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Home » Salute

L’impegno di Medtronic per l’Italia: “Due Hub nel Sud e Milano capitale europea del Digital Health”

Immagine di copertina
Michele Perrino, dopo esperienze in Belgio e negli USA, dal 2016 è CEO di Medtronic Italia

Intervista a Michele Perrino, CEO dell'azienda che produce proprio in Italia la strumentazione utilizzata nelle terapie intensive: "Il progetto Medtronic Open Innovation Hub è stato pensato prima del Covid-19, ma ha ancora più senso adesso, per rilanciare il Paese"

Con lo sviluppo di due poli nel Sud d’Italia, a Napoli e a Lecce, il progetto “Medtronic Open Innovation Hub” prosegue con un impatto ancora più significativo per via della pandemia da Covid-19, pur essendo stato concepito molto prima. Il ruolo stesso della multinazionale americana Medtronic, leader nel settore delle tecnologie mediche, è diventato di primissimo piano nel corso della crisi sanitaria: è proprio nei suoi stabilimenti italiani che viene prodotta la maggior parte degli strumenti utilizzati nei reparti di terapia intensiva e rianimazione, purtroppo sempre più frequentati.

S&D

Per approfondire i temi legati alla pandemia di Covid-19, agli Hub del Meridione e più in generale al settore dell’healthcare, TPI ha intervistato Michele Perrino, che dal 2016 è CEO di Medtronic Italia, tra le prime tre aziende del settore nel nostro Paese. La centralità del nostro Paese nel business internazionale di Medtronic è bene descritta dai numeri: “Siamo presenti in Italia dal 1976 e nel corso degli anni siamo cresciuti sia organicamente che attraverso acquisizioni (quattro negli ultimi otto anni). Oggi il nostro Paese rappresenta per Medtronic il secondo hub strategico, con produzione, distribuzione e ricerca clinico-scientifica, e il quarto mercato sul piano commerciale. Il distretto biomedicale di Mirandola è il secondo per importanza al mondo. In Italia abbiamo otto diverse legal entity, tutte cresciute negli ultimi anni, e circa 2.500 dipendenti. Io sono il rappresentante legale della parte commerciale e coordino il Forum che riunisce le otto legal entity”, spiega Perrino.

L’Hub di Lecce nasce dalla collaborazione tra Medtronic, Università del Salento, Istituto di Nanotecnologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR Nanotec) e Center for Biomolecular Nanotechnologies dell’Istituto Italiano di Tecnologia
Quali sono le aree terapeutiche nelle quali siete presenti?

“Sono più di 80, grazie a un’espansione del portafoglio che è frutto di una precisa visione. Ci viene riconosciuto di essere stati i primi, dodici anni fa, ad aver abbracciato un’ambizione diversa da quella di essere dei semplici supplier di un prodotto: abbiamo scelto di essere misurati sull’outcome complessivo, passaggio che ha provocato una rivoluzione sia all’interno della nostra azienda che più in generale nel settore dei farmaci e del medtech nel mondo. Conseguentemente, si è sviluppata anche la nostra attività. Siamo partiti dal cuore (visto che nasciamo come produttori di pacemaker, con una storia decisamente particolare), poi siamo passati a diverse terapie cardiovascolari, all’area del diabete, della neuroscienza e, dal 2015, a seguito di un’acquisizione, alla chirurgia su vari distretti anatomici. A Mirandola abbiamo due hub di produzione su due terapie: una sulla dialisi (che ora viene fatta a casa del paziente, non più solo in ospedale) e l’altra sulla terapia intensiva e rianimazione. Entrambe sono frutto di acquisizioni e producono per tutto il mondo. Specialmente in questa fase di difficoltà legata alla pandemia, è richiesta una grandissima qualità. A parte i ventilatori polmonari, produciamo qui in Italia tutti gli strumenti che vengono utilizzati nei reparti di terapia intensiva e rianimazione. Siamo leader di queste tre aree (compresa la dialisi) che oggi ovviamente rappresentano un forte interesse per tutto il mondo e anche per questo stiamo crescendo molto”.

Come ha impattato il fenomeno-Covid sulla vostra attività? La crescente domanda di posti in terapia intensiva ha messo sotto pressione anche voi?

