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Home » Esteri

L’anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan che nessuno vuole ricordare

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Dopo tre anni di guerra civile, l'accordo di pace vacilla, l’economia è in picchiata e la violenza imperversa nella nazione più giovane al mondo

Sabato 9 luglio era il quinto anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan. Ma è stato un compleanno triste per la più giovane nazione al mondo. Metà degli anni dalla sua indipendenza sono stati vissuti in una sanguinosa guerra civile.

E adesso che la pace sembrava essere tornata, dopo l’accodo stipulato un anno fa tra il presidente Salva Kiir e il capo dei ribelli, un tempo vice presidente, Riek Machar, è arrivata la delusione di una tregua che si sta gradualmente disfacendo, con i combattimenti che continuano e le condizioni dell’accordo di pace sistematicamente violate.

La risoluzione prevedeva una rigida tabella di marcia per smilitarizzare la capitale Juba e integrare i ribelli nell’esercito nazionale. Un governo di transizione composto da ministri scelti dai due contendenti nei prossimi tre anni avrebbe dovuto approvare le riforme costituzionali, rilanciare l’economia e istituire un tribunale speciale per i crimini di guerra. Il governo di transizione è nato ad aprile, quando Machar è tornato a Juba, ma nessuno degli obiettivi è stato raggiunto.

La guerra civile in Sud Sudan iniziò nel dicembre del 2013, quando soldati fedeli a Kiir, di etnia Dinka, iniziarono a perseguitare nella capitale i civili di etnia Nuer, scatenando la ribellione dei soldati Nuer che presero le armi con lo scopo di deporre il presidente Kiir, guidati nell’insurrezione dal vice presidente Machar.

In tre anni di combattimenti entrambe le parti si sono macchiate di orribili crimini di guerra nei confronti dei civili, inclusi stupri di massa su base etnica e omicidi. Si stima che siano morti fino a 100mila civili e oltre due milioni di sud sudanesi vivono sfollati in campi profughi.

L’accordo di agosto, a cui si era arrivati dopo una serie di vittorie militari del governo, aveva riacceso le speranze di pacificare il paese. Ma undici mesi dopo, poco è cambiato. Invece di smilitarizzare Juba, il leader dei ribelli ha imposto di entrare nella capitale con le sue truppe come garanzia e protezione. Lo scorso 7 luglio, è scoppiato un tafferuglio tra i soldati fedeli a Kiier e quelli fedeli a Machar e cinque uomini sono morti.

Il parlamento di transizione è stato formato, ma non è in grado di eleggere nemmeno il presidente a causa delle divisioni in seno all’assemblea. La commissione per riformare la costituzione non è stata ancora creata e Kiir osteggia apertamente l’istituzione di un tribunale per i crimini di guerra.

I sostenitori di Machar affermano che Kiir stia cercando di ostacolare l’accordo di pace e di ritardarne la messa a punto. Accuse respinte dai fedeli di Kiir, che motivano la lentezza a causa delle differenze linguistiche tra le etnie Dinka e Nuer.

Tuttavia la percezione che il presidente stia boicottando l’accordo è evidente. Per esempio, un punto della risoluzione prevede che Machar abbia il governo di due delle dieci regioni della nazione. Ma Kiir l’ha resa inattuabile, dividendo lo scorso anno le dieci regioni in 28 provincie, e adesso le trattative devono ricominciare da capo.

L’accordo ha fallito anche nell’affrontare la crisi economica. A causa delle spese di guerra del governo, la scomparsa di circa un miliardo di dollari dalla banca centrale e il crollo del prezzo del petrolio, unica ricchezza della nazione, l’inflazione ha superato il 300 per cento, il tasso più alto al mondo, e la moneta si è svalutata del 90 per cento in cinque anni. Dipendenti statali non ricevono lo stipendio da mesi e insegnanti, medici e giudici sono in sciopero.

Lo stallo nell’applicazione dell’accordo di pace ha fatto riesplodere i combattimenti nel nordest del paese, dove le truppe sono ancora schierate. Le forze governative si sono scontrate con i ribelli fedeli ad Ali Tamin Fatan, il leader di una milizia che sta cercando di prendere il controllo dei territori a ovest del paese, al confine con la Repubblica Centrafricana e almeno 43 persone sono state uccise e 12mila persone sono fuggite dalle loro abitazioni.

Secondo molti osservatori internazionali, il collasso dell’accordo di pace è da attribuirsi all’assenza di effettive sanzioni in caso di violazioni. Pur di mantenere la pace, persino le Nazioni Unite hanno voltato lo sguardo di fronte a evidenti violazioni. L’Onu starebbe adesso valutando l’ipotesi di inviare soldati per garantire che il cessate il fuoco e gli accordi vengano rispettati.

Ma anche un intervento della comunità internazionale potrebbe essere insufficiente. Tentare di conciliare in un governo di unità nazionale due rivali storici e con un passato di violenza e corruzione come Kiir e Macher, sembra un’ipotesi destinata in tutti i casi al fallimento.

Tuttavia se scoppiasse di nuovo la guerra civile, le conseguenze sarebbero devastanti per la popolazione. Solo nelle condizioni attuali, con due milioni e mezzo di profughi, secondo il World Food Program, circa 4,8 milioni di persone potrebbero soffrire di fame nei prossimi mesi. Insomma, nel quinto anno dalla sua indipendenza, il futuro del Sud Sudan potrebbe essere persino peggiore di quello attuale.

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