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Home » Politica

Igor Taruffi a TPI: “Porteremo il Pd fuori dalle Ztl”

Immagine di copertina

Allievo di Guccini con un passato da calciatore in erba. Oggi guida la macchina organizzativa di Schlein. Viene dalla provincia e si definisce “periferico-appenninico”. “Daremo risposte a chi per vivere lavora giorno e notte”

Igor Taruffi, lei comanda la mitica macchina organizzativa del Pd!
«La macchina è senza dubbio mitica. Io, invece, sono solo uno che guida».

E dove la porta?
«Vogliamo dare risposte alle persone che per vivere devono lavorare giorno e notte».

È un percorso?
«È la collocazione giusta».

Ma tutti lavorano giorno e notte!
«Noi stiamo tornando a parlare a chi in questi anni di crisi ha visto ridursi i suoi salari e i suoi diritti».

Ha idea dove trovarli?
«Si. Ad esempio tra il 70% degli italiani che non ha votato e che ha un reddito sotto i 20mila euro di Isee».

E secondo lei guardano a voi?
«Spero che lo facciano. Vogliamo dare a loro una ragione per tornare a votare».

Igor Taruffi, luomo che Elly Schlein ha messo sulla poltrona più delicata del Pd – responsabile organizzazione – non è un chiacchierone, e di questo va orgoglioso. Nato sullappenino, tra Toscana ed Emilia si definisce con orgoglio un italiano di provincia”. E a TPI dice: «Dobbiamo uscire dalle Ztl. E io nel nuovo Pd porto proprio questo: una storia che arriva delle aree periferiche».

Dove cresce Igor Taruffi?
«A Porretta Terme. Mio padre era comandante della polizia municipale del Comune».

Lei giocava con la paletta da vigile?
(Ride). «No, a pallone – la mia grande passione, da piccolo – e anche abbastanza bene. Babbo mi ha trasmesso i valori della solidarietà e del rispetto».

Dove?
«In difesa. Ho ricoperto tutti i ruoli dallo stopper al terzino. Il calcio, nella vita, mi ha insegnato ad adattarmi a tutto».

Era bravo come Bonaccini, suo presidente con uno fiuto spietato del goal?
«Lei lo ha mai visto giocare, Stefano?».

Mi ha raccontato che da ragazzo era un bomber.
(Ride). «Lui dice così. Per sua fortuna non mi ha mai incontrato in marcatura: altrimenti avrebbe ridimensionato la sua autostima».

Lei si è formato nelle giovanili della Pistoiese.
«Era il periodo di massimo fulgore del club. Ci giocavo proprio quando in prima squadra c’era Cristiano Doni, il presidente era Vannucci, e giocavano in serie B con la mitica maglia arancione e lo scudetto dell’orso».

È più toscano o emiliano?
«Più emiliano. Ma il triangolo della mia vita è racchiuso in queste distanze: sono a 60 chilometri da Bologna, a 30 da Pistoia. E – per mia fortuna – a soli 2 chilometri da Guccini, che abita a Pavana.

“Cresciuto tra i saggi ignoranti di montagna/ che sapevano Dante a memoria/e improvvisavano di poesia…”.
«Francesco è nato a Modena, ma il padre, impiegato delle Poste, era di questa piccola frazione di Sambuca Pistoiese dove lui è tornato a vivere, al confine tra due regioni».

Tecnicamente è già in Toscana.
«Francesco è un perfetto appenninico tosco-emiliano, come me. E questa vicinanza mi ha regalato la fortuna di averlo come amico, e anche, un po, come maestro».

Poi mi racconterà perché. Da dove viene lei?
«Da una storia umilissima. Mia madre lavorava in una ditta di pulizie. I miei nonni erano tra chi un tempo era definito povero”».

Ovvero?
«Non avevamo beni. Due di loro lavoravano la terra e altri due andavano a fare gli stagionali”».

Cioè?
«Ogni sei mesi in Sardegna a tagliare gli alberi, da boscaioli».

Politicizzati?
«Uhhhhh…. Mio nonno paterno, Pellegrino, aveva tessera del Pci quando il partito era ancora clandestino».

E lei cosa sognava di diventare?
«Da piccolo – come avrà capito – volevo fare il calciatore».

E poi?
«Poi mi sono rotto una caviglia ed è finito il sogno».

Ha ancora la passione del calcio?
«Non passa mai. Tifo sfegatato per il Bologna ma il mio mito era Franco Baresi».

Alle superiori Liceo scientifico. Era studioso?
«Il giusto. Facevo già politica, rappresentante studentesco, e giocavo ogni domenica. Ho preso 70/100 alla maturità».

Poi si è iscritto a Scienze politiche.
«Faccio tutti gli esami tranne due. Ed entro in Consiglio Comunale a Porretta, eletto da indipendente in Rifondazione».

Il suo sindaco è stato un altro maestro di politica.
«Sergio Sabattini, ex deputato, mitico ex segretario della federazione di Bologna. Anni molto formativi, Pensi che in consiglio cera anche Bobo Maroni!».

Che centra Maroni?
«Per anni ha partecipato al Porretta Soul Festival con la sua band, i distretto 51, era molto radicato».

Da dove nasce la capacità attrattiva di Porretta?
«Dalle nostre terme: una storia antichissima e gloriosa. Sono rinate da poco, grazie a un finanziamento Inail».

Le riesce un grande salto, nel 2014: dal Comune alla Regione.
«Sono stato eletto nelle liste di Sel, il più votato dellAppennino. Pensi, prima di me, da queste parti, non cera riuscito nessuno».

