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“Lorenzo te lo promettiamo, saremo tempesta”: Firenze ricorda il ragazzo morto in Siria per mano dell’Isis

Immagine di copertina

Il 31 marzo a Firenze c’è il sole, i turisti come sempre affollano le principali piazze della città, mentre poco fuori dal centro, sui muri dei palazzi o sulle cabine telefoniche superstiti spiccano i manifesti per la commemorazione di Lorenzo Orsetti.

“Firenze, 31 marzo. Corteo in memoria di Orso Tekosher e per chi lotta per la libertà. Appuntamento alle 15 in piazza Leopoldo”.

Mezz’ora prima in piazza già sventolano le prime bandiere, i primi colori iniziano timidamente a rendere più vivo il piazzale illuminato dal sole di primavera, mentre sempre più persone occupano lo spazio ancora vuoto, parlando chi di Lorenzo, chi del più e del meno tra una sigaretta da rollare, un amico da trovare perso chissà dove o un bambino da riprendere al volo.

Intanto il tempo scorre, gli organizzatori chiamano tutti a raccolta, in prima linea gli internazionalisti arrivati non solo da tutta Italia, ma anche da tutta Europa per rendere omaggio a un heval che a differenza loro dalla Siria non è tornato.

In prima fila c’è anche la famiglia di Lorenzo, ci sono il padre e la madre stretti tra gli abbracci di parenti, amici o semplici presenti che vogliono fargli sapere che sono lì per loro, per Lorenzo, per tutti. Anche per chi non c’è e nemmeno sa del corteo, della guerra in Siria e di cosa sia quella “rivoluzione del Rojava” per cui loro figlio ha dato la vita.

Prima di partire viene chiesto un minuto di silenzio per Lorenzo. La folla ammutolisce. Si sente solo il garrire delle bandiere nel vento tiepido che soffia su Firenze.

Poi esplode un applauso, seguito dalla musica e dai primi slogan scanditi mentre si avanza alla volta della Fortezza da Basso. Il corteo si dilata, poi si ricompatta, si dilata di nuovo come un liquido che si spande per le strade, occupando più spazio possibile per far sentire la sua presenza, la sua voce che scandisce “Lorenzo non ti dimenticheremo”.

(Continua sotto la foto)

Una delle prime voci che risuona sul corteo è quella di Davide Grasso, che ricorda Lorenzo, la guerra in Siria, ma non solo. Perché la lotta contro l’Isis, la difesa della rivoluzione del Rojava sono solo una parte di una visione più ampia di quello che la società, che il mondo in cui viviamo dovrebbe essere e che dovremmo tutti – dal piccolo al più grande –  contribuire a cambiare.

Pensare che Lorenzo sia morto per una causa che non era la sua, che non è la nostra, è un comportamento miope. La Siria non è un luogo esotico e lontano, le cui sorti non ci riguardano e gli attentati in Europa, in cui hanno perso la vita anche alcuni italiani, ne sono un esempio lampante, anche se forse non tutti lo hanno ancora colto.

Le persone presenti alla commemorazione lo sanno, ne parlano mentre avanzano dietro lo striscione di Lorenzo sorreggendo bandiere del Rojava, delle YPG, delle YPJ e altre in cui è ritratto il volto di Ocalan, il politico curdo in prigione in Turchia dal 1999.

Ben poche tra le persone che sfilano per Firenze avevano conosciuto Lorenzo prima che partisse per la Siria e ancora meno lo avevano incontrato là, ma poco importa: Tekosher con la sua morte è diventato qualcosa di più di un semplice ragazzo e non a caso “Lorenzo saremo tempesta” è uno degli slogan che più di altri risuona lungo il corteo. Ė un invito a non rassegnarsi allo stato delle cose, a “tenersi stretta la speranza” che il mondo si può cambiare, se si è capaci di andare oltre l’individualismo e l’indifferenza.

(Continua sotto la foto)

Una volta arrivati a Fortezza da Basso a prendere la parola, tra gli altri, è il padre di Lorenzo. Sale sul palchetto allestito sul retro di un camioncino, prende il microfono e per prima cosa cerca di sdrammatizzare con una battuta. Cessate le risate della folla riunita ad ascoltarlo si fa serio in volto, mentre parla del figlio che non c’è più, ma la cui immagine sventola nel vento tiepido di Firenze.  “Lorenzo non è sceso a compromessi, ha portato fino in fondo i suoi valori” senza perdere la tenerezza “e con il suo esempio ha ispirato a modo suo anche le nostre vite”.

In tanti si alternano al microfono, leggendo messaggi scritti dallo stesso Lorenzo mentre era in Siria, quei brevi racconti che Tekosher affidava alla rete in cui descriveva la morte e la vita con cui aveva a che fare ogni giorno.

Mentre dal palco risuonano con voci diverse le parole di Orso, le persone si siedono sull’erba o si riuniscono in piccoli capannelli per discutere e alcuni appendono le bandiere su alberi e pali dei giardini della fortezza, colorando il verde brillante del prato di una primavera che porta con sé il desiderio di rinascita.

Lorenzo non è l’unico italiano andato a combattere in Siria e a parlare per gli internazionalisti “locali” è Eddi, che oltre a ricordare un amico che non c’è più punta il dito contro chi della sua morte si è reso complice.

“La morte di Lorenzo e la forza che ci ha donato inchiodano chi è responsabile di quanto sta accadendo in Siria. Chiediamo il riconoscimento della Federazione democratica della Siria del Nord da parte della Comunità internazionale e che l’Italia interrompa ogni rapporto politico ed economico con la Turchia. L’Italia deve sostenere concretamente le YPG e le YPJ. Ė facile capire da che parte stare”.

Tra gli applausi e i gesti di assenso dei presenti risuonano le ultime parole di Eddi, in risposta al messaggio lasciato da Lorenzo: “Te lo promettiamo, saremo tempesta”.

(Continua sotto la foto)

Il 31 marzo a Firenze non c’erano nubi, non c’era pioggia, ma in quella giornata di primavera, sotto i raggi di un sole che ti costringeva a ripararti gli occhi per guardare l’orizzonte c’erano tante piccole gocce desiderose di cambiare il mondo, di diventare tempesta.

Non resta che vedere se, passato il clamore mediatico già affievolitosi e il momento di cordoglio, saremo davvero in grado di tenere fede alla parola data a noi stessi, a Lorenzo e a chi ancora combatte.

Voler essere tempesta non basta per esserlo davvero, ma è comunque un inizio. Grazie Tekosher.

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