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Home » Politica

Dal Covid non si guarisce per legge: così il governo Meloni sottostima il contagio

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Il governo Meloni sta gestendola pandemia nel segno della discontinuità. Per rispettare le promesse fatte in campagna elettorale. Ma il virus continua a circolare. E l’aumento dei ricoveri in area medica preoccupa la comunità scientifica

Seicentottantasei decessi in sette giorni, 221.154 nuovi casi positivi su 1.256.722 tamponi, tasso di positività al 17,6 per cento. Sono i dati che raccontano l’andamento della pandemia da Covid-19 in Italia contenuti nel bollettino settimanale dell’8 dicembre scorso, l’ultimo disponibile sul portale del Ministero della Salute mentre scriviamo. A partire dal 28 ottobre, infatti, tre giorni dopo il voto di fiducia ottenuto in Senato, il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha disposto che il report di sorveglianza sul virus venisse pubblicato su base settimanale e non più giornaliera, in linea con le promesse fatte in campagna elettorale e ribadite nel suo discorso d’insediamento: «Non replicheremo il modello del precedente governo», ha detto la premier nel discorso programmatico alla Camere. Un modello che nella fase più acuta della pandemia è stato considerato un esempio da seguire nei Paesi in cui il virus ha mostrato la sua forza letale in ritardo e che Meloni ha definito «l’esperimento della gestione cinese in Occidente».

Detto, fatto. Il nuovo esecutivo ha legiferato in materia di Covid-19 nel segno della discontinuità, lanciando subito un messaggio all’elettorato che durante i due anni di emergenza ha mal sopportato le chiusure e l’obbligo vaccinale: “Qui si cambia musica”. Il 31 ottobre il governo ha approvato un decreto legge per anticipare la fine dell’obbligo di vaccinazione del personale sanitario dal 31 dicembre al primo novembre. Una misura che secondo Meloni serve a «recuperare 4mila persone ora ferme in un sistema sotto-organico», ma che la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri non ha accolto con entusiasmo, perché di questi, secondo le stime dell’ente, solo 1.878 potrebbero rientrare in servizio, in quanto il 47 per cento dei 3.543 medici sospesi per non essersi sottoposti alla profilassi vaccinale ha più di 68 anni, ed è cioè già fuori dal Servizio Sanitario Nazionale. 

Proprio sul reintegro dei medici non immunizzati negli ospedali – contenuto nelle pieghe del decreto anti rave approvato in prima lettura martedì 12 dicembre a Palazzo Madama – si è consumato lo strappo della capogruppo in Senato di Forza Italia Licia Ronzulli, che in disaccordo con il partito e con l’intera maggioranza non si è presentata al voto. «Significherebbe creare un pericoloso precedente», ha dichiarato la senatrice azzurra. Era stata una sua proposta ad ispirare il decreto del governo Draghi in materia di obbligatorietà dei vaccini per gli operatori sanitari.  

Liberi tutti

A completare il puzzle del nuovo corso la sospensione delle sanzioni ai lavoratori e agli over 50 non immunizzati, di cui il governo aveva inizialmente promesso la piena eliminazione. Per ora ha ottenuto il via libera l’emendamento della Lega con cui si proroga al 30 giugno l’entrata in vigore delle multe di 100 euro per i No Vax, a beneficio di quasi 2 milioni di persone tra professori, operatori sanitari, forze dell’ordine e over 50. E sempre attraverso la conversione in Aula del decreto contro i raduni illegali è arrivata l’abolizione definitiva del Green Pass, che gli accompagnatori dei pazienti malati erano tenuti a mostrare per sostare nelle sale d’attesa di Rsa e Pronto soccorso. Adesso potranno farne a meno. «Si tratta di provvedimenti che finalmente ci fanno uscire del tutto dal regime di restrizioni e ripristinano dunque nuova libertà ai cittadini», ha dichiarato il senatore di Fratelli d’Italia Francesco Zaffini, presidente della Commissione Sanità in Senato.

