in Austria, Germania, Spagna, Slovenia, Romania, Ungheria, Francia e perfino in Svizzera.
Analizzando la classifica dell’Ufficio statistico dell’Ue, l’Austria riceve il 20 per cento dei nostri scarti in plastica, la Germania il 13,5 per cento e la Spagna il 9 per cento, per un totale del 42,5 per cento.
Negli ultimi anni sono diventati destinazione dei nostri scarti anche i paesi dell’est: la Romania, che tra il 2017 e il 2018 ha visto un aumento del 385 per cento degli importi, e la Slovenia (che nel 2018 ha ricevuto l’8 per cento dei nostri scarti in plastica).
A far suonare il campanello d’allarme rispetto al traffico di rifiuti in questi paesi dell’est è il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Roberto Pennisi, che per conto della Dda si occupa del capitolo del rapporto annuale dedicato alle ecomafie e ai crimini ambientali. Pennisi sottolinea un rischio: in alcuni casi, dove i trasporti avvengono in paesi dell’Est entrati da poco nella’Unione europea e dove i controlli sono meno accurati, il flusso di scarti plastici potrebbe essere gestito anteponendo “l’interesse economico al rispetto della legalità, dell’ambiente e della salute umana”.
Proprio per questo motivo c’è stato lo stop con la Cina, perché non è stato sempre possibile verificare che gli scarti plastici venissero smaltiti rispettando ambiente e salute. La conseguenza del divieto di esportare i rifiuti alla Cina è che la maggior parte degli scarti in plastica viene esportata in paesi con regolamentazioni ambientali meno rigide. Questo succede soprattutto nei paesi del sud est asiatico.
Inoltre, a livello globale, le esportazioni di materie in plastica negli ultimi due anni sono passate da 1,1 milioni a 500mila tonnellate al mese e i paesi che prima esportavano ingenti quantità di rifiuti plastici si ritrova oggi con un’eccedenza di scarti in casa, che non sanno come smaltire.