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Home » Esteri

La Turchia diventerà come la Libia di Gheddafi nel fermare i migranti

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In seguito agli accordi tra l'Unione europea e la Turchia, Ankara potrebbe ereditare il ruolo che fu di Tripoli nel fermare i migranti

Lo scorso 15 ottobre si è tenuto il quarto vertice della Commissione Europea dall’inizio del 2015 sull’emergenza migranti. In questa occasione è stato reso noto un accordo tra l’Unione europea e la Turchia che prevede uno stringersi delle relazioni tra le due parti in gioco per quel che riguarda la gestione dei flussi migratori.

S&D

Da parte dell’Unione europea, lo scopo di questo accordo è quello di arginare il flusso migratorio che, attraverso la Turchia, ha visto più di 700.000 migranti accedere entro i confini Ue dall’inizio dell’anno. Si calcola che al momento la Turchia ospiti più di 2 milioni di migranti, che dall’Unione vengono percepiti come una minaccia da contenere.

La versione definitiva dell’accordo non è ancora stata siglata, ma le ipotesi avanzate prevedono che la Turchia avrà la responsabilità di gestire le pratiche di ingresso per i migranti a cui verrà riconosciuto il diritto di accesso all’Unione europea. Durante il summit tra Unione europea e Turchia si è parlato anche di sistemi detentivi per i migranti in attesa dello smaltimento delle loro pratiche di ingresso.

Ciò è possibile perché la Turchia è stata riconosciuta come Paese sicuro, ovvero caratterizzata dall’assenza di persecuzioni, torture o trattamenti inumani, e della minaccia di violenze o guerre.

È da circa vent’anni che l’Europa ha iniziato a stringere accordi con Paesi al di fuori dei propri confini per esternalizzare la gestione dei flussi migratori. Fin dagli anni ’90, il partner preferito dell’Italia in questo tipo di accordi è stata la Libia di Gheddafi.

In cambio di accordi preferenziali sulla compravendita del gas libico e della pressione italiana sull’Ue per rimuovere l’embargo economico sulla Libia, Gheddafi si impegnò a gestire i flussi migratori che attraversavano i confini libici.

Lo fece ergendo prigioni nel bel mezzo del deserto finanziate da fondi europei in cui i migranti venivano detenuti a tempo indeterminato e a più riprese, per poi essere spesso venduti a trafficanti.

Un altro modo in cui la Libia si impegnò a risolvere la nostra crisi migratoria fu quello di pattugliare le acque di confine con l’Italia: imbarcazioni piene di migranti venivano riportate sulle coste libiche; qui i passeggeri venivano ammassati dentro a container che venivano poi abbandonati nel deserto.

Tutto questo accadeva mentre l’ex premier Silvio Berlusconi definiva Gheddafi leader della democrazia. Pochi anni dopo, lo stesso Gheddafi veniva riconosciuto come un dittatore e la Libia veniva liberata con l’aiuto delle forze dell’Unione europea.

Oggi ci si rivolge alla Turchia, riconoscendola come Paese sicuro, e proponendole di farsi carico dei compiti un tempo assunti dalla Libia. La stessa Turchia in cui bombe esplodono all’interno di cortei, Twitter e Youtube vengono censurati, manifestazioni vengono ripetutamente sedate con violenza dalla polizia e il governo continua a reprimere nel sangue i gruppi di opposizione curdi.

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