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Il piano Covid non c’è, le assunzioni neanche, rebus trasporti: il Governo dei Migliori si è dimenticato della scuola

Immagine di copertina
Credit: Emanuele Fucecchi

E la scuola dove è finita? Più o meno in questi giorni, esattamente un anno fa, i giornali del coro si esercitavano nel tiro a segno sul ministero della Pubblica Istruzione, scrivendo che nulla stava loro a cuore più della scuola italiana. Scrivevano che i banchi a rotelle erano una buffonata costosa e inutile, creando una meravigliosa e accattivante manipolazione, di cui Matteo Salvini fece dubito tesoro: il ministro Lucia Azzolina, infatti, non obbligava nessuno a comprarli, ma lasciava alle autonomie scolastiche la libertà di scegliere gli arredi che preferivano, tra cui (anche) i famigerati banchi a rotelle, peraltro molto diffusi nel Nord Europa e ideali per gli studenti dell’ultimo anno.

Ma i banchi si potevano comprare anche rettangolari o quadrati, monoposto o biposto, a seconda delle esigenze di ogni direttore scolastico. I giornali scrivevano anche che, in ogni caso, i banchi a rotelle non sarebbero arrivati mai nelle aule in tempo, si facevano calcoli complicati sulle gare e sulle disponibilità di magazzino, si andavano a intervistare i produttori italiani di arredi scolastici.

E così, dopo questo polverone, molti giornalisti zelanti si dimenticarono di registrare che ad inizio ottobre il Governo Conte e il commissario Domenico Arcuri (che aveva la responsabilità degli acquisti) erano riusciti a far consegnare oltre il 90% degli arredi ordinati. Quasi un record mondiale.

Ma in quella battaglia informativa, in prima fila, si distinguevano “i giornali degli Gedi” (famiglia Elkann-Agnelli, evidentemente molto attenti alla scuola pubblica, non avendone frequentata una), che avevano una pagina fissa al giorno contro i piani del ministero per adeguare le aule e gli istituti all’emergenza sanitaria.

In quel caso i cronisti si esercitavano sulle “rime buccali” (effettivamente la parola in “burocratese” stretto del Comitato tecnico scientifico, all’epoca, divertiva anche me) e si accanivano generosamente su tutto quello che la povera Azzolina si dovette inventare per fare le nozze con i fichi secchi (e aggirare alcune direttive del Cts che parevano scritte apposta per chiudere le scuole dopo il primo mese).

Ricordo che un giorno, dopo una puntata di In Onda, le dissi anche: “Attenta che ti fregano, così potranno mandare metà delle classi in quarantena”. Accadde, ovviamente, ma, con mia grande sorpresa, il metro di distanza, i banchi, le mascherine obbligatorie approntate dal ministero, la bravura e la testardaggine degli insegnanti (Dio li benedica) e dei dirigenti scolastici (che se vedevano i nostri figli senza mascherina li inseguivano fin nei bagni) fecero sì che i contagi in classe accertati furono solo un numero piccolissimo, compreso tra il 2,5% e il 3,5% (dato dell’Istituto superiore di sanità che nessuno può constatare).

Con il senno del poi è stata una impresa quasi eroica (e dunque non raccontata) realizzata dai docenti italiani, e poi da ragazzi e famiglie. Molti ragazzi, soprattutto i più poveri, ebbero forniture di mascherine (gratuite) grazie alla scuola. Quando le classi andavano in quarantena, dunque, era perché gli studenti prendevano il virus fuori da scuola, soprattutto durante i tragitti sui mezzi pubblici e nelle attività private del pomeriggio.

Più o meno un anno fa, dunque, la Azzolina era il ministro di cui si discuteva di più sui giornali, e stava impiegando il mese di luglio a girare come una trottola scuola per scuola, ogni giorno in una regione diversa, per trovare soluzioni di ogni tipo: si opzionarono sale, teatri (chiusi per Covid), posti aggiuntivi, da usare come aule quando i criteri di ripartizione delle classi non rendevano possibile far quadrare il cerchio nel rapporto studenti/metri quadri.

I giornali degli Gedi – tra cui sfavillava la firma della fantasiosa collega Giovanna Vitale (specializzata anche in attacchi all’Inps) e di un giornalista in altre occasioni serio come Corrado Zunino – scrivevano quasi ogni giorno che la ministra portava “gli studenti al cinema” e che i banchi a rotelle erano “uno spreco” inutile, un capriccio costoso e senza senso.

E quando la Azzolina provava a sistemare le cattedre aggiuntive, mettendo sul piatto 2 miliardi di euro, e andando a “combattere” con Roberto Gualtieri per farseli dare (“Ho dovuto arrendermi a Lucia”, mi diceva ridendo l’allora ministro dell’Economia ai primi di agosto), La Repubblica metteva in pagina le veline dei sindacati, e attaccava il ministro – udite udite! – perché si permetteva di dire che per insegnare bisognava fare un concorso pubblico per assegnare le cattedre.

Un bel paradosso: il gruppo industriale che più ha fatto contro i sindacati nella storia italiana (dai reparti di confino degli anni Cinquanta fino alle esclusioni anticostituzionali del 2011) improvvisamente scriveva pagine e pagine “sotto dettatura” degli apparati dei sindacati della scuola, molto attenti al consenso conquistato a spese nostre: ma come si permetteva questo ministro di sostenere che non si poteva guadagnare un posto fisso con la solita infornata della sanatoria tutti-dentro?

