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Home » Politica

Casu (Pd) a TPI: “Tra Trump e Musk, il Governo non sa più a chi inchinarsi. Ma il futuro è l’indipendenza digitale dell’Italia e dell’Europa da Usa e Cina”

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“Se domani il presidente Trump firmasse un ordine esecutivo per interrompere l’erogazione di servizi digitali dagli Stati Uniti, riporterebbe il nostro continente indietro di decenni”. Il vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera spiega a TPI: “Dall’industria, alle telecomunicazioni alla difesa, dobbiamo promuovere i nostri campioni che siano in grado di competere a livello globale con i loro concorrenti americani e cinesi”

Onorevole Casu, come vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera, Lei a Milano ha condiviso l’appello dell’europarlamentare Pierfrancesco Maran e oltre 60 sindaci italiani pronti a mettere i propri territori a disposizione per avviare sperimentazioni nel settore della “Guida autonoma”. È questo il futuro dell’automotive in Italia?
«La vera domanda è se vogliamo essere spettatori paganti o protagonisti nell’orientare lo sviluppo del settore. Nel secondo caso è fondamentale che l’Italia e l’Europa recuperino il drammatico ritardo che stiamo accumulando nei confronti degli Stati Uniti e della Cina in un comparto vitale per il futuro dell’automotive».
A che punto siamo?
«In termini di ricerca, le università italiane ed europee sono molto avanti, ma dal punto di vista delle sperimentazioni su larga scala siamo ancora in ritardo. Alcuni livelli di assistenza alla guida sono già disponibili e sviluppati qui da noi, ma negli Usa e in Cina stanno andando molto avanti, mentre noi fatichiamo a concentrare risorse su progetti a più alto potenziale».
Negli Usa però, anche a causa della lite tra il presidente Donald Trump e il suo ex alleato Elon Musk, si comincia a registrare qualche battuta d’arresto: l’Agenzia per la sicurezza stradale statunitense (Nhtsa) ha recentemente lanciato un monito sui rischi di questa tecnologia.
«Il fatto che questo tema possa costituire un ulteriore motivo di conflitto tra Trump e Musk mostra proprio quanto questo settore sia cruciale per l’evoluzione dell’automotive e della mobilità. Per questo in Italia e in Europa dobbiamo prendere consapevolezza del bivio davanti a cui ci troviamo».
Quale?
«Non possiamo solo pensare a modernizzare le procedure, armonizzare le regole e aprire il mercato affidandoci a chi, dagli Stati Uniti e dalla Cina, è più avanti di noi in questo settore. Dobbiamo essere invece protagonisti, investire nelle sperimentazioni e costruire i nostri campioni europei che possano competere a livello globale con i loro concorrenti. Altrimenti rischiamo di commettere lo stesso errore compiuto con la telefonia: una volta eravamo campioni in quest’industria e ora siamo assenti nel settore degli smartphone, che sono praticamente tutti prodotti fuori dall’Europa».
Cosa si può fare?
«L’azione deve partire dall’Europarlamento ma anche dal Parlamento italiano. Con il nuovo Codice della Strada abbiamo perso un’occasione a causa della chiusura della maggioranza, che ora invece sembra disponibile ad aprire un confronto in Commissione Trasporti».
C’è la possibilità di una convergenza?
«Vigileremo. Se l’obiettivo è fare sistema, concentrare i fondi sui progetti italiani ed europei ad alto potenziale, avviare sperimentazioni su larga scala e promuovere la creazione dei nostri campioni per diventare protagonisti in questa sfida, noi saremo disponibili. Se qualcuno invece vuole semplicemente cambiare le regole per strizzare l’occhio a qualche colosso extraeuropeo per aprirgli le porte del mercato comunitario e italiano anche in questo settore, acuendo la nostra dipendenza, ci batteremo con la stessa nettezza con cui ci siamo battuti contro altri tentativi di fare “regali”, per esempio in campo satellitare e su altri dossier strategici».

Lei fu tra i primi a denunciare il rischio che l’articolo 25 della nuova Legge sull’economia dello spazio potesse tramutarsi in un favore a Elon Musk: dopo un iter durato appena un anno e la lite tra l’uomo più ricco del mondo e Trump, ora mancano i decreti attuativi e sembra tutto fermo. Cos’è successo?
«Musk e Trump sono due facce della stessa medaglia. Hanno vinto insieme le ultime elezioni ma rappresentano storie e interessi nettamente diversi. Il fatto che abbiano camminato insieme per un lungo periodo ha però portato una parte della politica italiana a una lunga rincorsa, nel tentativo di accreditarsi presso l’uno e l’altro. Ricordo che quando Musk presenziava alla Festa di Atreju (di Fratelli d’Italia, ndr) e poi si collegava in videoconferenza al congresso della Lega, noi denunciammo i continui tentativi della maggioranza di scegliere la scorciatoia di affidare all’uomo più ricco del mondo i servizi di backup satellitare rispetto alla strada maestra di promuovere una capacità nazionale ed europea. Ora invece è caduta la foglia di fico, dietro cui si nascondevano per dire che non avrebbe messo a repentaglio la nostra sicurezza nazionale».
Ci spieghi meglio.
«Ai nostri rilievi la maggioranza rispondeva sempre che la solidità dell’alleanza con gli Usa era la migliore garanzia, come se affidarci a Elon Musk significasse affidarci agli Stati Uniti. Ora invece, dopo la lite con Trump e con i dazi al 30 per cento, queste garanzie non esistono più. Mentre prima, quando Meloni e Salvini si inginocchiavano agli interessi di Musk e Trump avevano l’impressione di stare dalla stessa parte, ora il Governo non sa più a chi inchinarsi. Ma l’errore vero è proprio inginocchiarsi».
Intende sui dazi?
«Non solo: sin dall’inizio la postura del Governo è stata tutta sbagliata. È un errore pensare che, laddove esiste un ritardo italiano ed europeo, possiamo limitarci a comprare i servizi che ci servono da un alleato, qualunque esso sia, senza costruire una nostra indipendenza in quei settori: dalla guida autonoma, ai servizi di backup satellitare, dalla produzione di chip, all’intelligenza artificiale e a tutti gli altri comparti legati alla grande transizione digitale che sta rivoluzionando le nostre vite».
Ci fa un esempio?
«Se domani, come mostrato da un video presentato in occasione della prima Conferenza italiana sull’Indipendenza Digitale a cui ho partecipato lo scorso 27 maggio a Roma, il presidente Trump firmasse un ordine esecutivo per interrompere l’erogazione di servizi digitali dagli Stati Uniti, riporterebbe il nostro continente indietro di decenni: il cloud e i portali che usiamo ogni giorno, anche per l’erogazione di servizi essenziali come la sanità, sarebbero bloccati e le nostre imprese resterebbero indifese in termini di cybersicurezza. La nostra dipendenza digitale concede a Trump il tasto che può permettergli di spegnere la luce del continente europeo in qualsiasi momento».

