La patologia silenziosa di cui non parla nessuno: tutti i dati sull’obesità nel mondo, in Europa e in Italia
Oltre due miliardi di adulti e quasi 500 milioni di bambini in tutto il mondo sono in sovrappeso. Ma in Italia il Sud resta il grande malato. Ecco perché questa condizione è una delle principali sfide alla salute pubblica
L’obesità è oggi riconosciuta come una delle grandi emergenze di salute pubblica. Non è solo una questione estetica o di peso: si tratta di un fattore di rischio per diabete, malattie cardiovascolari, alcuni tumori e numerose altre patologie croniche. Secondo le stime più recenti, riportate a marzo di quest’anno dal quotidiano britannico The Guardian, nel mondo oltre 2,1 miliardi di adulti vivono in condizioni di sovrappeso o obesità, mentre quasi 500 milioni di bambini e ragazzi ne sono già colpiti. L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) sottolinea che la prevalenza dell’obesità infantile (5-19 anni) è passata dal 3 per cento circa nel 2000 a oltre il 9 per cento negli ultimi anni (Unicef, 2024). Le proiezioni sono allarmanti: secondo il quotidiano francese Le Monde, senza interventi efficaci, entro il 2050 più della metà degli adulti e un terzo dei bambini nel mondo potrebbero essere in sovrappeso o obesi.
Panoramica continentale
In Europa la situazione non è meno preoccupante. Secondo il progetto “Cosi – Childhood Obesity Surveillance Initiative”, promosso dall’Oms Europa, nella rilevazione 2024 circa un quarto dei bambini tra i 7 e i 9 anni è in sovrappeso e l’11 per cento è obeso (Who Europe, 2024). Nel ciclo precedente (2018-2020) i dati parlavano di un 29 per cento complessivo, con una leggera prevalenza nei maschi (31 per cento) rispetto alle femmine (28 per cento) (Who Europe, 2023). Tra gli adulti la fotografia è altrettanto chiara: Eurostat indica che nel 2022 le persone con sovrappeso rappresentavano oltre il 50 per cento della popolazione in molti Paesi dell’Unione, con punte particolarmente elevate in alcune aree dell’Est e del Nord Europa (Eurostat, 2022). Un’analisi di Eufic segnala inoltre che il rischio di obesità cresce con l’età, raggiungendo livelli molto alti nelle fasce 65-74 anni (Eufic, 2023).
E in Italia? I dati più recenti provengono dal sistema di sorveglianza OKkio alla Salute, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. Nel 2023, il 19 per cento dei bambini era in sovrappeso (esclusa obesità) e quasi il 10 per cento obeso, di cui il 2,6 per cento con obesità severa (Epicentro Isa, 2024). Negli ultimi quindici anni si osserva un miglioramento: nel 2008/09 i bambini con eccesso di peso erano il 23,2 per cento, mentre oggi la quota è scesa di circa quattro punti. Resta però una forte disparità territoriale: nelle regioni del Sud le percentuali sono più alte e le condizioni socioeconomiche familiari pesano notevolmente sul rischio di obesità infantile (Bmc Public Health, 2019; Pmc, 2023). Gli adulti italiani presentano valori più contenuti rispetto ad altri Paesi europei, ma non trascurabili. Eurostat (2022) stima che circa il 31 per cento delle donne italiane sia in sovrappeso, una delle percentuali più basse dell’Unione, mentre tra gli uomini i valori sono più alti e in crescita. Secondo il Global Obesity Observatory, l’Italia si colloca nella fascia di rischio medio, ma con un trend in aumento costante negli ultimi decenni (World Obesity, 2024). Anche in questo caso emergono differenze marcate tra Nord e Sud, segno che il contesto territoriale incide profondamente.
L’impatto del Covid
La pandemia di Covid non smette di produrre effetti anche a distanza di anni e infatti ha rappresentato una cesura netta anche per il tema dell’obesità. Durante i lockdown, l’attività fisica dei bambini e degli adolescenti è drasticamente calata: palestre, scuole e spazi sportivi chiusi, minore tempo trascorso all’aperto e maggiore esposizione agli schermi. Contestualmente, molte famiglie hanno aumentato il consumo di cibi pronti, snack e bevande zuccherate. Uno studio dell’Oms Europa del 2024 sottolinea che, nel periodo post-Covid, i dati sull’obesità infantile mostrano un peggioramento rispetto al trend decrescente degli anni precedenti.
