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L’arte cinese in volo

Immagine di copertina

Con le sue immagini, Li Wei raffigura le vertigini di un paese in evoluzione. Metafora della Cina alla conquista del mondo

“Io rendo possibile l’impossibile. Ecco come definirei la mia arte”. A dirlo è Li Wei, artista cinese dell’assurdo, che con i suoi scatti agli uomini volanti si è guadagnato la popolarità e il favore dei critici d’arte di tutto il mondo.

S&D

Nato nella provincia dell’Hubei nel 1970 e formatosi nei primi anni Novanta presso l’Accademia di Belle Arti di Pechino, Li Wei non è semplicemente un artista, non è solo un pittore, un fotografo o un regista di performance acrobatiche. Molto di più.

È il demiurgo di un microcosmo di contrasti e antinomie d’eccezione, in cui senso e nonsenso si confondono ed equilibrio e instabilità si compenetrano.

Il suo intero lavoro è una metafora della nuova Cina alla conquista del mondo. Dietro ogni suo scatto si cela un universo di significato e intuizioni, una riflessione morale e sociologica sull’incalzante modernizzazione cinese e sulle sue contraddizioni.

Con il suo linguaggio artistico racconta la politica contemporanea confinandola in una dimensione metasemantica e onirica, che solo ai più distratti appare come priva di referenti. La vita nelle metropoli cinesi per i migranti rurali è alienante, stressante?

Gli spazi nelle unità abitative sono sempre più ristretti e soffocanti? Ecco che lui riesce ad acchiappare, giocando con la gravità e i suoi paradossi, la voglia di rompere con la quotidianità, la pulsione istintiva alla fuga, la tensione vitale come segno di autocoscienza.

Da qui prendono corpo le danze acrobatiche in volo, le cadute pericolose in laghi profondi e contro lastre di ghiaccio. E ancora, uomini che si tuffano nel vuoto, braccia che trattengono e braccia che spingono al salto, monaci sospesi tra le nuvole in un’aura di santità, che guardano dall’alto la fragilità degli umori terreni.

La mano dell’artista sembra plasmare la materia preesistente e strutturarla secondo un nuovo ordine. Il suo lavoro crea l’illusione della realtà. ma il limite del paradosso forse è solo nella nostra mente?

“Il mio corpo è il mio principale veicolo di comunicazione, lo uso in diversi contesti come fosse un meteorite pronto a schiantarsi ma anche come strumento di riflessione. Per questo, tengo conto di più aspetti della filosofia cinese, per dare un’impressione di tutta la scena, non per il significato specifico”, racconta Li Wei, sottolineando che le sue fotografie non sono ritoccate con photoshop perché per costruire il suo mondo immaginifico lui utilizza oggetti reali.

Come lo specchio, che è “un riflesso, un’illusione, che dà al pubblico la possibilità di dubitare di ciò che è reale, e il pubblico stesso diventa parte del mio lavoro attraverso l’utilizzo dello specchio”.

La migrazione dalle aree rurali delle province interne verso le grandi città, l’approccio a un lavoro meccanizzato e spersonalizzante, la distruzione dei vecchi edifici per far posto al ‘nuovo’, l’individualismo dilagante. I tuffi dei cinesi nel nulla e le loro cadute spaventose nel baratro dell’insicurezza non sono altro che una risposta alle paure e allo smarrimento scaturite dal veloce sviluppo e dalla modernizzazione pressante della Cina.

Il volo è una vertigine e la caduta è un atto estremo di libertà. Li Wei prova con la sua arte a frenare l’accelerazione di questo cambiamento sociale radicalizzante e difficile da metabolizzare, sospendendo nel vuoto i corpi in caduta, proprio come se dovesse contrastare la forza di gravità.

“Senza blocco non può esservi flusso, senza soste non può esserci movimento”, così diceva Mao Zedong durante la Rivoluzione Culturale. E, d’altra parte, il manifesto artistico di Li Wei, la sua attenzione al caos, alle contraddizioni e all’instabilità, sembra trarre ispirazione da uno schema dialettico già noto in Cina, quello maoista della ‘rottura dell’equilibrio’.

Da paladino dell’antigravità, per le sue rappresentazioni surreali e i suoi scatti in volo Li Wei ha rischiato perfino la vita, appendendosi a fili di acciaio a centinaia di metri d’altezza dal suolo.

L’arte è anche un brivido, un rischio, una esperienza pericolosa? “Ero un artista di spettacoli acrobatici prima, poi mi sono specializzato nella fotografia. Quindi gli elementi di pericolo e di rischio erano già molto importanti per i miei lavori. Ma in questo modo voglio comunicare la mia riflessione sulla nostra reale condizione di vita, che è pericolosa e instabile.

Che sia la vita in Cina o in Europa, poco importa. Noi tutti non siamo sicuri, ci sentiamo in pericolo in questo mondo globalizzato. Non è forse questo il senso della crisi economica? La caduta in fondo è una sorta di rottura”. Una rottura, sì. È anche una conquista?

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