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Il Governo Meloni si accoda a Trump e non firma contro le sanzioni Usa alla Corte penale internazionale

Immagine di copertina
Credit: Francesco Fotia / AGF

L’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea, insieme a Repubblica Ceca e Ungheria,
a non aver firmato una dichiarazione sottoscritta da 79 Stati membri
della Corte penale internazionale contro le sanzioni imposte dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti della Cpi.

Questi provvedimenti, si legge nella dichiarazione congiunta firmata invece da Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, “comprometterebbero gravemente tutte le situazioni attualmente sotto inchiesta, poiché la Corte potrebbe dover chiudere i suoi uffici sul campo”, oltre ad “aumentare il rischio di impunità per i crimini più gravi e minacciare di erodere lo stato di diritto internazionale”.

La Cpi conta 125 Stati membri in tutto il mondo. L’iniziativa a cui il governo Meloni non ha voluto aderire è stata avviata da Slovenia, Lussemburgo, Messico, Sierra Leone e Vanuatu e ha poi trovato l’appoggio di circa due terzi dei Paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma, su cui si fonda la Corte penale internazionale.

Tra questi figurano, oltre a Regno Unito e Canada, quasi tutti gli Stati membri dell’Ue: Francia, Germania, Belgio, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Lussemburgo, Estonia, Spagna, Cipro, Lettonia, Croazia, Austria e Malta. Oltre a Italia, Repubblica Ceca e Ungheria
però, al di fuori d’Europa, anche l’Australia si è rifiutata di firmare la dichiarazione di “continuo e incrollabile sostegno all’indipendenza, all’imparzialità e all’integrità della Corte” dell’Aja.

Oltre ai suddetti Stati figurano invece tra i firmatari: Afghanistan, Albania, Andorra, Antigua e Barbuda, Bangladesh, Belize, Bolivia, Bosnia ed Erzegovina, Brasile, Capo Verde, Cile, Colombia, Comore, Costa Rica, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Dominicana, Gabon, Gambia, Ghana, Grenada, Guatemala, Honduras, Islanda, Giordania, Lesotho, Liechtenstein, Maldive, Mongolia, Montenegro, Namibia, Nigeria, Macedonia del Nord, Norvegia, Panama, Perù, Moldavia, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, San Marino, Senegal, Seychelles, Sudafrica, Palestina, Svizzera, Timor Est, Trinidad e Tobago, Tunisia, Uganda e Uruguay.

La Casa bianca ha imposto sanzioni economiche e restrizioni alla concessione dei visti contro “funzionari, dipendenti e agenti della Cpi, nonché i loro familiari più prossimi” come ritorsione per aver indagato su personale statunitense ed emesso un mandato di arresto per presunti crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant.

Subito dopo la Cpi ha invitato i suoi Stati membri e la società civile mondiale a “restare uniti per la giustizia e i diritti umani fondamentali”, promettendo che avrebbe continuato a “fornire giustizia e speranza a milioni di vittime innocenti delle atrocità commesse in tutto il mondo”. Anche l’Onu (di cui la Cpi non è organo) ha chiesto agli Stati Uniti di revocare le sanzioni, criticate pure dalle istituzioni dell’Unione europea.

“L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale”, ha dichiarato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. “Sanzionare la Cpi minaccia l’indipendenza della Corte e mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso”, ha aggiunto il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Ma il governo Meloni non si è accodato, malgrado i rischi denunciati dai Paesi firmatari della suddetta dichiarazione congiunta.

“Le sanzioni (Usa, ndr)”, si legge nel testo, “potrebbero mettere a repentaglio la riservatezza delle informazioni sensibili e la sicurezza delle persone coinvolte, tra cui vittime, testimoni e funzionari della Corte, molti dei quali sono nostri connazionali”. Tra i giudici della Cpi c’è anche un italiano, Rosario Salvatore Aitala, ex funzionario di polizia entrato in magistratura, membro del collegio di togati scelto per occuparsi della guerra in Ucraina e giudicare i presunti crimini di guerra commessi da Vladimir Putin.

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