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Home » Salute

Il Viagra potrebbe prevenire l’Alzheimer: lo studio

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Secondo uno studio il Viagra potrebbe prevenire l’Alzheimer

Il Viagra potrebbe prevenire l’Alzheimer: è quanto emerge da uno studio pubblicato su Nature Aging e ripreso da numerosi media internazionali.

Secondo la ricerca, infatti, la nota pillola blu, utilizzata per la disfunzione erettile e l’ipertensione polmonare, potrebbe aiutare a migliorare la salute del cervello e ridurre i livelli di proteine ​​​​tossiche: tutti fattori che provocano la forma più comune di demenza.

Lo studio, realizzato presso l’Ospedale di Cleveland, negli Stati Uniti, è stato condotto attraverso l’analisi sui dati di oltre 7 milioni di cittadini statunitensi ed è emerso che chi assumeva Viagra aveva quasi il 70% di probabilità in meno di sviluppare l’Alzheimer nei sei anni successivi.

Interpellata da La Repubblica, Federica Agosta, associato di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile dell’unità di Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’Irccs Ospedale San Raffaele, spiega come è stato condotto lo studio e perché non bisogna arrivare a conclusioni affrettate.

“I ricercatori hanno analizzato i dati sui sinistri assicurativi di oltre sette milioni di persone negli Stati Uniti e valutato il rischio di sviluppare malattia di Alzheimer in 6 anni. Tra questi soggetti hanno in particolare analizzato anche coloro che assumevano sildenafil, tendenzialmente uomini visto che il principio attivo è utilizzato soprattutto per contrastare la disfunzione erettile”.

“Nei soggetti che hanno assunto per sei anni il farmaco si è riscontrato quasi il 70% in meno di rischio di Alzheimer rispetto a chi non lo ha preso” spiega ancora l’esperta.

“Ma attenzione: il disegno dello studio – chiarisce Agosti – non può dimostrare una relazione diretta tra l’uso del farmaco e il rischio di Alzheimer. È fondamentale chiarire che i ricercatori non hanno testato l’efficacia del sildenafil nei pazienti ma solo una possibile associazione statistica tra assunzione del farmaco e rischio di malattia rispetto all’assunzione di altri farmaci”.

La ricerca, comunque, potrebbe aprire la strada a ricerche più approfondite per contrastare una malattia che colpisce centinaia di persone in tutto il mondo, di cui circa un milione solamente in Italia, e per la quale attualmente non esistono ancora trattamenti specifici.

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