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Sanremo è come il parto: poi il dolore te lo dimentichi. E invece eccomi qui, come ogni anno (di M. Monina)

Immagine di copertina
Diletta Leotta, Amadeus e Rula Jebreal. Credit: EPA/Riccardo Antimiani

Oggi parte il Festival, giunto alla 70esima edizione. Per me è la 20esima che seguo. Ogni volta mi ripeto "mai più". E finisce sempre che a Sanremo ci torno, e ne scrivo, ripromettendo di non farlo più. Tanto poi l'anno prossimo chi se lo ricorda più? Il racconto di Michele Monina da Sanremo

Sono un uomo di mezza età, un marito, un padre. Ho assistito a due dei tre parti di mia moglie, e al terzo non ho assistito solo perché era un parto cesareo, programmato in quanto parto gemellare.
Quando leggo quindi il classico inciso che vuole che le donne tornino a partorire solo perché dimenticano i dolori del suddetto, beh, una mezza idea di cosa voglia dire posso dire di essermela fatta, sempre che sia possibile capire un dolore solo per averlo guardato.

Questo modo di dire, del resto, viene applicato in genere anche a altri avvenimenti dolorosi, o quantomeno tali da non rientrare tra quelli che lucidamente uno tenderebbe a replicare. Ecco, oggi parte il Festival della Canzone Italiana, giunto alla settantesima edizione. Per me è la ventesima edizione, tra quelle seguite in remoto e quelle che mi hanno visto catapultarmi qui. Una esperienza assolutizzante, che ogni volta mi spinge a dire “mai più, neanche se mi pagassero oro, neanche se mi chiamasse per invitarmi Charlize Theron, neanche se in cambio daranno finalmente la stella al Genoa”. E finisce sempre che torno qui, con tutto il mio entusiasmo.

In realtà quest’anno Sanremo è iniziato da quasi due mesi, al punto che l’idea di vederlo davvero in televisione fa quasi impressione, come quando una profezia Maya prevista per una determinata data si avvera.

Sappiamo tutti cosa è successo, ma magari è il caso di fare un breve sunto, tipo Bignami.

Questo è il Festival di Amadeus, e mai come quest’anno il direttore artistico e presentatore è stato presente nelle manovre di avvicinamento al Festival. Ha cominciato dicendo che avrebbe fatto tutto lui. E quantomeno è stato di parola. Ha in effetti fatto una sequela impressionante di cazzate che neanche Lapo Elkann quando era in vena di parcheggi selvaggi. Ha poi proseguito dicendo che a Sanremo Giovani non erano andate in finale donne perché si erano iscritte poche donne, non considerando che le liste degli iscritti sono online, e risultano essere oltre un terzo degli iscritti totali.

Ha azzardato la mossa di posticipare la proclamazione dei venti BIG, poi divenuti ventiquattro, allo speciale “I Soliti Ignoti” della Befana, il sei gennaio, salvo poi spoilerarli a “Repubblica” solo perché “Chi” aveva pubblicato una lista quasi azzeccata. Ecco, la faccenda di “Repubblica” è stata poi interpretata da tutti i media come un tradimento, fatto che gli si è rivoltato contro nei giorni seguenti, a suon di articoli critici. Articoli critici che sono arrivati anche perché Amadeus è riuscito a dire che ha invitato la fidanzata di Valentino Rossi “perché è bella e perché sa stare un passo dietro il suo fidanzato”, facendo in un sol colpo incazzare femministe, maschilisti e pure neutrali. Ma nel mentre gli stessi giornali si erano scatenati contro Amadeus perché ha dichiarato che i ventiquattro Big, diventati in effetti tali, erano nei suoi piani sin da subito, provando a giustificare la sua uscita con la sola Repubblica come una sorta di trappolone per presunte spie in seno alla Rai, andando quindi a ammettere, sempre che mai qualcuno possa credere a una tale cazzata, di aver volontariamente penalizzato le due concorrenti convocate due giorni prima del sei gennaio, Tosca e Rita Pavone.