E come ha fatto?
«Un altro le direbbe che ha uno straordinario radicamento territoriale. E io ce lho. Ma…».

Cosa?
«So di aver beneficiato del generoso sostegno di Francesco Guccini che si è speso pubblicamente per me per ben due volte, dicendo: Votate Igor”».

Quanto ha pesato?
«Conta la persona che sono, ovvio: ma avere Guccini che lo dice è come per un vino avere il marchio Docg».

Francesco lha sostenuta sia nel 2014 che nel 2020.

«Si è costruito un rapporto, negli anni: quando ero in comune organizzammo un suo storico concerto a Porretta. Tutti lo ricordano come un evento mitico».

È merito suo, quindi se Guccini ha esaltato Elly Schlein a Propaganda live?
«Ah ah ah…. No, per convinzioni sue, la segue da tempo. Ma la vera fan sfegatata di Elly è sua moglie Raffaella, vera Schlein-fan della casa».

Ed eccoci a Elly. Lei la conosce in Regione.
«E ci troviamo così bene che nel 2020 facciamo insieme, la lista Coraggiosa».

La battaglia che ha cementato il vostro rapporto. È un modello politico?
«È la forza che ha unito tutto quel che era a sinistra del Pd, temendo insieme mondi organizzati e associazioni ecologiste».

E avete fatto una staffetta.
«Lei – come è noto – diventa assessore di Bonaccini. Poi quando è eletta alla Camera prendo il suo posto ereditando le deleghe al welfare, e prendendo anche quella alla montagna: lAppennino è la mia vita, la mia grande passione».

Una ricchezza?
«Certo. Spesso la politica è i media, che pensano solo alle città: ma la maggioranza degli italiani vivono in provincia, come me».

Lei si è iscritto al Pd da poco e adesso ne guida la macchina organizzativa, il cuore.
«Ho preso la tessera qualche tempo dopo le primarie. Faccio parte di quel popolo che crede alla capacità di Elly di rigenerare una sinistra più forte».

Lei ha un incarico tra i più delicati in un partito, come, quando e come ha saputo di ottenerlo?
(Ride). «Elly mi telefona e mi fa: Vuoi darmi una mano sul piano nazionale?”. Inutile dire che ho risposto Sì!”, con entusiasmo. Due giorni dopo ho scoperto dove mi metteva».

Come prima mossa ha mandato un milione di euro ai circoli.
«È prima di tutto un segnale: si torna a costruire dal basso».

Lei è anche assessore. Come fa a gestire una macchina così complessa?
«Come sempre in politica funziona un collettivo: non un uomo solo al comando».

Detto così pare facile.
«Chi non ha giocato a calcio non sa che si vince e si perde sempre in undici. Serve una squadra, ed è quello che io so costruire».

Siete lo zoccolo duro” di Elly.
«Siamo un gruppo affiatato di compagni che si stimano: Furfaro, Marta Bonafoni, Davide Baruffi, che è sottosegretario della giunta in Emilia Romagna…».

Quando ha capito che potevate vincere?
«Cera un clima propizio: era difficile stabilire se si sarebbe tradotto in una vittoria. Ma lEmilia e Bologna hanno spinto Elly, con forza, cè un enorme desiderio di novità».

È pronto per le domande delle cento pistole?
«Mi devo preoccupare?».

Lei è comunista?
«È anagraficamente impossibile: sono nato nel 1979, quando il Pci è finito ero alle elementari!».

La stessa risposta di Elly. Il suo maestro è Nichi Vendola?
«Mi piacerebbe poterlo dire. Ma io sono stato un dirigente periferico, non frequentavo Roma».

È favorevole alla procreazione per altri”, come dice Elly?
«C’è una posizione del partito, io mi riconosco in quella».

La immaginavo più entusiasta.
«Ognuno porta la sua sensibilità: a me entusiasmano le battaglie sociali».

Favorevole allinceneritore del Lazio?
«È una scelta ereditata. Mi pare giusto portarla avanti».

Il vostro Pd va a sinistra?
«Lo stiamo riportando dove ci sono le vertenze, le battaglie sociali, i problemi delle aree periferiche».

Non ha risposto.
«A me importa essere dove c’è bisogno di noi».

Cottarelli, Marcucci e Fioroni hanno restituito la tessera.
«Mi dispiace, noi vogliamo un grande partito plurale. Però ci sono 20mila nuovi iscritti, contenti del nuovo corso».

È un modello Emiliano?
«Non credo ai modelli”. Ma qui abbiamo allargato il centrosinistra e battuto Salvini in controtendenza nazionale. Tenere insieme e allargare i confini mi pare una buona linea».

E le alleanze?
«È prematuro disegnare formule. I numeri dicono che per vincere serve tenere insieme tutto dal M5s ai moderati».

E si può?
«Io sono uno che studia i numeri. Il centrodestra da ventanni prende sempre 14 milioni di voti. Se la sinistra vuole vincere devi recuperare chi è stato a casa».

Lei costruirà un partito post moderno e social?
«Per nulla. Il Pd ha ancora migliaia di iscritti, sedi, strutture… siamo moderni  però vogliamo tornare a radicarci».

La sento molto prudente sulla collocazione politica.
«Il mio orgoglio è aver firmato la legge che ha introdotto il reddito di cittadinanza in Emilia Romagna. Siamo stati precursori».

Ha una macchina di lusso?
«Una vecchia golf».

Una barca?
«Per lamor di Dio, no!».

Ha una famiglia?
«La mia compagna, Claudia, fa lavvocato».

E quando avete un momento libero insieme?
(Ride). «Ci piace leggere un libro. Insieme».

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