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Home » Sport » Calcio

“Vi racconto quando l’Italia andava ai Mondiali”: intervista ad Antonello Valentini

Immagine di copertina
ANSA

"Il rigore di Usa 94? Baggio non stava bene. Nel 2002 in Corea il Trap comprò una collana di perle grazie a Totti. Nel 2014 in Brasile il gruppo era spaccato". Mille aneddoti nell'intervista ad Antonello Valentini, storico ex dirigente della Figc

Antonello Valentini, una vita in Federcalcio: dal 1987 a 2014 sette Mondiali e sei Europei, prima da capo ufficio stampa e poi come direttore generale. Qual è la prima immagine che le viene in mente?

«La Coppa del Mondo vinta nel 2006. Dopo il terzo posto a Italia 90 e il secondo a Usa 94, sono riuscito a coronare un sogno».

S&D
E proprio nell’estate dello scandalo Calciopoli…

«C’era un clima di grande smarrimento: Franco Carraro (all’epoca presidente della Figc, ndr) si era dimesso, alcuni giornali invitavano a non tifare per l’Italia, c’era chi voleva cacciare il commissario tecnico Lippi…».

Ma quel clima infuocato finì per compattare la squadra.

«C’erano calciatori di grande personalità. E Lippi fu bravissimo a cementare il gruppo».

Tra Mondiali ed Europei lei ha “giocato” quattro finali e ne ha vinta solo una. Qual è il secondo posto che brucia di più?

«Usa 94. Ma a pari merito con Euro 2000, quando fummo condannati dal golden gol, regola poi abolita per sempre. Nel 1994, in America, facemmo invece un piccolo errore: dopo la semifinale avremmo dovuto immediatamente traslocare dalla costa est alla costa ovest, dove era in programma la finale e dove faceva molto meno caldo. Rimanemmo qualche giorno nel nostro ritiro nel New Jersey e per colpa delle alte temperature perdemmo molte energie».

Anche in Qatar, oggi, fa molto caldo.

«Sono saltato sulla sedia quando l’altro giorno ho sentito dire a Sepp Blatter (ex presidente Fifa, ndr) che è stata una scelta sbagliata: ma se l’ha fatta lui! Aprire le frontiere del calcio è giusto, ma questo è solo un business, aggravato poi da una situazione insopportabile dal punto di vista dei diritti negati».

Fino al 2018 l’Italia aveva partecipato a 19 edizioni del Mondiale su 21, ora siamo alla seconda consecutiva da assenti. È il momento più basso per il nostro movimento calcistico?

«È un momento critico, ma non dimentichiamo che siamo al sesto posto del ranking Fifa».

Merito dell’Europeo vinto nel 2021.

«Dopo la mancata qualificazione a Russia 2018, Mancini ha saputo ricostruire in pochi mesi una squadra e un clima positivo intorno alla Nazionale. Ma il cantiere è ancora aperto».

Allora il flop del 2018 non fu colpa solo di Ventura…

«Certo che no. Ventura fu lasciato solo dalla Federazione, all’epoca guidata da Tavecchio e Uva».

Qual è il problema del nostro calcio?

«Che i nostri ragazzi non vengono fatti giocare. Si preferisce lasciarli nei campionati giovanili, o in panchina o tribuna. Ma da questo punto di vista rivendico il lavoro che ha fatto e continua a fare la Federazione con il Club Italia: nel 2010 abbiamo chiamato Arrigo Sacchi e Maurizio Viscidi a ricostruire la filiera delle nazionali giovanili. Questo lavoro sta pagando ancora oggi: Scalvini, Miretti, Fagioli, Ricci, Pafundi, ma anche Pessina e Frattesi, vengono da lì».

Boban, dirigente Uefa, dice che dopo Pirlo in Italia non abbiamo più avuto talenti.

«Non lo so. Certo deve finire questa idea, portata avanti da molti tecnici e preparatori atletici nei club, secondo cui per fare il calciatore bisogna essere corazzieri o granatieri di Sardegna. Non è così: anche chi è più basso di statura può essere forte».

Chi è oggi il calciatore italiano più forte?

«Ce ne sono tanti: Immobile, Zaniolo, Tonali, Barella, Chiesa… E Bonucci, nonostante l’età, resta un punto fermo».

Il più grande talento che ha visto nei suoi 27 anni in Figc?

«Tutta la spina dorsale della Nazionale del 2006: Buffon, Cannavaro, Gattuso, Pirlo, Del Piero, Totti».

Il calciatore al quale si sente più legato?