Un liberi tutti giustificato solo in parte dall’ingresso in una fase pandemica diversa da quella emergenziale e dalla necessità di adottare un approccio più morbido contro il Covid. Perché mentre il Parlamento approva i decreti legge, il virus continua a circolare, e a farne le spese sono i più fragili. «È certo che vediamo una ripresa importante della circolazione del virus che risulta però fortemente sottostimata: siamo in una fase di ripresa, ma i numeri non ci dicono esattamente come funzionano le cose. Molte persone effettuano i temponi a casa, senza denunciare la positività alle autorità sanitarie», spiega a TPI Nino Cartabellotta, medico e presidente della fondazione Gimbe. Il principale impatto del nuovo stile di comunicazione del governo è stato il calo dell’attenzione sulla pandemia da parte dei cittadini e una diversa percezione del rischio rispetto a quando il bollettino arrivava, puntuale, ogni giorno. Ma il Covid – seppur divenuto meno letale grazie alla competizione tra varianti a una maggiore copertura vaccinale – non è stato eliminato. Soprattutto se si guarda alle persone che non hanno effettuato la terza e la quarta dose di vaccino. 

Secondo l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità, nella popolazione non vaccinata tra i 60 e i 79 anni il tasso di mortalità risulta quasi “tre volte più alto rispetto ai vaccinati con booster e tre volte e mezzo rispetto ai vaccinati con quarta dose da meno di 120 giorni”. Fascia di età in cui anche il tasso di ospedalizzazione risulta due volte più alto nei non vaccinati. Negli over 80, poi, la mortalità dei non vaccinati risulta quasi sei volte e mezzo più alta rispetto ai vaccinati con dose booster, e rispettivamente 11 volte e cinque volte e mezzo più alta rispetto ai vaccinati con il secondo richiamo da meno di 120 giorni e da oltre 120 giorni. L’ultimo rush di campagna vaccinale, però, procede a rilento.

Italia a due velocità

«Il vero problema – continua Cartabellotta – è la variabile rappresentata dal calo delle coperture vaccinali, soprattutto per gli anziani e i fragili. Quando aumenta la circolazione bisogna fare in modo di proteggere questa fascia garantendo la vaccinazione: oggi tra una platea di 19 milioni di persone, ne abbiamo coperta circa il 27 per cento». Se con la fine dello stato d’emergenza la gestione della campagna vaccinale è passata interamente in mano alle Regioni e alla loro capacità di mettere in campo strategie per allargare le coperture, ora queste procedono a velocità differenti. E non tutte portano avanti politiche attive di richiamo: aspettano cioè che siano i pazienti a presentarsi spontaneamente in farmacia o negli hub. 

«C’è una situazione eterogenea per quanto riguarda la copertura delle quarte dosi. Di fronte a una media nazionale del 27,6 per cento, Piemonte ed Emilia Romagna viaggiano a un tasso del 40 per cento, mentre Sicilia e Calabria del 12 o 13 per cento, perché in queste Regioni le autorità sanitarie non stanno chiamando una ad una le persone che devono effettuare la quarta dose. Si basano su una comunicazione generalizzata, che funziona meno della chiamata attiva. Quando la campagna veniva fatta dalla Protezione Civile con input periodici e verifiche a livello nazionale c’erano differenze tra una zona e l’altra, ma non di questa entità. C’era un indirizzo e una verifica da parte dello Stato più rigorosa nei confronti di 21 servizi sanitari Regionali», osserva ancora Cartabellotta. 

Di fronte a una situazione in cui l’efficacia della copertura è lasciata alla libera iniziativa delle Regioni e del singolo, la campagna informativa sul vaccino antinfluenzale e sul Covid è iniziata in ritardo, il primo dicembre. «Ben molto in ritardo rispetto alla situazione epidemiologica», continua il direttore di Gimbe. Intanto la variante australiana dell’influenza aveva già iniziato a mostrare la sua virulenza, contribuendo ad aumentare i ricoveri in area medica, su cui la comunità scientifica punta gli occhi, con la minaccia di far arrivare a 30 milioni il bilancio di giornate lavorative produttive perse fino a fine anno. 

