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Home » Opinioni

Dopo gli auguri a Dell’Utri il Corriere pubblichi anche la sua sentenza di condanna per mafia

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Chissà se Paolo Borsellino quando disse “parlate della mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali, però parlatene” si sarebbe mai immaginato di vedere un’intera pagina del più importante giornale italiano dedicata agli auguri ad un amico di Cosa nostra.

Lo scorso 11 settembre il Corriere della Sera ha accettato (immagino previo cospicuo pagamento) di riservare l’intera pagina 26 per gli auguri di compleanno al neo-ottantenne Marcello Dell’Utri. Ripeto, il più autorevole (ancora?) giornale italiano, lo stesso giornale che ebbe il coraggio di pubblicare le parole di Pasolini sulle stragi degli anni ’70 (“Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974”) oggi ha il “coraggio” di pubblicare gli auguri ad un pregiudicato per reati legati alla mafia.

Auguri firmati persino da Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto per 15 anni nonché ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali prima e dei Beni culturali poi. Galan, quando era deputato e presidente della Commissione cultura della Camera, venne arrestato per le mazzette intascate sul Mose.

Uscì dal carcere dopo aver patteggiato (dunque ammesso) una condanna a 2 anni e 10 mesi di reclusione e la restituzione di 2,5 milioni di euro, cifra, tra l’altro, decisamente inferiore a quella che si intascò illecitamente. Subito dopo decadde da deputato a causa delle legge Severino, legge che, tra l’altro, Renzi, Salvini ad co. vorrebbero cancellare.

A questo punto rivolgo una domanda al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana: “Direttore, se un gruppo di cittadini, tra i quali un patteggiatore di tangenti, le inviassero un’immagine con gli auguri ad un loro amico delinquente, un tal Mario Rossi condannato in via definitiva per spaccio di droga, furto aggravato o per rapina a mano armata, lei la pubblicherebbe?”.

È una domanda più che lecita e che dovrebbe interessare i lettori del Corriere. Gli esempi sono più che calzanti dato che le pene inflitte per i reati menzionati sono spesso inferiori a quella che è stata comminata a Marcello Dell’Utri per aver contribuito agli scopi criminali di Cosa nostra, l’organizzazione mafiosa e militare che fece a pezzi Falcone e Borsellino.

Chissà se Fontana risponderà. Ad ogni modo se rispondesse Sì sapremmo che il Corriere, quantomeno, non discrimina i criminali. Se rispondesse No confermerebbe quel che, ahimè, già sospettiamo. In Italia se violi la legge e sei un povero Cristo viene trattato da farabutto, se violi la legge (oltretutto macchiandoti di reati gravissimi) ma sei uomo d’establishment sui giornali che ti arrivano in cella puoi trovarci addirittura gli auguri per il tuo compleanno.

Ieri il Comitato di redazione del Corriere ha espresso disagio per la lettera. Deo gratias. Ora, per cancellare l’onta, il direttore Fontana dovrebbe, a parer mio, dedicare lo stesso spazio alla pubblicazione di alcuni parti della sentenza di condanna definitiva per Dell’Utri. Mi permetto di dare alcuni suggerimenti: Grazie all’opera di intermediazione svolta da Dell’Utri, veniva raggiunto un accordo che prevedeva la corresponsione, da parte di Silvio Berlusconi, di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione a lui accordata da parte di Cosa nostra palermitana. Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti: per Silvio Berlusconi esso consisteva nella protezione complessiva sia sul versante personale che su quello economico; per la consorteria mafiosa si traduceva, invece, nel conseguimento di rilevanti profitti di natura patrimoniale” (pag. 46-47).

E ancora: “I pagamenti di Berlusconi in favore di Cosa nostra…erano proseguiti senza soluzione di continuità” e “dopo la scomparsa di Stefano Bontade e di Girolamo Teresi (rispettivamente capo e sottocapo della “famiglia” mafiosa di S. Maria del Gesù), erano stati effettuati ai fratelli Pullarà, divenuti reggenti del mandamento di S. Maria del Gesù” (pag. 52-53).

E ancora: “I soldi venivano materialmente riscossi a Milano presso Dell’Utri da Gaetano Cinà che provvedeva a recapitarli a Stefano Bontade e, dopo la morte di quest’ultimo, li faceva pervenire ai Pullarà tramite Pippo Di Napoli e Pippo Contorno, uomo d’onore della stessa famiglia mafiosa”.

Se vi fosse ancora spazio suggerisco di menzionare quel che venne affermato dalla Corte d’Appello (e riportato anche dalla Cassazione): “La morte di di Stefano Bontade e di Girolamo Teresi ed il sopravvento di Toto Riina e dei corleonesi non aveva mutato gli equilibri che avevano garantito l’accordo del 1974…Berlusconi, infatti, aveva costantemente manifestato la sua personale propensione a non ricorrere a forme istituzionali di tutela, ma ad avvalersi, piuttosto, dell’opera di mediazione con Cosa nostra svolta da Dell’Utri” (pag. 22).

Giovanni Falcone disse: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine“. Sacrosanto! Certo se chi ha il dovere di ricordare il passato per contrastare le amnesie collettive lo facesse davvero, la fine della mafia si avvicinerebbe sul serio. Altrimenti, tra 10 anni, i firmatari della lettera di auguri per il novantenne Dell’Utri saranno molti più ed il Corriere della Sera sarà “costretto” a dedicargli più di una pagina.

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