“Il Covid-19, come per tanti altri aspetti, ha accelerato un processo che era già pianificato. I siti produttivi di Mirandola, Bellco e Dar erano già stati acquisiti, per una decisione precedente, e ovviamente la pandemia ha dato un ulteriore, fortissimo, impulso alla focalizzazione su quest’area. Non direi che siamo stati messi sotto pressione, perché fin da febbraio, con la prima ondata di contagi, abbiamo aumentato la produzione del 60%, senza nemmeno aspettare gli ordini da parte dei clienti. Abbiamo aggiunto personale su entrambi i siti, che sono operativi 24 ore al giorno, sette giorni su sette, weekend compresi. Questo ci ha consentito di gestire questa enorme inaspettata richiesta, senza che vi fossero particolari problemi”.

Prima accennava a un episodio particolare relativo alla nascita di Medtronic: di cosa si tratta?

“L’azienda è nata a Minneapolis nel 1949, dopo un intervento cardiochirugico finito male. A causa di un blackout i macchinari hanno smesso di funzionare e il paziente, un bambino, è morto. Dopo quella tremenda esperienza, il cardiochirurgo Clarance Lillehei si è rivolto a un elettricista locale, Earl Bakken, chiedendogli di escogitare un sistema per cui cose del genere non si ripetessero più. Nel suo garage, insieme al fratellastro, Bakken ha inventato il primo pacemaker esterno, autonomo dalla corrente. Da lì è nato tutto il filone della stimolazione (poi anche di tipo spinale-vertebrale, per l’incontinenza e per il Morbo di Parkinson) ed è partita anche la storia di Medtronic. Bakken ha presto capito che la gestione diretta dell’azienda non faceva per lui, quindi se ne è tirato fuori, ma tenendo per se’ la cura di due aspetti: la fondazione, con la quale tuttora facciamo molto nel sociale, e la missione. Ogni operazione fatta in seguito ha dovuto passare questo tipo di vaglio di coerenza e c’è da dire che l’Italia si è contraddistinta come il Paese che meglio ha interpretato la trasformazione di cui parlavo prima. Questo almeno negli ultimi dieci anni e in particolare dal 2016 in avanti, con il mio arrivo, perché ci ho sempre puntato molto. Passare dalla logica del prodotto a quella del valore ha comportato tantissimi investimenti, un cambio di governance, acquisizioni e anche una trasformazione esterna. In questo siamo stati guidati dalla missione aziendale”.

Esistono altri motivi per cui l’Italia riveste un ruolo così centrale per Medtronic?

“Per quanto riguarda l’Italia, negli ultimi anni si è aggiunta anche una consapevolezza particolare. Noi qui fatturiamo circa un miliardo di euro e, quando rappresenti un’azienda che ha un’importanza tale, non puoi non avere un ruolo di responsabilità, che io definisco di ‘restituzione alla comunità’. Per questo negli ultimi quattro anni abbiamo fortemente aumentato le iniziative di restituzione al nostro Paese, in tanti ambiti. Quelle di Lecce e Napoli fanno parte del progetto Medtronic Open Innovation Hub, pensato nel 2017, quindi molto prima della pandemia, e che in questo momento rappresenta il progetto di CSR più importante tra quelli che stiamo conducendo. E’ importante per il tipo di impatto che ha: non abbiamo paracadutato strutture nel deserto, ma abbiamo investito dal basso, per far crescere talenti e competenze che potessero entrare nel mercato”.

Quali ragioni vi hanno spinto a scegliere questa modalità?

“Ci siamo resi conto che il medtech italiano negli ultimi anni era quasi scomparso: molte aziende hanno chiuso oppure hanno delocalizzato. Oltre a invertire questo trend, abbiamo voluto affermare il valore del medtech come un cardine della crescita economica, considerando anche che questa industria è di basso impatto ecologico e di elevato impatto nel senso del benessere. Paradossalmente, nel nostro Paese c’era scarsità di imprese, ma elevato ingegno: mancava un ponte tra le competenze e il mercato. Da queste premesse è nato Medtronic Open Innovation Hub, che per le sue caratteristiche è un progetto davvero unico. Oltretutto non è un progetto monopolistico, ma inclusivo e aperto”.