«La curva dei ricoverati in area medica cresce più di quella dei ricoveri in terapia intensiva: avevamo 6.350 pazienti l’11 novembre, siamo arrivati a 9.215 l’8 dicembre. Si tratta di 3mila posti letto occupati in più – spiega ancora Cartabellotta – mentre nello stesso mese i ricoveri in terapia intensiva sono passati da 203 a 305. L’impatto grave degli anni passati sulle terapie intensive possiamo archiviarlo, a meno che non emerga qualche variante evasiva della risposta immune, ma il vero sovraccarico è quello dell’area medica, che in questo periodo dell’anno è aggravato dalla sindrome influenzale, con picchi mai visti in anni passati. Mentre i decessi continuano a mantenersi circa un centinaio al giorno con lo stesso meccanismo: anziani e fragili che quando beccano il virus peggiorano lo stato di salute e passano a miglior vita». 

Medici in affanno

Le strutture sanitarie rischiano di affollarsi in una fase in cui il personale sanitario è in affanno e non ha più la leggendaria resilienza mostrata nella prima fase della pandemia, mentre sempre più medici lasciano la sanità pubblica per dedicarsi alla libera professione o cambiare vita: sono stati già 8mila tra il 2019 e il 2021 secondo i dati di Anaao-Assomed. Una tendenza destinata ad aumentare anche a causa dello stress generato dal lavoro nelle corsie inondate dal Covid-19 durante le fasi più intense. Si parla di 3mila abbandoni l’anno, rimpiazzati solo per un terzo. E così «quello che in emergenza era gestibile oggi è un problema», osserva il medico di Gimbe. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha assicurato intanto «pieno sostegno alla campagna vaccinale per più deboli e anziani», ma al momento non è stato reso pubblico un piano di preparazione per la stagione autunno-inverno 2022-2023, contrariamente a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Fa fede il “Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023” che ha recepito le lezioni apprese durante il Covid. 

«Hanno soltanto deciso di dare un contentino all’elettorato No Vax, come con il reintegro dei sanitari non vaccinati o con la questione multe, dando un segnale all’esterno anche negli emendamenti», commenta a TPI la senatrice dem ed ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin. «Abbiamo abolito il virus per legge, ma non funziona così, altrimenti facendo passare un decreto avremmo risolto gli ultimi due anni», aggiunge. Una strategia che Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute del governo Conte II, definisce “beffarda”. «Il governo si nasconde dietro al dato che i contagi sono stabili, ma c’è una sottovalutazione che gli istituti di ricerca stimano del 50 per cento. Questo si mescola tra l’altro alla grande diffusione dell’influenza che sta di nuovo mettendo sotto pressione i medici di Pronto soccorso, ai quali per altro non è stato dato nulla di quel poco che era stato promesso», dice a TPI la senatrice del Pd. «L’unica cosa fatta è stato il reintegro con due tre mesi di anticipo dei medici No Vax e anche la posticipazione del pagamento delle sanzioni a giugno, che a suo tempo furono irrise dalla destra perché ritenute troppo basse. Quello che hanno fatto è la conferma che c’è solo un approccio ideologico, ma a spese della salute collettiva e delle persone che non vengono informate, non c’è più nessuna cura. Nessuno si cura del risultato o dell’esito delle proprie scelte», osserva.

La mancanza di un monitoraggio costante e di un piano aggiornato di preparazione all’inverno in una fase in cui ci sarebbe il tempo di concentrarsi sulla prevenzione e sullo studio, a differenza di quanto avveniva in piena emergenza, appare come un’occasione persa. «Sempre in ottica di discontinuità mi sarebbe piaciuto che il governo facesse cose nuove e diverse per facilitare la gestione della pandemia, che si fosse impegnato a raccogliere dati in maniera più analitica sui pazienti ospedalizzati. Sui decessi per esempio conosciamo i numeri ma non abbiamo informazioni, se sono morti a casa, in ospedale, in Rsa» commenta infine Cartabellotta. «Quello che mi preoccupa di più in senso generale sul piano politico è che l’Italia non ha un piano per la gestione della stagione autunno-inverno, che sia il Centers for Disease Control and Prevention che l’Oms hanno raccomandato a tutti i Paesi, perché nelle imprevedibilità delle situazioni devono essere pronti, e noi non lo abbiamo», conclude. «È un po’ una strategia alla marcello d’Orta: ‘Io speriamo che me la cavo’. Se va bene siamo stati fortunati. Speriamo che vada bene». 

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