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“Fiorello ha chiamato una giornalista, non una sua amica”. Tutta la verità sulla mia intervista (di Selvaggia Lucarelli)

Immagine di copertina
Selvaggia Lucarelli e Fiorello. Credit: Ansa

Io vi giuro, vorrei che questo Sanremo non finisse mai. Mai. Perché stiamo imparando delle cose sull’umanità variegata che ci circonda che neppure facendo il giro del mondo sulla Vespa. Direi però che il tema fondamentale è l’amicizia. Quella vera, presunta, quella tradita, quella ricucita a favore di telecamere, quella sfanculata a favore di telecamere e quella reclamata, pure se “ma chi ti conosce”. Parliamo di quest’ultima, perché è con un’incontenibile meraviglia che apprendo, oggi, di essere un’amica di Fiorello. Oppure non so, se non un’amica, una con cui Fiorello ha fatto una specie di patto di sangue tipo che magari abbiamo liberato insieme Mosul dall’Isis e ci siamo detti che quello che abbiamo visto non uscirà da Mosul. Una cosa così, insomma. Fiorello, infatti oggi, durante la conferenza stampa del festival, ha detto che ieri, tutto quello che mi ha riferito sulla sua lite con Tiziano Ferro e uscito su TPI, non era un’intervista ma “una telefonata privata”. Che lui non immaginava di vedere pubblicate le sue parole. Del resto, che di questi tempi, in Italia, un giornalista possa fare il suo lavoro con serietà, è un’idea piuttosto ardita, me ne rendo conto.

Dunque mi tocca chiarire bene come stanno le cose.

 

Non frequento Fiorello, non siamo amici, ci siamo sentiti al telefono una sola volta cinque anni fa. Mi chiamò lui per ringraziarmi di un articolo su una vicenda (delicata) che lo coinvolgeva, mi rivelò alcune cose che non riportai. Mai più sentito, forse ci siamo incrociati una volta anni fa in una radio.

Arriviamo a Sanremo 2020. Le sue esibizioni, fin dalla prima serata non mi convincono e lo scrivo sia sui social che nelle pagelle su TPI. Ieri scrivo un articolo più lungo sul suo litigio con Ferro e do ragione a Ferro. Dico che Fiorello è permaloso, che è un insicuro ossessionato dal consenso, dal voler piacere a tutti e che lontano dal palco non somiglia per nulla a quel Fiorello amicone che sembra farsi scivolare tutto addosso.

Dieci minuti dopo la pubblicazione mi chiama Fiorello. Il suo esordio è: “Scrivi quello che ti pare, che sono permaloso, va bene tutto, anche quei tweet che mi hai dedicato sul fatto che non ti piaccio a Sanremo, ma le cose però devi scriverle tutte”. Insomma, la classica telefonata impermalosita per dire “non sono permaloso”. Che è tipo “sono a dieta, passami una salsiccia”.

E quindi iniziano dieci minuti di sua invettiva nei confronti di Tiziano Ferro. Di mie domande e contestazioni a cui lui rispondeva puntualmente. Fine della telefonata e ciao ciao. Trascrivo quello che mi ha detto, ovvero che era rimasto male per la catena d’odio innescata da Ferro (capirai poi che cose terribili) e pubblico le sue dichiarazioni. Ovvero, faccio il mio lavoro, pensando anche che gli faccia piacere veicolare il messaggio sull’odio in rete.

Dopo un’oretta mi arriva un messaggio di Fiorello della serie: hai pubblicato una telefonata SENZA CHIEDERMELO. BUONO A SAPERSI PER IL FUTURO.
Gli rispondo che ha chiamato una giornalista con cui non intrattiene rapporti d’amicizia per contestare un suo articolo, che non ha neppure MAI chiesto che rimanesse segreto e che non gradivo i suoi toni.

In seguito mi ha inviato una nota vocale più rilassato in cui diceva “i tuoi colleghi pensano che io abbia fatto un’intervista con te, quindi ora sono tutti incazzati con me, mi hai messo contro tutti, del tipo “ ma come hai fatto un’intervista con la Lucarelli? Eh io non sapevo che la pubblicassi… vabbè ormai è andata così”.

Meraviglioso. Quindi il problema non era il contenuto dell’intervista, il cyberbullismo, Tiziano Ferro, no, il problema di Fiorello era esattamente quello sollevato dal mio articolo: l’idea di avere dei nemici. Giornalisti poi. Quelli che magari scrivono che non sei il migliore, il mattatore, l’idolo indiscusso anche oltre la stratosfera.