Quali sono state le tappe del progetto?

“Siamo partiti nel 2017 con l’hub di Milano. A cavallo tra il 2018 e il 2019 siamo passati al distretto di Mirandola, dove ci sono un centinaio di imprese biomedicali che vivono un momento di difficoltà e che anche grazie a noi stanno lavorando per la rinascita. Da un anno a questa parte stiamo lavorando su Lecce: pur essendo stato pensato prima della pandemia, il progetto è quantomai attuale oggi, per i risvolti che esso ha, sia in termini di benefici per il paziente, che di sostenibilità e di territorialità. Oggi tutti parlano di ‘benessere’ quale convergenza tra salute e crescita economica e a Lecce abbiamo trovato un ecosistema ideale, con competenze eccellenti come quelle dell’Università, del CNR Nanotecnologia e di un’importante filiale dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Nel Salento ci sono problemi come una qualità clinica non all’altezza della media italiana e una forte mortalità per malattie come il tumore ai polmoni. L’arrivo di Medtronic ha consentito non solo di rilanciare l’economia, ma di lavorare in un senso più ampio sul fondamentale concetto di salute, anche grazie ai partner pubblici che hanno creduto nell’iniziativa. E’ stata aperta la facoltà di Ingegneria Biomedica, verrà lanciata una Medical School (congiunzione di diverse facoltà nel campo ingegneristico e medico), è stato creato il distretto biomedicale, un incubatore a disposizione di tutte le imprese che ne hanno bisogno. A Napoli, ultima tappa di questo percorso, la situazione è simile e anche qui c’è un tema sanitario molto forte: ad esempio c’è il più alto tasso di crescita dell’obesità infantile in Europa, nonché moltissime cronicità nell’ambito del cardiovascolare, a cui ora purtroppo si legano anche i temi economici e sociali legati alla pandemia”.

Veniamo infine all’area di Napoli, o più precisamente di San Giovanni a Teduccio…

“Si tratta di un’area un tempo occupata dalla Cirio e poi dismessa. Quando l’ho visitata, mi sono reso conto che anche lì c’erano gli ingredienti per fare qualcosa di speciale. Il primo è il patto tra territorio e ricerca, che ha dato nuove speranze a un territorio degradato. Sono stati premiati dall’arrivo di Apple, che diversi anni fa vi ha installato la sua Academy, lo stesso hanno fatto Cisco e altre aziende più piccole: quando l’ho visitato me ne sono innamorato, anche perché sono un uomo del Sud, che viene dalla periferia, e lì ho visto la voglia di riscatto e di fare cose giuste. Le stesse cose che avevo visto in Salento. Paradossalmente, in questo momento in Italia ci sono le risorse economiche, ma mancano le idee e la gente di buona volontà. Quello che stiamo creando a Napoli è un grande spazio (fisico, ma anche virtuale) che ‘unisca i puntini’ creando una rete che lavorerà su due aree: la prima è quella legata alla competenza e formazione e la seconda alla connessione delle realtà imprenditoriali, locali e non, che possano andare lì per fare impresa. E, al contrario di quello che avviene con il 95% delle startup italiane, vogliamo che queste imprese possano arrivare veramente sul mercato: a questo serve il supporto di Medtronic”.

Qual è il rapporto che lega tra loro i vostri quattro Hub?

“Si occupano di aspetti diversi e sono connessi in maniera sinergica: Napoli lavora sul connected care, Lecce su sensoring e monitoring, Mirandola su manifattura (stampa 3D e bioplastica) e medical waste e Milano sul digital health, con una serie di novità che presto annunceremo. Proprio il digital health sarà il tema del Global Health Summit che si svolgerà nell’ottobre del prossimo e che deve poter candidare Milano come la Capitale europea di quest’ambito. La nostra ambizione è che proprio il nostro lavoro su Milano, in collaborazione con altri attori pubblici e privati, crei le condizioni affinché ciò avvenga”.

L’HealthTech Innovation hub (HI) è un polo dedicato allo sviluppo di Tecnologie per la salute presso il Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati (CeSMA) del Complesso Universitario San Giovanni a Teduccio, nato dalla collaborazione tra l’Università Federico II di Napoli e Medtronic Italia
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