In Italia, l’indagine “OKkio alla Salute” ha rilevato che, soprattutto tra i più piccoli, sono aumentati i comportamenti sedentari, come il tempo passato davanti a tv e dispositivi elettronici. Anche negli adulti si è osservato un aumento medio di peso, legato sia alla riduzione dell’attività fisica che a un peggioramento delle abitudini alimentari durante l’emergenza sanitaria. Questi cambiamenti, seppur temporanei, rischiano di avere effetti permanenti, consolidando nuove abitudini poco salutari.
Il confronto regionale
L’Italia offre un quadro molto disomogeneo. Secondo i dati 2024 dell’Iss, nel Nord la prevalenza di sovrappeso e obesità infantile è significativamente più bassa: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Trentino-Alto Adige presentano valori inferiori alla media nazionale. Al Centro la situazione è intermedia, con regioni come Toscana e Marche che si collocano a metà classifica. Il Sud, invece, mostra dati preoccupanti: in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia oltre un bambino su quattro è in sovrappeso o obeso. Le differenze sono riconducibili a più fattori: minore livello di istruzione dei genitori, contesto economico più fragile, minore accesso a strutture sportive e a percorsi di educazione alimentare. Un’analisi pubblicata sulla rivista scientifica Bmc Public Health (2019) conferma che le disuguaglianze territoriali riflettono quelle socioeconomiche e rischiano di ampliare ulteriormente il divario di salute tra le regioni italiane. Il problema non si limita alla salute individuale. Le conseguenze sociali ed economiche sono pesantissime: l’obesità genera costi sanitari diretti (cure, ospedalizzazioni, farmaci) e indiretti (giornate di lavoro perse, disabilità), oltre a un impatto sulla qualità della vita e sulla salute mentale, aggravato dallo stigma e dalla discriminazione (Pmc, 2022). L’Italia spende miliardi di euro all’anno per malattie legate al peso in eccesso.
Tra i fattori determinanti emergono con chiarezza l’ambiente obesogeno, di cui parleremo più avanti, la sedentarietà crescente legata a scuola, lavoro e uso intensivo di dispositivi elettronici, l’urbanizzazione con città poco adatte al movimento, e le disuguaglianze socioeconomiche che limitano l’accesso ad alimenti sani e spazi sicuri per l’attività fisica. Su questi aspetti incidono anche la genetica, i modelli culturali e le abitudini familiari, ma è l’ambiente sociale e politico a fare la differenza.
L’ambiente obesogeno
Quando si parla di “ambiente obesogeno” ci si riferisce all’insieme delle condizioni fisiche, sociali ed economiche che favoriscono l’aumento di peso e ostacolano stili di vita sani. Significa, ad esempio, vivere in contesti in cui cibi ultraprocessati, ad alta densità calorica e basso costo, sono molto più accessibili e pubblicizzati rispetto a frutta, verdura o alimenti freschi. Rientra in questo concetto anche la diffusione capillare di fast food, distributori automatici e marketing aggressivo rivolto ai bambini, che orienta precocemente le preferenze alimentari. Ma l’ambiente obesogeno non riguarda solo l’alimentazione: influiscono anche gli spazi urbani e la possibilità di muoversi. Quartieri privi di aree verdi, piste ciclabili o marciapiedi sicuri, città progettate intorno all’uso dell’automobile, scuole senza palestre adeguate, luoghi di lavoro sedentari: tutto contribuisce a ridurre le occasioni di attività fisica. Secondo l’Oms, è l’interazione tra queste condizioni a determinare l’aumento del rischio: non è il singolo individuo che “sceglie male”, ma un contesto che rende più difficile scegliere bene. Per questo, modificare l’ambiente obesogeno è considerata una strategia centrale nelle politiche contro l’obesità: serve intervenire su urbanistica, trasporti, offerta alimentare, regolamentazione del marketing e promozione di spazi e tempi per l’attività fisica.
Le esperienze internazionali mostrano che alcune politiche possono funzionare: tassazione delle bevande zuccherate, etichettature chiare, limitazioni al marketing rivolto ai minori, programmi scolastici di educazione alimentare e promozione dell’attività fisica. Tuttavia, nessun intervento da solo è sufficiente: serve un approccio multilivello, che tenga insieme educazione, regolamentazione, pianificazione urbana e riduzione delle disuguaglianze. “Pesare i numeri” significa allora non fermarsi alla statistica, ma usarla come strumento di azione. Il quadro che emerge dai dati globali, europei e italiani ci ricorda che l’obesità non è una condizione inevitabile: è il risultato di scelte politiche, sociali e culturali. Intervenire oggi, soprattutto nei contesti più fragili e tra i più giovani, significa ridurre il peso di domani — in termini di malattie, costi e vite segnate.