Rita Pavone, manco a dirlo, che a sua volta è stata oggetto di altra polemica, per certe sue esternazioni di tipo sovranista fatte sui social. Esternazioni che hanno fatto arrabbiare i progressisti, tanto quanto il coinvolgimento di Rula Jebrael, giornalista chiamata a tenere un monologo sul femminile, è oggetto di critiche da parte dei sovranisti. Chi invece ha fatto incazzare tutti, sovranisti e progressisti, è stato Junior Cally, il trapper mascherato reo non tanto di aver punzecchiato Salvini e Renzi nel pezzo presentato in gara – figuriamoci se due megalomani come loro non hanno apprezzato – quanto per aver scritto in passato brani infarciti di frasi cariche di odio nei confronti delle donne, le stesse donne oggetto di violenza protagoniste, si suppone, del monologo della Jebrael.

Questa, di tutte le polemiche, è sicuramente la più dura, tra quante hanno colpito Amadeus, anche grazie a tutta una serie di vecchi tromboni che hanno visto nella faccenda un ottimo volano per un loro ritorno sotto i riflettori, e pazienza se siano tornati nelle vesti di inquisitori manettari. Del resto è partita una simpatica campagna di boicottaggio senza precedenti, campagna un filo surreale, se si considera che il boicottaggio si è visto in programmi dedicati al Festival e ripresi da articoli dedicati al Festival. Quando si dice l’intelligenza.

Sia come sia, il tutto si è rivelato un vero puttanaio senza precedenti, che però finirà per diventare un grande spot pubblicitario per quello che è e rimane il più importante evento televisivo italiano.
Da oggi quindi si accendono i riflettori veri sul Festival, le telecamere. E tutto quello che abbiamo visto fin qui lascerà il posto alle canzoni.

Ecco, le canzoni… Non è che le canzoni siano in effetti tali da far dimenticare le polemiche. Diciamolo apertamente, anzi, lo dico apertamente, tanto più dopo averle ascoltate ieri fatte in prove dentro l’Ariston, una buona porzione delle canzoni di questo settantesimo Festival della Canzone Italiana, fa letteralmente cagare. Roba che lunedì ci saremo dimenticati, sempre che il nostro subconscio faccia il suo dovere. E nel caso ciò non succeda, potremo sempre auto-procurarci una lobotomia infilandoci un ferro da lana sotto l’occhio sinistro, gesto estremo ma necessario. Ci sono poi gran belle canzoni, intendiamoci, penso a Tosca, con un brano intenso che lei porta a casa con classe e magia. Rancore, con un rap colto e con almeno tre piani di lettura e un ritornello che ti si pianta in testa come un chiodo (o il famoso ferro da lana), ritornello che però ha il suo top nel brano di Marco Masini, con una canzone matura e di una bellezza limpida, degna dei suoi trent’anni di carriera, con al secondo posto Pelù e la sua “Gigante”, rockettone quadrato e epico, come rockettone e sexy è il brano di Irene Grandi, per un grande ritorno sotto il nome di Vasco. Poi Bugo e Morgan e il loro brano che riconcilia con l’idea di indipendenza, Enrico Nigiotti e il suo assolo di chitarra e Diodato a chiudere il cerchio dei promossi a pieni voti. Non che tutti gli altri facciano proprio cagare, ma alcuni brani sono davvero di una bruttezza imbarazzante, quasi da penale.

Chiaramente sarà uno di questi brani a vincere, ce lo dicono i bookmaker, a dimostrazione che puoi passare una vita a scrivere di musica e poi al dunque non saresti mai in grado di fare la scommessa giusta.

Nel dubbio non scommetto, guardo Sanremo e ne scrivo, ripromettendo di non farlo più. Tanto poi l’anno prossimo chi se lo ricorda più?

SPECIALE TPI FESTIVAL DI SANREMO 2020
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