«Anche qui, tanti: Paolo Maldini, Cannavaro, Baggio, Del Piero, Buffon, Donadoni, Ciro Ferrara, De Rossi. Checché se ne dica, i calciatori restano la parte più pura del calcio».

E l’allenatore?

«Arrigo Sacchi: ha dato una svolta al mondo del calcio. Ma anche Dino Zoff e Marcello Lippi. E deve consentirmi di citare Gigi Riva (team manager dal 1990 al 2013, ndr): un carisma magnetico».

Passiamo in rassegna i sette Mondiali che ha vissuto. Cominciamo da Italia 90: quella zuccata di Caniggia in semifinale fa ancora male.

«Il giorno dopo la sconfitta i calciatori stavano facendo allenamento in vista della finale per il terzo posto, quando arrivò una Fiat Croma grigia. Scese Gianni Agnelli: “Sono venuto a salutare, perché quando la Nazionale perde è orfana”. Aveva ragione: la maglia azzurra è una brutta bestia, quando vinci sei un dio, quando perdi diventi orfano».

Usa 94: il rigore sbagliato da Baggio.

«Roberto aveva un problema alla coscia. Mancavano poche ore alla finale e dovevamo fargli un provino per capire se avrebbe potuto giocare. Prendemmo in affitto una grande sala nell’albergo in cui alloggiavamo, a Los Angeles: un salone delle feste con specchi, pareti damascate rosse, candelabri. Eravamo tutti radunati sulla soglia della sala mentre lui calciava delle bordate contro i muri. Ci saranno ancora le ammaccature…».

Alla fine giocò.

«Non stava bene, ma disse di sentirsela. E mi rendo conto che, dopo che ci aveva trascinato fin lì, era difficile dirgli di no. Al contrario, Beppe Signori si rifiutò di giocare perché Sacchi voleva schierarlo sulla fascia anziché in attacco: negli spogliatoi Ancelotti, vice di Sacchi, lo sollevò da terra: “Ma come? Pur di giocare una finale mondiale, io avrei fatto anche il portiere”».

Francia 98: la staffetta Baggio-Del Piero.

«Quel dualismo fu gestito alla perfezione da Cesare Maldini. Uno che parlava poco ma non era certo un debole: una volta cacciò dall’allenamento Buffon perché non era abbastanza concentrato».

Corea 2002: il “furto” dell’arbitro Byron Moreno.

«Fu una vera e propria truffa. Ma le racconto un aneddoto divertente. Una sera eravamo in albergo e arrivò un commerciante di perle: Trapattoni decise di regalare una collana alla moglie Paola e ingaggiò una trattativa estenuante. Un siparietto meraviglioso».

Chi la spuntò?
«Il commerciante era un fan di Totti. Trapattoni allora telefonò a Francesco in camera: “Vieni giù, ti devo parlare”. E Totti: “Ma mister, sono in pigiama. Non possiamo fare domattina?”. “No, è urgente”. Alla fine Totti si presentò nella hall in ciabatte e fece una foto col commerciante: il Trap ebbe la collana con uno sconto del 50%».

Di Germania 2006 il primo ricordo è Cannavaro che alza la coppa o la semifinale vinta contro i padroni di casa?

«La semifinale: ammutolimmo i tedeschi al Westfalenstadion di Dortmund, uno stadio dove non perdevano dal 1974. La mattina della partita andai con mia moglie a pranzo nel centro della città con indosso la divisa della Nazionale. Il cameriere, italiano, mi guardò serio: “Se perdete – disse – voi tornate in Italia, ma noi rimaniamo qui e da domani vivremo un inferno”. Era una partita carica di tensione: vincere fu la svolta del torneo».

Sudafrica 2010: eravamo bolliti?

«Lippi non aveva più gli stimoli e la determinazione di quattro anni prima».

Brasile 2014: si parlò di tensioni nello spogliatoio.

«La squadra non si amalgamò, c’erano tre gruppetti: i giovani come Darmian, Insigne e Immobile; i “senatori”; e poi Cassano e Balotelli, che facevano vita a se stante. Lo dico con grande affetto e riconoscenza verso Prandelli: ci fu troppa tecnologia e poca anima».

Com’è cambiato il calcio in questi trent’anni?

«È diventato più arido dal punto di vista dei rapporti umani. Anche per colpa del ruolo ormai eccessivo affidato ai procuratori, che ormai arrivano a fare tutto per i calciatori. Anche mandare i fiori alla madre per il compleanno. Si è perso il contatto con la realtà».

2026, Mondiali in Canada Usa e Messico: ci saremo?

«Assolutamente sì, non possiamo mancare».

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