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La lettera di Dino Giarrusso al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

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Gentile Presidente Mattarella, Le scrivo da cittadino prima ancora che da parlamentare europeo, poiché ritengo che i rappresentanti delle istituzioni -ad ogni livello- non debbano mai dimenticarsi d’essere innanzitutto cittadini italiani, e di dover onorare la Costituzione ogni giorno, ogni istante, in ogni ambito della propria vita e non soltanto nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali.

Non le nascondo un certo imbarazzo nell’esporLe le ragioni di questa mia, imbarazzo vinto però da un’urgenza fortissima, che rende al mio sentire necessario rivolgermi a Lei, oggi.

Nella giornata di ieri, durante un programma radiofonico, la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato Ignazio La Russa, ha parlato di un episodio importantissimo della nostra storia: l’attentato di Via Rasella. Un drammatico atto di guerra organizzato da partigiani coraggiosi, da uomini che lottavano per sottrarre l’Italia alla barbara dominazione della dittatura fascista alleata con il mortifero nazismo tedesco, un atto rischioso ma fortemente voluto da italiani che con sprezzo del pericolo si battevano mettendo a repentaglio la propria vita pur di andar contro a un regime inumano, alle discriminazioni, alla morte della pietà e della tolleranza, all’annullamento delle idee e di ogni libertà, a quel progressivo azzeramento della dignità umana che fu la dittatura fascista, responsabile di morti, deportazioni, discriminazioni, ruberie, povertà diffusa, idee intollerabili come il razzismo che divenivano leggi dello Stato, asservimento al nazismo, soppressione del pluralismo e della libera stampa, ed altre innumerevoli, vegognose barbarie.

Ebbene nel ricordare i fatti di Via Rasella il Presidente del Senato ha stravolto la verità storica raccontando che le vittime fossero “una banda musicale di pensionati”, e stigmatizzando non già il clima irrespirabile dovuto all’occupazione nazista avallata dal regime fascista, bensì chi a quell’orrore si opponeva: i partigiani.

Carissimo Presidente, l’Italia è una Repubblica democratica, come Lei sa benissimo e come ci ricorda ogni giorno con la perfetta interpretazione del suo mandato, ma la democrazia, questo bene inestimabile che anche la resistenza al fascismo ci ha regalato, è tanto preziosa quanto fragile, e non può prescindere dall’esercizio della memoria. La memoria storica è un pilastro fondante della nostra Repubblica, e quanto più è diffusa, condivisa e trasmessa ai giovani, quanto più saldo sarà questo pilastro, e salda dunque la nostra convivenza civile, presente e futura.

Da italiano, grato ai partigiani per averci dato la libertà e la democrazia, non credo possa essere oggetto di dibattito ciò che è storia e non opinione, e non credo sia sano per una democrazia, per un paese importante come il nostro, poter falsificare la nostra storia recente, specie da una posizione di rilievo istituzionale.

Le vittime di via Rasella non erano musicisti in pensione: erano militari altoatesini al servizio del nazifascismo, e il più anziano di loro aveva 42 anni. Questo goffo tentativo di revisionismo spicciolo su un episodio così importante, che dette origine alla feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine, dove 335 innocenti -solo perché antifascisti, ebrei o non allineati al regime- vennero assassinati senza pietà, non sarebbe accettabile nemmeno se venisse da un opinionista a gettone, da un avventore che farnetica in un bar, da un signor nessuno che dovesse telefonare ad un programma radiofonico tanto per sfogare le sue frustrazioni. E’ inaccettabile in sé: in quanto falso e in quanto insultante verso chi ha dato la vita per noi, per assicurarci la libertà, il benessere, l’indipendenza.

Ma quando questa lettura aberrante viene proposta non già da uno sciagurato passante, bensì dalla seconda carica dello Stato, di quello Stato democratico figlio proprio della resistenza partigiana, non è solo una falsità inaccettabile, ma rappresenta a mio modo di vedere un grave e pericoloso vulnus, una macchia che getta nello sconforto e nella preoccupazione chiunque abbia a cuore il futuro della nostra amata nazione, e della comunità di cittadini che la compone.

