L’economista Claudio Jommi spiega a TPI perché curare l’obesità conviene al sistema-Paese
"È un tema sanitario ma anche economico. Spendiamo oltre 13 miliardi di euro ogni anno per contrastare questa malattia, pari allo 0,7% del Pil. Ma solo il 59% in sanità”, spiega a TPI il docente di Economia Aziendale all’Università del Piemonte Orientale. Tra nuovi farmaci, costi indiretti e prevenzione, intervenire oggi ci permetterà di risparmiare domani. Migliorando conti e salute
In Italia l’obesità non è più un tema di costume o di stili di vita, ma una vera e propria malattia cronica, progressiva e recidivante, lo si è stabilito con una legge approvata dal Senato il 1° ottobre 2025. Una svolta che arriva in un momento in cui il dibattito pubblico guarda ai nuovi farmaci anti-obesità, derivati da quelli per il diabete, e al loro potenziale impatto sulla spesa sanitaria nazionale.
I molteplici impatti
«L’obesità è un tema sanitario ma anche economico, perché coinvolge non solo i costi delle cure ma anche la produttività e l’organizzazione del lavoro», spiega a TPI Claudio Jommi, professore ordinario di Economia Aziendale all’Università del Piemonte Orientale. L’economista – che non ha condotto direttamente uno studio sui costi ma ha ripreso un’analisi modellistica italiana pubblicata nel 2022 sulla rivista The European Journal of Health Economics e riferita al 2020 – spiega che «secondo quello studio, il costo complessivo dell’obesità in Italia è di 13,34 miliardi di euro, pari allo 0,7% del Pil. Di questi, il 59% sono costi sanitari (pari al 4,8% della spesa sanitaria complessiva), in prevalenza associati a patologie cardiovascolari, che da sole rappresentano l’84% della spesa. Gli interventi specifici sull’obesità, come la chirurgia bariatrica, pesano appena per il 3%».
Jommi sottolinea anche il ruolo dei costi indiretti, spesso trascurati. «Tra questi, il “presenteismo” — la presenza sul lavoro in condizioni di inefficienza — rappresenta più della metà del costo complessivo. In realtà non credo vi siano spese “nascoste” o non considerate: il problema non è ciò che manca, ma la vastità dell’impatto complessivo sul sistema-Paese». Negli ultimi mesi l’attenzione si è concentrata sui farmaci di nuova generazione — liraglutide, semaglutide e tirzepatide — che promettono risultati significativi nella riduzione del peso corporeo. Ma quanto sono sostenibili per la sanità pubblica? «Le evidenze internazionali sulla costo-efficacia di questi farmaci sono ancora limitate e molto eterogenee nei risultati», osserva Jommi. «In generale, producono un incremento dei benefici, ma anche dei costi: il prezzo dei farmaci, utilizzati in modo continuativo, è superiore ai costi evitati grazie alla minore incidenza di patologie correlate. Ma questo accade per molti farmaci innovativi».
La questione “costo-efficacia”
L’indicatore chiave resta l’Icer (Incremental Cost-Effectiveness Ratio), che misura il rapporto tra costi aggiuntivi e benefici incrementali. «L’entità di questo rapporto cambia molto da uno studio all’altro — continua Jommi — a seconda del costo del farmaco, della popolazione target e della prospettiva adottata». Uno dei nodi più delicati riguarda la rimborsabilità. Nel Regno Unito, ad esempio, il National Institute for Health and Care Excellence (Nice) adotta criteri molto stringenti. «Il Nice utilizza sistematicamente la costo-efficacia come strumento decisionale — spiega Jommi — con una soglia tra 20 e 30 mila sterline per anno di vita in perfetta salute. Questo lo ha portato a essere piuttosto restrittivo, ma allo stesso tempo ha deciso di rimborsare tutti e tre i farmaci per l’obesità, limitandone però l’uso a pazienti con alto indice di massa corporea, profili di rischio elevati o patologie concomitanti».
Secondo l’economista, questa potrebbe essere la via anche per l’Italia. «Un rimborso mirato per sottopopolazioni ad alto rischio non solo migliora il profilo di costo-efficacia, ma attenua l’impatto sulla spesa complessiva. A ciò si possono aggiungere scontistiche sul prezzo e forme di compartecipazione del paziente, che oggi paga il farmaco a prezzo pieno. È un approccio realistico per allargare il numero di Paesi in cui queste terapie sono rimborsate».
Il riconoscimento legislativo dell’obesità come malattia cronica solleva però un altro rischio: concentrare gli sforzi solo sulla cura farmacologica. «È un rischio reale — ammette Jommi —. Tutto dipende dalla capacità di convergere tra prevenzione e trattamento. Il fatto che patologie come quelle cardiovascolari siano considerate malattie croniche non ha impedito che si continuasse a investire — anche se forse non abbastanza — sui fattori di rischio come ipertensione, ipercolesterolemia o diabete. Bisogna trovare lo stesso equilibrio anche per l’obesità».
Investire in prevenzione
Nel suo lavoro Jommi parla di una “logica del valore”, cioè pagare un farmaco non per quanto costa, ma per quanto migliora la vita del paziente. «Credo che le dimensioni fondamentali siano valore, sostenibilità e coerenza tra costi e risorse», spiega a TPI. «È realistico adottare un approccio “value-based” solo se si valuta concretamente quanto il prezzo dei farmaci — oggi costruito sul valore per il diabete — sia coerente con l’indicazione per l’obesità. Ogni estensione di indicazione comporta normalmente una riduzione del prezzo o un aumento dello sconto». E aggiunge: «A questo si deve associare la selezione dei pazienti target, cioè quelli con priorità cliniche più elevate. Non sarebbe la prima volta che questo accade, e può essere il modo più efficiente per garantire accesso e sostenibilità».
L’obesità, conclude Jommi, è una malattia che pesa sui bilanci quanto sulla salute. Curarla significa investire non solo in farmaci, ma in prevenzione, educazione e politiche pubbliche coerenti. «Non è la prima volta che la sanità si trova di fronte al dilemma tra innovazione e sostenibilità. La vera sfida — dice — è decidere quanto siamo disposti a spendere per un incremento di valore reale, e come garantire che le risorse vadano dove servono di più». Un equilibrio difficile, ma inevitabile: perché, come ricorda Jommi, curare l’obesità oggi può voler dire anche curare i conti del futuro.