L’unica cosa utile, di questa campagna di stampa, è che adesso, almeno, tutti ricordano facilmente che quel governo: 1) stanziò fondi aggiuntivi per 2 miliardi per finanziare le nuove cattedre nella scuola; 2) stanziò i fondi per coprire le cattedre di sostegno (25mila posti in più); 3) finanziò la più grande opera di rinnovamento degli arredi della storia repubblicana (335 milioni di euro, distribuiti in più bandi); 4) mise nero su bianco i piani e i criteri metrici per stabilire il fabbisogno esatto di aule necessario al recepimento delle direttive anti-Covid; 6) stanziò fondi aggiuntivi sull’edilizia scolastica “leggera” per tutti gli interventi che potevano ampliare o recuperare spazi (660 milioni, metà ai dirigenti scolastici, metà agli enti locali).

Ricordo benissimo tutte le scelte che ho riassunto, perché alcune di queste le criticavo nel programma che conducevo allora (In Onda), dove la Azzolina veniva ospite una volta a settimana, sottoponendosi al nostro fuoco di domande, e commentando i nostri servizi, dove – come è giusto – trovava voce anche tutto il personale della scuola più incazzato d’Italia. Ricevevamo in diretta anche telefonate e mail senza filtro, alcune preoccupate, altre persino caustiche.

Ovviamente, facendo questo esercizio, era più facile, per me, distinguere il caso in cui la propaganda dei giornali Gedi, e degli altri ultra-critici (di fatto quasi tutti), era pretestuosa.

Era la prima estate dopo il Covid e la parola chiave della Azzolina era: “Ogni ora di didattica a distanza evitata è un regalo ai ragazzi”. Molti scrissero anche che i piani scolastici erano fatti male, inutili, addirittura velleitari. La prova dei fatti ci ha detto che il Governo Conte azzeccò quella mossa, e fece bene a tenere testa ad alcune richieste folli e restrittive del Cts, che, per motivi comprensibili, partendo da un punto di vista esclusivamente sanitario, sognavano di mettere in Dad tutta la scuola pubblica.

L’effetto di quel grande sforzo di pianificazione fu un grande screening di massa, che mise in sicurezza (in mancanza dei vaccini) milioni di studenti e garantì mascherine e tamponi. Sta di fatto che quest’anno siamo arrivati ad agosto senza che nulla di questo sia stato fatto, né meglio né peggio.

1) Non esiste ad oggi un piano di screening scolastico.
2) Non è stato definito il fabbisogno di aule aggiuntive (dovrebbero essere almeno 40mila).
3) Non sono stati stanziati i soldi per coprire fabbisogno delle cattedre aggiuntive imposte dalla pandemia (almeno altri 2 miliardi).

4) Non sono stati fatti accordi per trovare aule aggiuntive negli spazi utilizzabili sui territori.
5) Non sono stati stanziati fondi aggiuntivi per l’edilizia scolastica (né leggerà né pesante).
6) Il ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi (al contrario del suo predecessore) non ha girato l’Italia e non ha detto una sola parola sul suo piano anti-Covid.

Il Governo ha invece annunciato, in modo più o meno esplicito, che intende rendere obbligatoria la vaccinazione per tutti gli insegnanti che faranno servizio in classe. Intento a mio avviso lodevole, ma che – nel caso fosse applicato, per via dei professori No Vax – creerà un intero fabbisogno di nuove cattedre (almeno 50mila). Perché i professori  No Vax non possono essere licenziati, ma se rifiutano il siero devono essere destinati a servizi alternativi.

D’altra parte, invece, il Governo ha trovato un accordo con le forze politiche per una bella sanatoria che faccia entrare i precari (contrariamente a quello che era riuscito ad imporre la Azzolina, che per la sua presa di posizione sul tema è finita sotto scorta) senza l’obbligo di sostenere nessun concorso.

Ricordate la protesta contro il bando già convocato che prevedeva una batteria di quiz (data l’impossibilità della presenza)? “È anticostituzionale”, ci spiegavano i sindacalisti della scuola. E così si è fatto l’accordicchio per tenere dentro tutti, persino il M5S lo ha votato in cambio (molto male) della garanzia che fossero assunti gli insegnanti di sostegno che avevano titolo (ovvero quelli che la Azzolina voleva perché si erano specializzati con corsi di abilitazione molto rigorosi). Il risultato finale? L’infornata ha accontentato tutti, ma nel Decreto Sostegni non è stata finanziata.

Ah, a proposito: questo Governo ha rinnovato il finanziamento su tutti gli arredi (compresi i banchi a rotelle!), ma adesso, evidentemente, la cosa non interessa più nessuno. Quindi, allo stato attuale, non si farà nulla di quanto concordato.

In compenso il ministro Bianchi, che quando era consulente di quel governo criticava ogni suo provvedimento e rilasciava interviste contro, dorme sonni tranquilli. Nessuno lo cita, nessuno lo disturba, nessuno sa nemmeno che faccia abbia, perché non si parla di lui né delle sue non-scelte.

Il grande interesse per la scuola dei giornali Gedi (e non solo) evidentemente si è vaporizzato nel nulla. Forse perché a questo governo interessa molto di più la prescrizione, mentre al Governo Conte – e ad entrambi i suoi due ministri della Pubblica Istruzione (non va dimenticato Lorenzo Fioramonti) – anche con tutti i possibili errori (nessuno è infallibile), la scuola pubblica stava davvero a cuore. Mentre a questo governo, evidentemente, sta molto più a cuore la prescrizione. Con o senza rotelle. Aridatece la Azzolina.

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