Che futuro avrà l’Italia, caro Presidente, che futuro avranno i nostri figli e i loro figli, se a pochi decenni dalla fine di una dittatura non un qualunque ignorante nostalgico della stessa, ma la seconda carica dello Stato ne mina l’unità mettendo in discussione la nostra storia e la nostra memoria condivisa?

A Lei che è garante supremo della nostra Costituzione, a Lei che interpreta con così limpido fulgore non solo il Suo mandato ma il Suo ruolo, delicato ed importantissimo, a Lei che è punto di riferimento imprescindibile per tutti gli italiani, io modestissimamente chiedo un’attenzione particolare affinché nessuno di noi debba più sentire da alti rappresentanti delle istituzioni parole così fuorvianti, inesatte, violente nella loro falsità oggettiva, e divisive nel modo più pericoloso: quel tentativo di dividere non già gli italiani di oggi, ma le stesse radici che ci fanno tutti italiani e tutti democratici, le radici comuni della nostra Repubblica.

Presidente so che non ci sarebbe forse bisogno di dirlo, ma tengo ugualmente a sottolineare che avendo il libero voto degli italiani dato alla destra parlamentare un pieno mandato a governare il paese, è giusto e doveroso che il governo in carica rispetti la volontà popolare e che le destra attui le politiche che ritiene giuste, mentre le opposizioni propongono alternative, come la nostra Costituzione prevede. Ma credo sia nostro dovere precipuo sgomberare definitivamente il campo da ogni equivoco e ogni dubbio riguardante il passato ed il presente di questo paese: destra, sinistra ed ogni altra libera formazione politica non possono che rifarsi alla Costituzione repubblicana e rifiutare non solo ogni riferimento al regime fascista, non solo l’apologia e la ricostruzione del partito di Mussolini, ma anche ogni possibile tentativo di revisionismo, di riscrittura della storia, di distruzione di una memoria democratica comune e intoccabile. Il voto degli italiani dà il diritto e il dovere a chi vince le elezioni di governare, mentre quel voto non può dare a nessuno il diritto di stravolgere la forma repubblicana, o di inquinare lo spirito nazionale, non dà il diritto di falsificare la storia né di minimizzare le atrocità di un regime che i nostri padri hanno sconfitto pagando spesso con la vita. Tantomeno nessun voto può giustificare indulgenza verso le ideologie criminali che il regime fascista abbracciò sciaguratamente, e che tanti lutti e dolori portarono a milioni di famiglie italiane, a partire da quelle di religione ebraica e quelle di chi ebbe il coraggio di opporsi alla barbarie e infine –a prezzo di enormi sacrifici- abbatterla.

Gentilissimo Presidente, spero mi perdonerà per averle rubato del tempo prezioso, ma preziosissimo credo sia l’equilibrio di un paese splendido e complesso come l’Italia, ed è nostro dovere non sottrarci mai all’obbligo di tener unità la comunità nazionale, rispettare il nostro mandato in ogni suo dettaglio e non girarci dall’altra parte quando si teme che i limiti di una dialettica sana vengano superati.

Quando sentiamo franare pericolosamente sotto i piedi il solido terreno della memoria condivisa e delle radici comuni, quando la misura appare colma, caro Presidente diventa un obbligo morale rivolgersi a Lei, alla sua persona e al suo mandato, alla sua statura umana, morale e politica, alla sua storia personale e familiare, alla sua saggezza, e all’attenzione che Lei ha sempre dimostrato verso l’unità nazionale e quei valori repubblicani che nessuna boutade può e potrà mai mettere in discussione, e che vanno anzi protetti e trasmessi con chiarezza alle nuove generazioni: in primis da chi ha ruoli di rilievo in quelle istituzioni democratiche che proprio la vittoriosa battaglia contro la dittatura ci ha donate.

La saluto e la ringrazio con ossequiosa riconoscenza,

Dino Giarrusso, deputato al Parlamento Europeo.

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