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Perché gli ucraini sì e i curdi no? (di Giulio Gambino)

Immagine di copertina
Il premier italiano Mario Draghi e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Credit: Ufficio Stampa Palazzo Chigi

Le bombe di Putin non sono meno devastanti di quelle di Erdogan. Ciò che il leader russo sta facendo in Ucraina non è poi così diverso da quanto il Sultano sta facendo con i curdi. Con la differenza che la Turchia ha intrapreso questa campagna d’eliminazione curda anni fa: e nessuno ha mosso un dito

C’è una domanda che non riesco a levarmi dalla testa. È la seguente: perché gli ucraini sì e i curdi no? Giacché è sacrosanto schierarsi dalla parte di chi viene aggredito, e nettamente contro chi con ferocia sopprime la sovranità nazionale di un altro Stato, non comprendo la logica nell’applicare due pesi e due misure nei confronti di tutti i popoli oppressi. Inviamo armi a Kiev ma ci scordiamo di farlo quando a chiedercele, o ad averne bisogno, sono altre comunità ispirate dalla democrazia ugualmente sotto scacco di brutali e “utili dittatori”.

S&D

La settimana scorsa la Turchia ha fatto decadere il proprio diritto di veto dinanzi alla domanda d’adesione di Svezia e Finlandia nella Nato, l’alleanza atlantica che dal 1949 agisce come un’appendice del potere militare Usa oltre oceano. La notizia è stata accolta con gli squilli di trombe e come un successo dell’Occidente per l’attrattiva che Washington ancora esercita sul mondo “libero e democratico”. Ciò che è passato sotto traccia invece è questo: il via libera di Ankara all’espansionismo Nato non è avvenuto certo senza che Erdogan ottenesse nulla in cambio.

Il prezzo da pagare si incardina su tre punti chiave: 1. lo stop dell’embargo di armi alla Turchia da parte di Svezia e Finlandia (in vigore dal 2019 dopo l’invasione di Ankara nel nord-est della Siria); 2. l’immediata sospensione del supporto di Helsinki e Stoccolma ai curdi; 3. l’estradizione di 73 dissidenti curdi ora rifugiati in quei due Paesi, dove risiedono almeno centomila esuli (85mila solo in Svezia).Praticamente ci siamo venduti il sostegno ai curdi in cambio dell’allargamento della Nato. I curdi che, se non ci fossero stati loro, l’Isis si sarebbe preso tutta la Siria. I curdi che abbiamo celebrato per la battaglia di Kobane. I curdi che hanno dato vita al Rojava, una regione autonoma nel Kurdistan siriano fondata su un modello di auto governo basato su democrazia diretta, ecologia ed emancipazione delle donne. E che oggi, a cospetto delle democrazie liberali, sui cui principi ad esempio si fonda il Kurdistan iracheno d’ispirazione a stelle e strisce, pare una civiltà modello, forse proprio perché non è un prodotto di Washington e non è riconosciuta né dal governo siriano, né dalle Nazioni Unite o dalla Nato.

Perché, dunque, gli ucraini sì ma i curdi e gli altri popoli oppressi no? Le bombe di Putin non sono meno devastanti di quelle di Erdogan. Ciò che il leader russo sta facendo in Ucraina non è poi così diverso da quanto il Sultano sta facendo con i curdi. Di fatto entrambi vogliono espandere i loro confini e minare l’esistenza di un altro popolo, negando la loro lingua, la loro cultura, la loro storia. Così come Putin dice che l’Ucraina non esiste nella storia e che gli ucraini in realtà sono russi, Erdogan applica lo stesso approccio verso i curdi. Con la differenza che la Turchia ha intrapreso questa campagna d’eliminazione curda anni fa. E nessuno ha mosso un dito.

Chi oggi parla d’Ucraina lo fa riferendosi a un attacco ingiustificato verso un Paese sovrano (vero), una nazione democraticamente ineccepibile (falso), un presidente tutto d’un pezzo trasformato in nuovo Churchill d’Europa (falso), un popolo unito che non ha mai sparso sangue o violenza contro i suoi stessi cittadini (falso).C’è chi tace ogni forma di dibattito sostenendo che di questa guerra non si debba nemmeno parlare, che è una battaglia di difesa in nome di libertà e democrazia. Ma allora perché non ci impegniamo allo stesso modo per difendere la libertà di tutti gli altri popoli oppressi? Chi decide quali valga la pena aiutare e quali no? Nel caso della guerra in Ucraina, e nella vicenda Turchia-Nato, gli interessi sono stabiliti dagli Usa e non certo da due Paesi che fanno parte dell’Ue.

La quale avrebbe, certo, dovuto sposare la causa della resistenza ucraina ma anche parlare per se, distaccandosi da Washington, al fine di mediare trovando la pace con Putin ben prima.Il problema più grosso di questo conflitto è che, a dispetto di quel che si voglia credere, l’Europa è oggi nettamente più debole. L’immagine dei tre eroi in treno per Kiev – Scholz, Macron, Draghi – dimostra solo l’inconcludenza di una passerella che ha ottenuto poco o nulla. Se non ciò che gli americani vogliono da sempre: tenere i russi fuori e i tedeschi sotto controllo. Per un’Ue addomesticata e a sovranità limitata.

A oltre quattro mesi dall’inizio del conflitto viviamo una escalation dopo l’altra e la guerra non promette bene. Nè si conosce un verosimile obiettivo finale, militare o geopolitico, che è il motivo per cui non basta più parlare di una guerra per la democrazia. Un’Ucraina parzialmente sottomessa. La cortina di ferro spostata più a est sullo scacchiere. Un’Europa senz’anima costretta a ripiegare sul gas americano (e turco) anziché su quello russo. La grande corsa al riarmo. Un’intera regione geopolitica messa a soqquadro e una guerra cronica che potrebbe durare anni. Divide et impera. Indovinate un po’ chi ci guadagna?

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