Ma soprattutto, per i giornalisti schiena dritta, se Fiorello parla con una giornalista fuori dal solito circoletto di leccaculo intorno a Fiorello e non solo a Fiorello, con una che non ha il poster del karaoke in camera, è lesa maestà. Come ti sei permesso. Ma come, noi che ti mettiamo in homepage, che lanciamo i tuoi programmi, che ti facciamo le interviste pettinate. Corto circuito.

Per me, comunque, la vicenda finisce lì. Vedo che la sera Ferro e Fiorello fanno pace a favore di telecamera.

Ma arriviamo alla meraviglia di stamattina.

Fiorello arriva in sala stampa e “Scusate ma devo fare una premessa. Chiedo SCUSA ai giornalisti in sala stampa con cui ho un rapporto molto bello, scusa per quella cosa di ieri, per quella… apro otto virgolette “intervista”, la mia era una telefonata ingenua, non sono il Dalai Lama, ho letto una cosa che mi ha dato fastidio, non chiamo un giornalista da anni, ma ho detto delle cose… poi le ho viste pubblicate”.

Cioè, Fiorello SI SCUSA con i giornalisti per aver parlato con una giornalista che lo critica, anziché con quelli che ha registrato in rubrica nella categoria “giornalisti amici”.
SI SCUSA. E qui l’apoteosi. Un eroico giornalista, l’unico, ovvero Carlo Mondonico, senza microfono gli dice ad alta voce: “Parli di Selvaggia Lucarelli, fai una telefonata a Selvaggia Lucarelli, non a una che scrive sul giornaletto della parrocchia! Su, da quanti anni fai questo mestiere?”.

E Fiorello: “Scusa, se io chiamo te, tu pubblichi quello che ti dico?”. Mondonico: “Sì, se non sono un tuo amico, certo!”. Silenzio in sala stampa. Nessuno che “ovvio, perché un giornalista non dovrebbe?”.

Allora Fiorello si alza in piedi, si prende la scena e “Se io facessi il giornalista, io ti chiederei “Posso pubblicare questa telefonata?”, tu diresti “no” e io non pubblico!”.

Applauso della sala stampa.

Una giornalista dice: “Giusto. Il giornalismo è anche una questione di ETICA!”.
ETICA. Mondonico, il Che Guevara della sala stampa, viene zittito e tanti saluti, passiamo alla prossima domanda sul colore preferito o meglio il mare o la montagna.

Dunque abbiamo imparato che: A) Fiorello non è permaloso B) Fiorello dà lezioni di deontologia professionale ai giornalisti e molti di quelli, anziché dire “Scusa, fai pure le gag su come si piscia in piedi ma come si fa il nostro mestiere fallo decidere a noi”, applaudono C) per i giornalisti a Sanremo (quelli plaudenti, non tutti, sia chiaro) le notizie si danno con il consenso degli interessati (anche se non sono amici, se non chiedono la riservatezza, se non ti stanno dicendo nulla di delicato o sensibile) D) i personaggi devono rilasciare interviste solo a giornalisti prezzolati o seduti lì in sala stampa. E) E se non lo fai, poi devi fare delle scuse pubbliche. Sia mai che poi uno scriva un articolo poco lusinghiero magari sul tuo travestimento da coniglio o sul monologo sui tuoi problemi urinari.

Insomma. All’improvviso mi sono ricordata perché da anni non metto piede nella sala stampa di Sanremo. E perché Carlo Mondonico, eroico giornalista che ha provato a rispondere a tono a Fiorello che dava lezioni di giornalismo a gente che fa questo mestiere da quando il Festival lo conduceva Nunzio Filogamo, mi è sempre stato simpatico.

A Fiorello, infine, spiego una cosetta semplice: la differenza tra una telefonata privata e una telefonata di un personaggio al centro delle cronache a un giornalista che ti ha fatto incazzare per un articolo, con successivo, repentino pentimento per aver detto quelle cose sull’onda dell’incazzatura, provando poi a negare di aver detto quelle cose o “erano cose private, colpa del giornalista”, la conosco bene. E la conoscono molto bene anche quelli che applaudivano. È quasi un cliché nel nostro mestiere.

Solo che i colleghi plaudenti erano troppo presi a conquistarsi il numeretto per la prossima intervista esclusiva a Fiorello, per ricordarsi che ogni tanto varrebbe la pena di difendere la categoria, anziché la propria colonnina in homepage.

Leccaculismo, come direbbe Fiore.
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