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Riad piglia tutto: così l’Arabia Saudita sta scalando il nostro mondo a suon di petrodollari

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Il principe ereditario Mohammed bin Salman fa razzia all’estero dei migliori ingegneri e archi-star per costruire uno Stato artificiale abitato al 70 per cento da stranieri e con il colpo Ronaldo all'al-Nassr punta a ospitare i Mondiali FIFA 2030. Una dichiarazione di guerra all’Occidente

Molto si è discusso, anche su questa rivista, in merito ai numerosi impegni di Renzi in territorio saudita. Nulla di illecito, sia chiaro. Qualcuno, semmai, ha da ridire sull’opportunità politica di una simile attività, ma non è questo il punto. Il punto è che l’Arabia Saudita di Mohammad bin Salman (MbS) si sta comprando il mondo. Forse addirittura più del Qatar, reduce dai Mondiali più brutti della storia del calcio, al netto della finale, benché la strategia dello sportwashing accomuni le due potenze petrolifere. Se i qatarioti hanno puntato sul Paris Saint Germain, riempiendolo di stelle e godendosi il confronto in finale fra Messi e Mbappé, MbS ha deciso di puntare sul Newcastle e sui Mondiali del 2030, oltre che su un’edizione delle Olimpiadi invernali. A tal proposito, si è portato avanti attraverso l’ingaggio di un fuoriclasse come Cristiano Ronaldo, ormai più che altro uomo immagine, acquistato dall’Al Nassr per la bellezza di 200 milioni di euro netti all’anno fino al 2025, più altri 500 milioni nei cinque anni successivi per farsi ambasciatore della candidatura saudita nel 2030. Insieme a lui, a quanto pare, il noto alfiere del «Rinascimento» avrebbe deciso di coinvolgere pure Messi, al fine di prevalere sulla ben più dignitosa candidatura di Spagna, Portogallo e Ucraina e dar vita a un’edizione che sul tema dei diritti umani ci costringerebbe quasi a rivalutare la recente rassegna iridata.

Al centro dell’iniziativa di bin Salman, nell’ambito della Future Investment Initiative (FII), ribattezzata la “Davos del deserto”, c’è l’accaparramento delle risorse migliori: non solo fuoriclasse del pallone ma anche ingegneri, archistar e chiunque possa essere utile alla causa. L’idea è quella di creare una sorta di Stato artificiale, passando dagli attuali circa trentasei milioni di abitanti a cento milioni, il cui 70 per cento sarebbe composto da stranieri. Tutto questo servirebbe a rilanciare il marchio, a dar vita alla città di Neom, sorta dal nulla e dotata di tutti i comfort e i servizi, e il regno della neve di Trojena. Sono le piramidi contemporanee, le dimostrazioni palesi degli intenti e delle manie di grandezza di un regime che non bada a spese e non guarda in faccia a nessuno, che non si ferma davanti a nulla e tira dritto con somma protervia, nella speranza di riuscire non solo a incunearsi ma, di fatto, a colonizzare un Occidente in declino e in preda a una crisi demografica senza precedenti. Il calcio è il passaporto per il Paradiso, il miglior biglietto da visita per guadagnarsi il consenso delle masse occidentali prive di sogni e bisognose di un nuovo “miracolo”, dato che la politica è ormai pressoché scomparsa e le conquiste del welfare state si sono dissolte. 

Le offerte stratosferiche ai cervelli più validi del pianeta, soprattutto occidentali, servono a creare uno spostamento di potere e ricchezza a proprio favore. Le cattedrali nel deserto servono a rubare l’occhio. Le kermesse sportive servono a rafforzare il potere conquistato e a conquistarne di nuovo: questione di immagine, di prestigio e di rilevanza internazionale. Del resto, è ciò che fecero negli anni Trenta Mussolini e Hitler: il primo con i Mondiali del 1934, il secondo con le Olimpiadi del 1936, l’uno costruendo il Foro Mussolini, oggi Foro Italico, l’altro celebrando l’ascesa del Reich millenario attraverso i fasti dell’Olympiastadion. No, non possiamo dare lezioni su questo aspetto: una vergogna del genere l’abbiamo alimentata anche noi, e anche all’epoca si trattava di espansionismo. Scartando l’ipotesi che MbS abbia in mente una guerra guerreggiata, dobbiamo tuttavia stare attenti alle guerre del ventunesimo secolo. Perché non c’è dubbio che Riyad abbia mosso guerra, e non da oggi, al nostro modo di essere, ai nostri principi, alle fondamenta delle nostre costituzioni e al valore essenziale della democrazia. Per questo, in ogni Paese occidentale, quando si affronta l’argomento, dovremmo chiedere a chiunque si candidi a rappresentare la cosa pubblica: tu da che parte stai?

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