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Home » Politica

Nadia Urbinati a TPI: “Conte perfetto nel suo anti-populismo. E la maggioranza risicata è un’opportunità per il Governo” 

Immagine di copertina
Nadia Urbinati, professoressa di Scienze politiche alla Columbia University di New York

La politologa commenta a TPI la delicata fase politica: "La crisi è figlia dell'irrazionalità di Renzi. Ma, paradossalmente, una maggioranza risicata può essere uno stimolo per lavorare bene e guadagnarsi la fiducia del Parlamento. Ho apprezzato i discorsi di Conte: tanta politica e nessuna demagogia. I responsabili? La democrazia parlamentare presuppone il mandato libero. Il primo ad aver cambiato partito è proprio Renzi"

Il Governo Conte ha incassato ieri in Senato una fiducia striminzita, facendo leva sull’astensione di Italia Viva. Si apre ora una nuova fase politica, in cui il premier avrà poco tempo per cercare di allargare la maggioranza e di offrire al Paese (e a Mattarella) una concreta prospettiva politica da qui alla fine della legislatura. Ne parliamo con Nadia Urbinati, professoressa di Scienze politiche alla Columbia University di New York e tra i più importanti politologi italiani.

Professoressa Urbinati, partiamo da quanto ha detto Conte alla Camera e al Senato: lei in un post su Facebook ha definito “ottimi” i suoi discorsi. Cosa l’ha convinta del modo in cui il premier ha gestito la crisi dal punto di vista della dialettica parlamentare?

Mi è piaciuto il fatto che Conte abbia scelto uno stile descrittivo, spiegando non solo quanto fatto finora dal Governo, ma concentrandosi anche sulle riforme che vanno ancora realizzate. Ha mostrato di “informare” coloro che erano chiamati a decidere se votare la fiducia, secondo una concezione deliberativa della democrazia. Ha tenuto bassissimi i livelli di demagogia, aprendo le porta a una vera discussione. Ed era proprio quello che doveva fare, avendo davanti a sé il problema di cercare un sostegno che andasse al di là della sua maggioranza.

Un sostegno che ha trovato solo parzialmente da parte di parlamentari che alcuni chiamano responsabili, mentre altri etichettano con appellativi meno nobili.

La democrazia parlamentare presuppone il mandato libero. Così come Renzi è uscito dal Pd per fondare il suo partito, altri parlamentari possono uscire dai loro partiti per dare sostegno alla maggioranza. Non capisco dove sia il problema. Chiamarli “cosiddetti” responsabili o in modi persino peggiori è offensivo per la democrazia.

Come detto, però, questi responsabili al momento non rappresentano una pattuglia sufficientemente nutrita. Con numeri così risicati il Governo avrà molte difficoltà nelle commissioni, oltre che in aula, e sarà sempre ostaggio di Italia Viva. È davvero possibile arrivare in queste condizioni a fine legislatura?

Istintivamente verrebbe da pensare che è meglio andare alle elezioni e fare lì la conta. Questa reazione emotiva però è sbagliata. La potenziale debolezza del Governo è chiara, ma c’è un paradosso su cui occorre riflettere. In certi casi, quando si ha una maggioranza risicata, può esserci uno stimolo maggiore a lavorare bene, proprio per guadagnarsi l’appoggio necessario dei parlamentari incerti e per restare in sella.

La crisi a suo parere si è aperta solo per le ambizioni politiche di Renzi, o c’era un’oggettiva difficoltà del Governo nel rendere incisiva la propria azione?

Che ci fossero dei problemi nell’azione del Governo è innegabile. Quando si sta in una coalizione è normale che qualcuno possa puntare i piedi su determinate questioni. Detto questo, a un certo punto occorre trovare una sintesi e andare avanti, non si può far saltare il banco e mandare tutti a casa solo perché si sono palesate delle difficoltà, è del tutto illogico.

E l’operazione di Renzi allora a che logica risponde?

