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Vietato filmare la sede della Lega a Milano, giornalisti di TPI bloccati dai militari: “Con Salvini abbiamo ordini precisi”

Ai nostri giornalisti Giuseppe Borello e Andrea Sceresini, che stanno conducendo un’inchiesta sui 49 milioni di euro scomparsi dalle casse del partito, è stato impedito di riprendere la facciata esterna della storica sede di via Bellerio

ESCLUSIVO • The Post Internazionale (TPI.it) di Giuseppe Borello e Andrea Sceresini – Ai nostri giornalisti, che stanno conducendo per TPI un’inchiesta sui 49 milioni di euro scomparsi dalle casse della Lega (qui la prima parte, in cui l’ex segretaria di Bossi vuota il sacco), è stato impedito di riprendere la facciata esterna della storica sede milanese del Carroccio di via Bellerio.

Giuseppe Borello e Andrea Sceresini stavano realizzando la seconda parte dell’inchiesta (che pubblicheremo la prossima settimana) intervistando alcuni ex dipendenti del partito di Salvini, quando una pattuglia di militari ha intimato loro di spegnere le telecamere e mostrare i documenti. Le operazioni di identificazione sono durate circa un’ora e hanno coinvolto anche una pattuglia della Polizia di Stato.

Quando i giornalisti hanno fatto notare che appena pochi mesi fa, in quello stesso luogo, erano state realizzate analoghe riprese con il benestare dei militari presenti, gli uomini in divisa hanno risposto: “Ora Salvini è ministro dell’Interno e questo è diventato un sito sensibilissimo. Abbiamo ordini precisi: se noi vogliamo possiamo non farvi fare neppure l’intervista”. E hanno aggiunto: “State attenti a quello che fate, adesso siete stati segnalati!”.

Se hai notizie o vuoi contribuire a questa inchiesta scrivi a inchieste@tpi.it 

Nella prima parte dell’inchiesta di TPI una ex dipendente di alto livello della Lega, Daniela Cantamessa, storica ex segretaria di Umberto Bossi, ha accettato di parlare a volto scoperto per la prima volta in esclusiva dei 49 milioni della Lega svaniti nel nulla.

La donna racconta che, finché c’era Bossi, le casse della Lega erano piene (circa 40 milioni di euro). Quando arrivò Roberto Maroni le finanze del Carroccio furono letteralmente dilapidate in poco più di due anni.

Il tutto con l’assenso di Matteo Salvini, che non mosse un dito nonostante la stessa Cantamessa gli avesse espressamente chiesto spiegazioni su cosa stesse accadendo alla Lega, allarmata perché le casse si stavano svuotando.

Ora, dopo la pubblicazione dell’intervista esclusiva di TPI, i pm di Genova hanno sentito Daniela Cantamessa nell’ambito dell’inchiesta sui 49 milioni della Lega.

“Fino a quel giorno ero convinta che Salvini fosse uno di noi”, ricorda la donna nell’intervista. “Gli dissi ‘fai qualcosa che qui stanno sparendo tutti i soldi’. Lui mi ascoltò ma non si sbilanciò…”. 

A partire dal 2012 buona parte delle attività contabili e amministrative – fino a quel momento gestite internamente al partito –  furono esternalizzate con subappalti costosissimi a società terze spesso proposte dallo stesso Maroni.

I militanti ex dipendenti della Lega, come la donna che oggi ha deciso di vuotare il sacco parlando a TPI, furono licenziati o messi in cassa integrazione proprio in quegli anni della grande abbuffata maroniana.

Nella seconda parte dell’inchiesta di TPI Cantamessa accusa Giancarlo Giorgetti, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio. “Mi disse che bisognava mettere da parte un milione di euro per incentivare il personale a licenziarsi”, racconta.

“All’epoca (nei mesi successivi alle dimissioni di Bossi, nda) avevamo 40 milioni in cassa”, ricorda Cantamessa. “Tutte le attività vennero esternalizzate con spese allucinanti e il personale interno fu liquidato, nonostante costasse solo 4 milioni all’anno. Cosa pensammo? Che ci fosse in atto un’azione per chiudere la Lega”.

Così, secondo la ex segretaria del Senatur, sarebbero “scomparsi” i famosi 49 milioni di rimborsi elettorali su cui sta indagando la magistratura.

La cacciata dei dipendenti, secondo Daniela Cantamessa, sarebbe stata perfettamente funzionale all’operazione. “Il concetto era semplice”, spiega. “Io prendo dei mercenari e li pago per fare ciò che devono fare. I dipendenti, essendo anche militanti, avrebbero certamente rotto le scatole. Perciò andavano licenziati”.

 

Il ministro dell’Interno e leader leghista Matteo Salvini ha sdoppiato in due il suo partito. Due formazioni parallele con statuti e simboli diversi. Il tesseramento taglia a metà la penisola: a Nord è (ancora) la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania. A Sud, la Lega per Salvini Premier. E, al telefono con TPI, gli uffici della Lega sostengono di “essere stati costretti a farlo per questioni giudiziarie”

di Ambra Orengo e Sara Del Dot inviate a Milano – Marta vive a Milano e Giacomo è di Taranto. Entrambi si sono iscritti alla Lega, ma le tessere che hanno ricevuto non sono uguali. Su una c’è scritto Lega – Salvini Premier, sull’altra Lega per Salvini Premier. A cambiare, all’apparenza, è soltanto il simbolo. In realtà è qualcosa che ha a che fare con i quasi mille chilometri che li separano.

Per chiarirlo, TPI ha chiamato il numero dedicato al tesseramento, reperibile sul sito della Lega. “Se lei è di Milano deve tesserarsi sul sito leganord.org. Il suo fidanzato pugliese, invece, deve accedere al link tesseramento.legapersalvinipremier.it”.

Chi risponde indirizza le persone a due link diversi in base alla provenienza geografica. E se le si chiede se le due tessere saranno quindi diverse, risponde: “Hanno lo stesso significato, sono tutte e due tessere da sostenitore. Diciamo che quella che si fa a Milano, dalla Valle D’Aosta a Marche e Umbria, è compresa come Lega Nord, e invece quelle che si fanno dal Lazio in giù sono Lega per Salvini Premier”. [Continua a leggere]

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