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La mossa del cavallo di Mazinga (di Marco Antonellis)

Immagine di copertina
Nicola Zingaretti. Credit: ANSA

Volete sapere perché Zingaretti si è dimesso ieri, proprio in concomitanza con la decisione del governo Draghi di rinviare all’autunno le prossime comunali? Eccolo qua, e non si tratta certamente del fatto che vorrà candidarsi a sindaco di Roma.

Il motivo è un altro ed è molto più complesso. Parte dalla scelta della data dalle prossime elezioni cittadine e arriva fino alle elezioni politiche nazionali passando persino per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica.

La situazione al Nazareno precipita quando nella tarda mattinata di ieri ormai è chiaro che Mario Draghi deciderà per il rinvio ad ottobre del voto nelle grandi città. È in quel momento che Zingaretti comincia a pensare alle dimissioni.

Perché il voto a ottobre, per Zingaretti, aprirebbe mesi molto incerti: il segretario del Pd è cosciente del fatto che l’opposizione interna lo metterebbe sulla graticola per fargli perdere le comunali e, quindi, per cacciarlo via (da perdente) a novembre.

Il ragionamento che fa Zinga è di dimettersi prima e di lasciare ai suoi oppositori la patata bollente in mano, anziché essere cacciato con disonore dopo la possibile sconfitta delle comunali.

“Come si può pensare di fare bene alle prossime elezioni, se una buona fetta del partito rema contro a suon di polemiche quotidiane?”. Questa è la domanda che comincia a ronzare nella testa di Nicola quando capisce che il governo Draghi sposterà le prossime elezioni.

Sarebbero stati mesi di duro logoramento per mandarlo via tra i fischi subito dopo il voto. Insomma, “faranno di tutto per cacciarlo via a novembre, magari dopo avermi remato contro in campagna elettorale”, il refrain che circolava tra i fedelissimi.

Ma perché logorarlo fino alle elezioni comunali e poi cacciarlo? Qui viene il bello, perché il vero obiettivo dell’opposizione interna era di sfrattarlo – e di sostituirlo con un nome più gradito, alla Bonaccini, per intenderci – prima delle prossime elezioni politiche in modo da non fargli toccare palla in vista della compilazione delle liste elettorali (non è un mistero per nessuno che Zingaretti vorrebbe fare fuori tutti o quasi gli ex renziani).

E sapete perché bisognava fare tutto entro novembre, sfruttando la scia delle comunali? Perché tutti i big del Partito democratico, così come quelli di molti altri partiti, sono assolutamente convinti che, dopo l’elezione del capo dello Stato, prevista per l’inizio del prossimo anno – con la probabile ascesa al Colle di Mario Draghi -, ci saranno le elezioni politiche anticipate.

Capito ora il giochetto? Il vero obiettivo degli oppositori interni era di impedire a Zingaretti di fare le liste elettorali per le prossime elezioni politiche. Ma, per fare questo, avrebbero dovuto far perdere a Zingaretti le prossime comunali (da qui il logoramento interno) e quindi farlo dimettere a novembre per scegliere poi un segretario gradito, alla Bonaccini, che avrebbe fatto le liste.

Ecco perché Zingaretti ha preferito andarsene praima, ben cosciente che il logoramento non avrebbe mai avuto fine. Ecco perché il problema era “lui”.

Leggi anche: 1. Il virus dentro il Pd (di Giulio Gambino) / 2. Il golpe dei sauditi contro Zinga. Ora il Pd li metta alla porta (di Luca Telese)

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