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Partorire a 12 anni

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Solo nel 2014, oltre 700 bambine paraguayane hanno dovuto partorire dopo esser state stuprate, soprattutto dai propri familiari, in quanto nel Paese l'aborto è illegale

Perla è una bambina di 12 anni paraguayana che vive nella capitale a sud del Paese, Asuncion, insieme al figlio e ad altre nove ragazze. Abitano in un centro di accoglienza per giovani mamme gestito dalla parrocchia locale, noto come Casa Rosa Maria. 

S&D

All’età di dieci anni Perla è stata violentata dal fratello, diventando madre circa un anno dopo. Un’altra ragazza, Mercedes, di anni invece ne ha 17 e ha partorito quando ne aveva 12, dopo essere stata stuprata dal patrigno.

Loro sono solo due delle oltre 200 bambine del Paraguay – un piccolo Paese dell’America Latina popolato da circa sette milioni di persone – che negli anni sono passate da Casa Rosa Maria scappando da gravi condizioni familiari.

Secondo i dati del Ministero della salute del Paese, nel 2014 più di 700 bambine di età inferiore ai 14 anni hanno dato alla luce un figlio. I numeri potrebbero però non essere coerenti con la realtà, soprattutto a causa dei numerosi parti che ancora avvengono fuori dalle strutture sanitarie nazionali.

“La situazione è allarmante, le cifre sono in crescita. Diventare madre a dieci anni rappresenta spesso una sfida impossibile da portare avanti per delle bambine che molto spesso vengono abbandonate al loro destino. La loro vita cambia radicalmente e i limiti sono numerosi”, racconta una portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, un fondo nato per supportare le popolazioni in situazioni di crisi.

Sono circa 600 i casi di abusi sessuali in Paraguay che ogni anno vengono perpetrati su bambine al di sotto dei 14 anni. Di questi, solo il 30 percento viene punito. La maggior parte dei violentatori riesce inoltre a evitare le pene continuando spesso a reiterare i reati contro altre bambine.

Il Paraguay è un paese dove la religione cattolica, professata da quasi il 90 per cento della popolazione, ha una forte influenza sulla vita quotidiana e pone un freno alle proposte di legalizzazione dell’aborto.

A tal proposito la legge paraguayana concende la possibilità di abortire solo quando una donna è in pericolo di vita. In caso contrario è necessario portare a termine la gravidanza, anche se si sono subite violenze sessuali o le vittime sono minorenni.

Una delle conseguenze negative di questo sistema legislativo risiede nel numero crescente di aborti illeciti, molti dei quali spesso portano anche alla morte delle neo mamme.

Lo stato non riesce ad assistere le giovani mamme, che spesso riescono a trovare un prezioso supporto economico, morale e scolastico solo in alcune strutture gestite dalla stessa chiesa cattolica o da associazioni benefiche.

Se da un lato quindi la chiesa si pone come ostacolo nella legalizzazione delle leggi sull’aborto, dall’altro collabora nel recupero delle giovani mamme mettendo a disposizione case di accoglienza.

Molte di queste strutture, oltre che dare ospitalità, si occupano anche di fornire un’istruzione alle ragazze, in modo da poter garantire loro un futuro nel mondo lavorativo.

L’opinione pubblica paraguayana si era concentrata in particolar modo sulla questione nell’aprile del 2015 con il caso di Mainumby, una bambina di 10 anni alla quale i dottori avevano sbagliato una diagnosi scambiando una gravidanza con un tumore. In seguito si era scoperto che il patrigno della ragazzina aveva abusato di lei.

Il caso finì sulle prime pagine di tutti i giornali e anche l’Ong Amnesty International lanciò un appello al governo paraguayano affinché autorizzasse l’aborto. La risposta fu però negativa in quanto Mainumby non si trovava in pericolo di vita.

Il caso ha fatto scoppiare anche delle proteste nella capitale Asuncion, dove centinaia di persone hanno marciato per le vie della città per protestare contro gli abusi sessuali sui minori.

Oggi – anche grazie a questo caso – le denunce di abusi sessuali sono in aumento in Paraguay: solo nel mese di maggio sono state 950 le denunce esposte alla polizia contro le circa 750 della media mensile. La maggior parte delle bambine vogliono rimanere anonime per paura di ritorsioni. Nonostante ciò, sembra che finalmente si stia muovendo qualche passo verso una situazione di maggiore tutela delle bambine costrette a diventare mamme.

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