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Home » Salute

Obesità raddoppiata nel mondo in 15 anni: come curare la malattia del secolo

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Oggi nel mondo 1 persona su 8 soffre di obesità. Ormai è diventata un’epidemia globale. Ecco cosa possiamo fare per invertire il trend. A partire dall’Italia

Obesità, la malattia del secolo: tutto quello che c’è da sapere

Il ventennio tra il 2010 e il 2030 passerà alla storia come il periodo in cui l’obesità è diventata un’epidemia globale. Quindici anni fa gli adulti obesi nel mondo erano 524 milioni, nel 2022 erano aumentati a 890 milioni, secondo le previsioni della World Obesity Federation nel 2030 saranno 1,13 miliardi: si profila dunque un incremento del 115% in vent’anni, durante i quali la popolazione mondiale dovrebbe crescere del 23%.

All’origine di questa impennata ci sono diversi fattori. Uno dei più determinanti sta nell’industrializzazione del sistema alimentare, che ha globalizzato la diffusione di modelli malsani, caratterizzati da un elevato consumo di cibi ultra-processati e bevande zuccherate. A ciò corrispondono crescenti difficoltà nel reperire alimenti sostenibili a prezzi contenuti. Ma incidono anche l’affermarsi di stili di vita sedentari e l’assenza, talvolta, di leggi e regolamenti efficaci nel prevenire o contrastare il fenomeno.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sottolinea che l’obesità è una «responsabilità sociale più che individuale» e che «le soluzioni vanno trovate attraverso la creazione di ambienti e comunità che integrino un’alimentazione sana e una regolare attività fisica come i comportamenti più accessibili, disponibili e convenienti nella vita quotidiana». Il problema, dunque, non si risolve nelle singole scelte individuali, ma va affrontato a livello sistemico. 

L’Italia, per una volta, spicca in positivo: lo scorso primo ottobre, con l’approvazione definitiva della Legge Pella (dal nome del deputato di Forza Italia che ne è il primo firmatario), il nostro Paese è diventato il primo al mondo a riconoscere l’obesità come una malattia. Ci si aspettano quindi importanti passi in avanti in termini di assistenza sanitaria, mutuabilità dei farmaci e misure di prevenzione.

Obesità: come si fa la diagnosi

L’Oms definisce l’obesità come «una malattia cronica complessa caratterizzata da eccessivi depositi di grasso che possono compromettere la salute». Il parametro utilizzato per diagnosticarla è l’indice di massa corporea (Imc), che si ricava dividendo il peso in chilogrammi di un individuo per il quadrato della sua altezza in metri quadrati: se l’indice è superiore a 25, l’individuo è sovrappeso, se è superiore a 30 è considerato obeso.
LEGGI ANCHE: Obesità, il presidente di Aifa Robert Nisticò a TPI: “La prevenzione è un dovere dello Stato”

I numeri in Italia e nel mondo

Secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, aggiornati al 2022, è obeso il 16% degli adulti nel mondo, dove per “adulto” si intende una persona con più di 18 anni. Ma l’obesità colpisce anche 160 milioni di bambini e adolescenti: l’8% della popolazione nella fascia d’età 5-19 anni (nel 1990 erano il 2%). 

Secondo un rapporto diffuso lo scorso settembre dall’Unicef, quest’anno per la prima volta l’obesità ha superato il sottopeso come forma più diffusa di malnutrizione, interessando un bambino in età scolare e adolescenziale su dieci.

L’evento nuovo degli ultimi anni è che questa malattia, che prima era un problema esclusivo dei Paesi ricchi, ha contagiato anche popolazioni a reddito medio-basso, sempre più esposte a cibi ricchi di grassi, zuccheri, sale, energia e micronutrienti, che tendono ad avere un costo inferiore ma anche una qualità nutrizionale inferiore. Un esempio è il Brasile, dove il tasso di diffusione dell’obesi. tà è triplicato dall’8,6% del 1990 al 28,1% del 2022.

Negli Stati Uniti  è obeso il 40% degli adulti. A livello europeo, il record negativo ce l’hanno Malta per gli adulti maschi (28,7%) e Lettonia per le donne (23,9%), mentre l’Italia è in assoluto il Paese più virtuoso: 7,9% tra i maschi, 6,1% tra le femmine (anche se l’Istat nel 2023 ha rilevato che l’11,8% degli adulti è in condizione di obesità).

Tuttavia, le cose si fanno ben più allarmanti se si parla di obesità infantile: nella fascia d’età tra i 7 e i 9 anni, l’Italia figura al terzo posto in Europa con un’incidenza media del 17%, inferiore solo a quelle che si registrano in Cipro e Grecia.

Obesità: le cause e lo stigma sociale

È piuttosto diffusa la convinzione secondo cui l’obesità sarebbe, in fin dei conti, il risultato di comportamenti colpevoli dal punto di vista alimentare: un frutto avvelenato prodotto da pigrizia, mancanza di forza volontà e assenza di amor proprio. Si tratta di una narrazione pericolosa – perché può portare all’isolamento sociale degli individui che ne soffrono – ma soprattutto basata su premesse false.

L’obesità è a tutti gli effetti una malattia, e come tale va trattata. Come spiega l’Oms, nella maggioranza dei casi insorge a causa di una molteplicità di fattori che vanno dalla genetica all’ambito psico-sociale fino all’ambiente socio-economico nel quale si vive.

