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Home » Esteri

Siria: dopo 6 anni il regime di Assad ha ripreso il pieno controllo di Damasco

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Il governo siriano non ha annunciato alcun accordo con l'Isis, ma fonti militari hanno detto che è stato disposto un breve cessate il fuoco per consentire l'evacuazione dei civili. Credit: Afp

Combattenti Isis evacuati dall'ultima enclave ribelle, intanto nuove esplosioni contro postazioni iraniane e gli Usa ritirano gli aiuti ai curdi

L’esercito siriano, fedele al presidente Bashar al-Assad, ha dichiarato di aver preso il pieno controllo di tutte le aree intorno alla capitale, Damasco, per la prima volta dal 2012.

“Damasco e dintorni sono completamente sicuri”, ha detto il generale Ali Mayhoub alla televisione di stato nel pomeriggio di lunedì 21 maggio 2018.

L’annuncio è arrivato dopo che le truppe hanno evacuato i militanti del sedicente Stato Islamico o Isis dal campo profughi palestinese di Yarmouk e dal distretto di Hajar al-Aswad, nella periferia sud della capitale.

I combattenti dell’Isis hanno iniziato a lasciare l’ultima enclave ribelle alla periferia di Damasco nella notte tra domenica 20 e lunedì 21 maggio.

Il governo siriano non ha annunciato alcun accordo con l’Isis, ma una fonte militare citata dall’agenzia ufficiale Sana ha detto che è stato disposto un breve cessate il fuoco per consentire l’evacuazione dei civili.

I militanti dell’Isis si sono diretti verso una sacca nel deserto della Siria sud-orientale ancora sotto il controllo dell’organizzazione estremista.

“Questo conclude la completa pulizia di tutte le città della Ghouta occidentale e orientale dal flagello del terrorismo armato takfiri”, ha sottolineato aggiunto il generale Mayhoub.

Takfiri è un termine che indica l’accusa di miscredenza.

La guerra civile in Siria è iniziata nel 2011. A partire dall’anno seguente il governo di Assad iniziò a perdere il controllo su parti di Damasco e vaste aree di territorio, che finirono in mano a gruppi ribelli, tra cui miliziani jihadisti.

L’intervento nel conflitto di Russia e Iran, entrambi fedeli alleati di Assad, ha cambiato le sorti della guerra in favore del governo siriano, che ha progressivamente ristabilito il proprio controllo sulla capitale e sulle altre grandi città della Siria occidentale.

I combattimenti hanno causato la morte di almeno 350mila persone e lo sfollamento di 11 milioni di persone.

Intanto, all’alba di lunedì 21 maggio, alcune esplosioni sono risuonate a sud di Damasco, nella zona di Najjah, che ospita un’accademia militare e dove, secondo i media israeliani, si trova un’installazione iraniana per la guerra elettronica.

L’emittente Sky News Arabia riporta che le detonazioni hanno provocato il crollo di una struttura appartenente ai combattenti iraniani, alleati della Siria.

Secondo Debka, un sito vicino ai servizi segreti israeliani, già il 18 maggio in una base siriana vicino Hama era esploso un deposito di munizioni, armi e carburante.

L’origine di queste esplosioni è ignota.

Nelle scorse settimane si era registrata un’escalation di tensione tra Iran e Israele sul terreno della guerra in Siria.

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Bahram Qasemi, ha dichiarato che i combattenti iraniani presenti nel paese vi resteranno finché il governo di Damasco “avrà bisogno di aiuto”.

“Nessuno ci farà andare via dalla Siria, la nostra presenza è legittima e su invito del governo, coloro che dovrebbero lasciare la Siria sono quelli che sono entrati senza consenso”, ha detto Qasemi.

Nel nord-ovest della Siria, invece, gli Stati Uniti hanno ritirato tutti gli aiuti forniti alle milizie curdo-arabe.

A riferirlo è stata l’emittente Cbs News, secondo cui questa mossa potrebbe preludere a un ritiro delle forze statunitensi dal paese arabo.

Il presidente Trump ha annunciato nelle scorse settimane l’imminente ritiro delle truppe.

Gli Stati Uniti al momento schierano oltre 2mila uomini in Siria, soprattutto nel nord est.

Ad aprile l’amministrazione di Washington ha interrotto i propri finanziamenti al fondo delle Nazioni Unite per la popolazione siriana colpita dalla guerra.

Secondo alcuni media statunitensi, Trump vuole che alcuni paesi arabi come Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o Qatar prendano il posto dei militari americani attualmente schierati nel paese.

Negli scorsi giorni, il ministro degli Esteri del Cairo, Sameh Shoukry, ha detto che tale operazione è possibile.

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