Alla sua irrazionalità. Quando si è troppo presi dal tatticismo, da emozioni molto forti, si perde la capacità di fare scelte giuste e ponderate, come mandare giù un rospo oggi per avere una soluzione migliore domani. La politica è fatta di questo, non di roboanti affermazioni e decisioni istintive.

Come accaduto un anno e mezzo fa con Salvini, anche stavolta Conte si è rifiutato di tornare indietro una volta che Renzi aveva attivato il meccanismo della crisi. La logica del premier sembra questa: le azioni, in politica, hanno delle conseguenze. Possiamo inquadrarla come una specie di operazione anti-populista?

Lo è profondamente. In Italia purtroppo negli ultimi 30 anni siamo stati abituati a disprezzare il lavoro dei rappresentanti, derubricando tutto a una questione di “poltrone”. Conte, nella sua replica in Senato, ha messo i puntini sulle i anche su questo, disinnescando questa retorica populista. Il paradosso del nostro sistema politico però è anche un altro: all’interno di un movimento populista (per quanto dentro alle istituzioni) come i 5 stelle, un personaggio come Conte, che nulla aveva a che fare con la politica e non ne conosceva tattiche e strategie, può sviluppare una grande intelligenza politica.

Ora Conte è un leader a tutti gli effetti. Resta da capire se lo sarà per una coalizione di centrosinistra composta Pd e Cinque Stelle o per una formazione centrista nata nel contesto dell'”operazione responsabili”.

Non so come proseguirà la storia politica di Conte, quel che so però è che al nostro Paese manca una destra spendibile, presentabile. Proprio per questo occorrerebbe una forza politica di centrodestra, che non può essere Forza Italia, forte abbastanza per limitare l’attuale (terrificante) destra che ci ritroviamo.

Conte, quindi, potrebbe essere la figura in grado di far emergere questo centrismo moderato con lieve inclinazione a destra?

Non so se possa assumersi lui questo compito. Forse dovevano pensarci personaggi come Renzi e Calenda. Il loro problema, però, è che sono naturalmente centristi nelle politiche, ma populisti nella retorica e nelle tattiche.

La pandemia ha davvero indebolito i populismi, come sostengono alcuni, o la perdita di consensi di personaggi come Trump e lo stesso Salvini è un fenomeno passeggero e poco significativo?

Trovo semplicistico dire che la pandemia abbia indebolito il populismo. Trump, ad esempio, è caduto per altre ragioni. Il problema per certi versi è opposto: se non si presta attenzione a gestire la fase successiva alla pandemia, quella della difficoltà economica e sociale vissuta da larga parte della cittadinanza, il populismo avrà ancora moltissimo da spendere, quello di destra in particolare.

In questi giorni è tornato di moda il proporzionale, rilanciato proprio dal premier nei suoi discorsi in Parlamento. Andando in quella direzione, tuttavia, non si rischia di aggravare l’instabilità del nostro sistema politico, dando vita a un parlamentarismo esasperato, una repubblica dei responsabili incentrata più sulle alchimie parlamentari che sulle elezioni?

Trovo che questo sia un falso problema: quando abbiamo avuto sistemi maggioritari l’instabilità del sistema politico è rimasta sempre la stessa. È inutile identificare la soluzione dei problemi con la macchina. Il problema semmai sono gli autisti: se inclinano alla frammentazione, all’individualismo, non c’è sistema elettorale che possa fare da argine. Col maggioritario, peraltro, le divisioni si manifestano comunque all’interno dei singoli partiti. Forse allora è più opportuno accettare che siamo pluralisti, e varare un proporzionale con alcuni meccanismi correttivi, come una soglia di sbarramento sensata. Sempre che i partiti siano disposti a farlo.

Leggi anche: 1. Il fallimento di Renzi: voleva silurare Conte, e invece si ritrova all’opposizione con Salvini e Meloni / 2. Rimpasto e nuovi ministeri: il piano di Conte per allargare la maggioranza / 3. Di Battista a TPI: “De-Renzizzare il governo val bene una messa. Ora il M5S è coeso, ripartiamo con Conte”

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