Esistono diversi studi scientifici che dimostrano come questa patologia abbia una componente legata al Dna: è stato rilevato, ad esempio, come i fratelli gemelli monozigoti tendano ad avere una maggiore somiglianza nell’indice di massa corporea rispetto agli eterozigoti.
Talvolta possono incidere, a livello individuale, anche problemi di salute mentale – come depressione, disturbi dell’emotività o disturbi del comportamento alimentare – oppure malattie di tipo ormonale che vanno ad alterare il metabolismo.

Anche alcuni farmaci – in primis certi antidepressivi – possono contribuire allo sviluppo dell’obesità, facendo aumentare l’appetito, riducendo il metabolismo energetico o stimolando la proliferazione delle cellule adipose.

Si parla inoltre di di «ambiente obesogenico» per descrivere un contesto che esacerba la probabilità di obesità: si pensi a elementi strutturali che limitano la disponibilità di cibo sano e sostenibile a prezzi accessibili, alla mancanza di mobilità fisica nella vita quotidiana, all’assenza di un adeguato contesto normativo o all’incapacità del sistema sanitario di prevenire e contrastare il fenomeno.

Stiamo parlando di una malattia che, per giunta, può provocarne altre: può aumentare il rischio di diabete di tipo 2, di malattie cardiache, può compromettere la salute delle ossa e la riproduzione, può elevare il rischio di alcuni tumori. 

In rari casi, l’obesità può anche uccidere: nel 2021 un Imc superiore a quello ottimale ha causato circa 3,7 milioni di decessi per patologie non trasmissibili come malattie cardiovascolari, diabete, tumori, disturbi neurologici, malattie respiratorie croniche e disturbi digestivi.

Come si cura l’obesità: le terapie

Posto, dunque, che l’obesità è un problema prima sociale che individuale, dal punto di vista del singolo per contrastarla non basta seguire una strada sola. Bisogna innanzitutto associare abitudini alimentari corrette ed esercizio fisico regolare. In alcuni casi può aggiungersi una terapia farmacologica, mentre nelle situazioni più gravi si può ricorrere all’intervento chirurgico. L’approccio, insomma, deve essere multidisciplinare.

Per perdere peso, è essenziale in primis consumare meno calorie di quante se ne bruciano: una dieta sana si basa quindi su cibi nutrienti e a bassa densità energetica, come frutta, verdura, cereali integrali, proteine magre, mentre limita grassi saturi e zuccheri aggiunti, presenti ad esempio  in alimenti ultra-processati e dolciumi. Questi sforzi a tavola, peraltro, rischiano di risultare vani se non accompagnati a un’attività fisica regolare.

In alcuni casi, lo specialista medico a cui ci si rivolge può consigliare anche di ricorrere ai farmaci. Nel nostro Paese, in particolare, le Linee Guida della Società Italiana dell’Obesità (Sio) approvate dall’Istituto Superiore di Sanità, raccomandano, a seconda degli specifiche situazioni: semaglutide, tirzepadite, orlistat, liraglutide e la combinazione naltrexone/bupropione. Questi medicinali si sono dimostrati efficaci nel favorire una sensibile perdita di peso, ma c’è un problema: hanno prezzi non accessibili a tutti e il Servizio sanitario nazionale – così come la quasi totalità dei sistemi sanitari in tutto il mondo – non prevede alcun rimborso.

Il discorso vale specialmente per quanto riguarda semaglutide e tirzepadite, che negli ultimi anni hanno portato una piccola rivoluzione nelle terapie farmacologiche dell’obesità: un trattamento costa dai 300 ai 600 euro al mese. Un esborso che molti pazienti faticano ad affrontare.

Per le situazioni più gravi – quando l’Imc è superiore a 40 o quando è superiore a 35 e associato ad altre patologie – è possibile anche ricorrere alla chirurgia. I due interventi più eseguiti al mondo sono la gastrectomia a manica e il bypass gastrico. La prima trasforma lo stomaco in un “tubo” o “manica”, rimuovendone una parte significativa (fino all’80%), la seconda consiste sostanzialmente nel dividere lo stomaco in due parti, una delle quali viene collegata direttamente a una parte più avanzata dell’intestino tenue, “bypassando” il resto dello stomaco e la parte iniziale dell’intestino. In entrambi i casi le operazioni possono essere effettuate a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Un problema non individuale, ma di sistema

L’Oms stima che i costi globali del sovrappeso e dell’obesità potrebbero raggiungere i 3 trilioni di dollari all’anno entro il 2030 e superare i 18 trilioni di dollari entro il 2060. L’Organizzazione auspica quindi «azioni strutturali, fiscali e normative volte a creare ambienti alimentari sani che rendano disponibili, accessibili e desiderabili opzioni alimentari più sane».

In Italia qualcosa si muove. La Legge Pella, approvata all’inizio di questo mese, è la prima al mondo a riconoscere l’obesità come una malattia. Ciò comporta l’inclusione di questa patologia tra le condizioni che danno diritto a «prestazioni contenute nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) erogati dal Servizio Sanitario Nazionale». In altre parole, la nuova norma apre la strada alla possibilità di riconoscere la mutuabilità dei farmaci anti-obesità.

Ma non solo. La Legge Pella prevede anche il finanziamento di un programma nazionale da circa 1,5 milioni di euro all’anno per la prevenzione e la cura. Perché per contrastare questa inedita epidemia globale è fondamentale intervenire alla radice. 

La lotta all’obesità deve essere condotta dai singoli individui, dalla politica, dai sistemi sanitari, dalle case farmaceutiche, dalle industrie alimentari. E per riuscirsi bisogna chiarire una volta per tutte un concetto nelle opinioni pubbliche: l’obesità è una malattia, non una colpa.

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