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La guerra al carbone di Obama

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La nuova politica ambientale del presidente Usa sembra intenzionata a eliminare la produzione di energia da carbone

“L’unica cosa che il presidente ha davvero bisogno di fare ora è quella di iniziare il processo di chiusura degli impianti a carbone convenzionali” sono le parole del geochimico di Harvard Daniel Schrag, consulente scientifico della Casa Bianca, che continua: “Politicamente, la Casa Bianca è titubante a dire che stanno facendo una guerra al carbone; d’altra parte però, una guerra al carbone è esattamente ciò che è necessario”.

S&D

Parole attorno alle quali si era discusso alla vigilia dell’atteso discorso del presidente sul piano ambientale del 25 giugno. I repubblicani avevano subito riportato le dichiarazioni, facendole rimbalzare tra i commenti sui vari social network: ironia mischiata a preoccupazione, ma senza perdere d’occhio l’obbiettivo del consenso politico. Per i conservatori, le parole di Schrag sarebbero state la conferma di quello che denunciavano da tempo, e cioè la volontà di usare il global warming come leva per la crociata contro le centrali a carbone.

Va detto che il professor Schrag è un consulente, membro dell’Office of Science and Tecnology – parte del President’s Council of Advisers – e dunque non ha nessun ruolo diretto nel decidere le politiche legislative dell’amministrazione. Tuttavia le sue affermazioni meritano una riflessione: Obama sta veramente perseguendo una ‘guerra al carbone’?

Con ogni probabilità la risposta è sì. Nel tempo, mentre da un lato l’amministrazione ha fortemente incentivato l’utilizzo di gas naturale come combustibile, dall’altro ha costruito una serie di politiche e normative che rendono più complicata ed onerosa l’estrazione stessa del carbone, creando automaticamente un aumento dei costi per la produzione di energia elettrica da questa fonte fossile.

Già da prima del discorso di Obama – piuttosto chiaro sull’intenzione di regolamentare più strettamente le centrali esistenti – l’Enviromental Protection Agency (Epa), stava da tempo rafforzando la normativa sulla combustione di carbone, imponendo limiti più severi su quel che riguarda le emissioni di mercurio e altre sostanze inquinanti prodotte (compresa la fuliggine). In più l’Epa avrebbe reso più complicato, sempre attraverso regolamentazioni più vincolanti, scaricare i detriti minerari provenienti dall’estrazione del carbone, in mare o nei fiumi.

Lo stesso Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club (la più grande e influente organizzazione ambientalista statunitense) ha fatto da “bocca della verità”, sostenendo che Obama con il discorso di martedì abbia deciso di dirigere la sua amministrazione verso la repressione delle “climaticamente-distruttive emissioni del carbone”, specificando: “Obama si è reso conto che non si può combattere il riscaldamento globale senza agire sulle centrali a combustibili fossili”.

Adesso il problema per Obama, però, diventa la gestione delle potenti lobby delle energie: infatti la richiesta di adattare le centrali esistenti, secondo regole che l’Epa dovrà dettare entro il giugno 2014, e di creare una normativa completa per i nuovi impianti entro ottobre dello stesso anno, era esattamente ciò che le lobby delle Big Oil e dei King Coal temevano e volevano evitare. Il punto nodale sembra essere questo: come poter proporre alle società di modificare i propri impianti ed effettuare investimenti per permettere di migliorare le emissioni nelle centrali a carbone, se l’indirizzo generale e profondo dell’amministrazione viaggia verso la dismissione delle stesse?

Su questo le parole di Robert Duncan, presidente dell’American Coalition for Clean Coal Electricity rappresentano il riferimento “Sarà un’eredità pesante per il presidente, un’eredità di più alti costi dell’energia, posti di lavoro persi ed economia a pezzi. Se l’amministrazione mancherà di riconoscere i progressi dell’industria (del carbone) nel campo dell’ambiente e continuerà ad adottare nuovi regolamenti, l’energia da carbone potrebbe cessare di esistere. Un evento devastante per la nostra economia“.

Ampie zone infatti, come l’est del Kentucky, hanno un’economia fortemente vincolata al carbone. Attività estrattive e connesse riqualificazioni, trasporti, lavorazioni, sono le principali fonti di impiego, e la produzione elettrica è ovviamente ancorata all’utilizzo di questo elemento. Come bilanciare allora, l’aspetto ambientale generale con le situazioni delle popolazioni locali? Chiudere le centrali a carbone in queste circostanze, potrebbe realmente significare tagliare posti di lavoro, diminuire il reddito, abbassare i consumi in genere, alzando il costo della produzione di energia. Su questo si dipana la matassa politica: l’ostacolo a una regolamentazione ancora più restrittiva, è argomento trasversale, con i legislatori al Congresso pronti a difendere gli interessi dei territori rappresentati in entrambi gli schieramenti politici. Ragione, l’ostruzionismo alle camere, che ha portato Obama ad essere perentorio: “Se il Congresso non agirà in fretta per proteggere le future generazioni, sarò io a farlo”.

Proprio sull’ardimento dimostrato nell’evocare la possibilità dell’uso delle proprie facoltà esecutive – stabilite sul tema dopo che la Corte Suprema aveva deciso che il presidente ha potere di fissare autonomamente le norme e i limiti sulle emissioni di anidride carbonica – Obama ha richiamato il consenso della propria platea, presente e non. E proprio sulla questione del recuperare consenso politico, si fondano un’altra serie di polemiche.

Il presidente viene infatti accusato di aver usato la tematica dell’ambiente come metodo per riacquistare la fiducia degli elettori. I detrattori invitano a fare un rapido passo indietro nella storia, polemizzando su quella decantata rivoluzione ambientalista del 2008, e a quelle idee rimaste invece impolverate in qualche scantinato della Casa Bianca. L’accusa inoltre, è quella di nascondere dietro a un argomento di alta sensibilità come l’emergenza climatica ed ambientale, questioni spinose, come il caso Prism per esempio, spostando l’attenzione del dibattito.

La contestata ‘retorica verde‘ di Obama, riguarda anche aspetti più specifici però: la scelta dell’amministrazione di “sponsorizzare” l’uso di gas naturale – oltre che il nucleare – passa attraverso una pratica piuttosto contestata per l’estrazione della materia prima. Le tecniche per ottenere lo ‘shale gas‘ sono quelle legate all’hydraulic fracking, controverse e discusse perché responsabili di possibili inquinamenti delle falde acquifere.

A poco più di una settimana da uno dei discorsi più attesi di questo secondo mandato, Obama si trova già davanti un’ampia fascia di scetticismo, trasversale, che contesta tempi, metodi e risorse. La scelta di attaccare il carbone come combustibile fossile, se da un lato tecnico-scientifico può rivelarsi positiva data la grossa quantità di emissioni di CO2 prodotte, da quello sociale ha indubbiamente i suoi punti deboli sulla radicazione dell’economie legate nei territori.

Sarà proprio con quei territori, con i singoli stati, che dovrà confrontarsi però, qualora decidesse di ricorrere ai suoi poteri esecutivi, rimandando gli aspetti normativi direttamente all’Epa. Dialogo che in ogni caso comincerà comunque già con il primo stralcio del piano, previsto per giugno 2014.

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