Qual è l’alternativa?
«Dobbiamo porre l’indipendenza digitale in cima all’agenda politica europea per costruire le infrastrutture digitali che ci consentiranno una capacità autonoma e di non dipendere più né dagli Stati Uniti, o peggio, dalla Cina».
Che intende quando parla di “indipendenza”?
«La possibilità di avere le proprie infrastrutture, le proprie tecnologie proprietarie, i propri campioni europei che possano competere in un mercato aperto a livello globale con i loro concorrenti. Non è una prospettiva autarchica, anzi. Si tratta di costruire un’alternativa, anche in termini di difesa europea».
Come sono collegati i due temi?
«Non ha senso comprare sistemi di armamento sofisticati se poi le comunicazioni necessarie passano attraverso una rete satellitare che non si è in grado di controllare. È una questione di sicurezza che tocca anche il nostro futuro industriale e democratico».
Come?
«L’innovazione è l’unica base su cui l’Italia e l’Europa possono costruire il proprio futuro industriale, possiamo essere competitivi solo su questo, non certo sulla riduzione dei costi di manodopera o sulla contrazione dei diritti dei lavoratori, che invece devono essere tutelati di più. Ma in una società dell’informazione in cui la comunicazione è sempre più importante, essere dipendenti da sistemi su cui non si ha alcun controllo rischia di provocare anche un’emergenza democratica. Dobbiamo assicurarci di non essere dipendenti dalle scelte politiche ed economiche di altri».

Torniamo ai dazi imposti da Trump anche contro l’Unione europea?
«I dazi sono una scelta sbagliata e rischiano di aprire a una stagione che potrebbe avere delle conseguenze devastanti per l’economia italiana, europea ma anche americana. Dimostrano però ancora una volta il fallimento della linea politica di Giorgia Meloni».
Perché?
«In questi mesi il Governo ha tenuto una posizione arrendevole, ha minimizzato i rischi mentre Confindustria denunciava il possibile impatto negativo sul nostro export e su migliaia di posti di lavoro. E per ottenere cosa?».
Quali contromisure dovremmo adottare?
«Da un punto di vista dei servizi digitali, l’Europa registra un deficit commerciale di oltre 100 miliardi di euro con gli Usa, quindi è chiaro che è uno di quei settori dove economicamente potremmo colpire in maniera più forte. Ma dobbiamo essere anche consapevoli dei rischi».
Quali?
«I dazi li pagheranno i consumatori americani ma, in un contesto di dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti in questo settore, delle contromisure adottate nei confronti dei servizi digitali si tradurrebbero in una sorta di contro-dazio pagato dai cittadini del Vecchio continente, che non possono ancora contare su alternative europee».
Qual è la soluzione allora?
«Bisogna subito mettere in campo, come sta facendo la Spagna, le risorse per sostenere il futuro dei lavoratori, dei consumatori e dei cittadini europei per arginare questa folle e sbagliata azione di Trump».
E l’Italia?
«Il Governo deve smetterla di vagare nell’Oceano Atlantico senza sapere verso quale sponda remare e rendere l’Italia protagonista di una risposta comune europea, che miri a tutelare i nostri interessi mantenendo la schiena dritta».
Cosa dovrebbe fare invece l’Ue?
«Accelerare il percorso già segnato dai rapporti di Enrico Letta e Mario Draghi. In primis dobbiamo toglierci i dazi che ci creiamo da soli: non è più sostenibile, ad esempio, mantenere 27 diversi mercati delle telecomunicazioni o dell’energia. Poi dobbiamo rispondere collettivamente a Trump, colpendo dove fa più male, ad esempio sui servizi digitali ma farlo in maniera intelligente, non impulsiva. Quindi, preso atto della nostra dipendenza digitale, dobbiamo adottare un piano che acceleri dove siamo più in ritardo per consentire di poter rispondere al più presto anche, attraverso soggetti e tecnologie proprietarie europee alle nostre esigenze in termini industriali, di difesa e sociali. Tutto questo però deve essere accompagnato subito da misure straordinarie per non abbandonare i nostri cittadini e le nostre imprese perché alla fine le conseguenze più devastanti di questa follia autarchica in cui ci sta trascinando Trump le pagheranno proprio consumatori e lavoratori».

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