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“L’emendamento blocca trivelle? Inutile. Si continuerà a perforare il nostro mare”, il Coordinamento No Triv a TPI

Immagine di copertina

“Stando al comunicato del Mise, un emendamento così congegnato potrebbe correre il rischio di avere vita corta. Non ci fidiamo, i rischi ambientali sono molto seri”

A parlare a TPI.it è , Enrico Gagliano, co-portavoce del Comitato nazionale No Triv, contrario alla perforazione dei fondali marini e attivo da prima del referendum per le concessioni del 2016.

Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa sulle autorizzazioni alle trivelle nel Mar Ionio annunciate gli scorsi giorni aveva commentato: “Non sono diventato Ministro dell’Ambiente per riportare l’Italia al Medioevo economico e ambientale”. Il Coordinamento No Triv critica duramente sia l’annuncio di Di Maio, che l’emendamento “blocca-trivelle” promosso dal Mise , che promette uno stop a 36 istanze di ricerca in mare.

Cosa pensate dell’emendamento “blocca-trivelle, presentato dal sottosegretario del Mise Davide Crippa?

Dell’emendamento non è stato reso disponibile il testo, definito “blindatissimo”. Stando alla lettera del comunicato diramato dal Mise, un emendamento così congegnato potrebbe correre il rischio di avere vita corta. L’emendamento del Mise dice ‘sarà impedito il rilascio di circa 36 autorizzazioni richieste, compresi i tre permessi rilasciati nel mar Ionio’. Secondo il Coordinamento No Triv è solo uno specchietto per le allodole, una farsa.

Perché?

Perché si presta ad eventuali impugnative dinanzi al Tar da parte delle compagnie Oil&Gas e risponde a quella politica degli annunci a cui siamo stati abituati fin qua quando esistiamo, da Berlusconi in poi.

Preliminarmente, facciamo presente che le attività upstream non rivestono più carattere strategico, di urgenza e indifferibilità, da tre anni a questa parte; esattamente da quando, nel Dicembre 2015, il Parlamento inserì una norma ad hoc nella Legge di Stabilità 2016, recependo il contenuto di uno dei sei quesiti No Triv depositati in Cassazione. L’aspetto concernente la pubblica utilità non fu preso in considerazione, allora, perché a rischio di censura da parte della Corte Costituzionale.

E le trivelle erano già definite “non-strategiche”, giusto?

Proprio così, inoltre il PTESAI (Piano per la transizione energetica ndr) si rifà concettualmente a quel Piano delle Aree abrogato dalla Legge di Stabilità 2016 per eludere uno dei sei quesiti referendari No Triv, in seguito rilanciato, sempre da No Triv, a più riprese e, in ultimo, insieme al “Pacchetto Volontà” e ad una nota indirizzata nei giorni scorsi al Ministro dell’Ambiente. Il Piano è stato anche oggetto di ben quattro disegni di legge presentati nel corso della precedente legislatura.

Quali sono secondo voi le criticità?

Nella nota del Mise si legge ‘Con un termine massimo di tre anni, saranno sospesi i permessi di prospezione e di ricerca già rilasciati, nonché i procedimenti per il rilascio di nuovi permessi di prospezione o di ricerca o di coltivazione di idrocarburi’. Questo passaggio è quello che presenta forti criticità, prestando fin troppo facilmente il fianco al rischio di possibili contromisure delle compagnie Oil&Gas. Perché intraprenderanno un’attività di lobbying spietata.

Tra l’altro perché 36 -e non 40 richieste di permesso come detto inizialmente- da dover fermare?

Sono divenuti 36 contro i 40 del Sottosegretario Crippa di qualche giorno fa. ma non è questo il punto: un conto è sospendere i procedimenti in corso, mentre tutt’altra cosa è sospendere e poi revocare, sulla base dello stesso Piano, i permessi di prospezione e ricerca già rilasciati, compresi i tre di Global Med nello Ionio.

Il primo provvedimento di revoca di un permesso già rilasciato che il Mise dovesse adottare sulla base di questa norma, verrebbe immediatamente impugnato dinanzi al Tar dalla società che ne detiene la titolarità. La norma “blocca trivelle”, posta al vaglio della Corte Costituzionale, finirebbe per essere dichiarata illegittima con tutte le conseguenze del caso.

Per non parlare delle concessioni Eni, che non vengono neanche sfiorate dall’emendamento che godono del meccanismo della “proroga automatica” della loro durata, oltre la scadenza, grazie ad una norma voluta dal Governo Monti. Nel 2016 inviammo al Mise anche una diffida ad adempiere alla revoca di queste e di altre concessioni che godevano della proroga automatica ma da allora nulla è cambiato.

Perché  non avete voluto incontrare il ministro dell’Ambiente Costa quando c’è stata la possibilità la scorsa settimana?

Perché non c’erano le condizioni per poterlo fare: nelle ore successive all’invito No Triv fu tacciato di “malafede” da parte di un altro esponente del Governo. Con più calma e per discutere di punti specifici, lo incontreremo certamente. Non ci siamo mai sottratti al confronto quando qusto è costruttivo.

Le trivelle sono l’ennesimo argomento sul quale il governo giallo-verde si è spaccato. Ma la Lega non era contraria alle perforazioni in mare?

Sì, esatto. C’è una foto che sta circolando su internet in cui Matteo Salvini nel 2016 è impegnato nella campagna referendaria No Triv. ‘Impediamo a Renzi di svendere i nostri mari a qualche petroliere!’, questo era il suo slogan. Oggi, a distanza di due anni e nove mesi, sembra aver cambiato idea.

Perché le trivelle sono pericolose anche a tale distanza dalla costa?

Lo Special Seport della conferenza sul clima di Seoul del 2018 dice chiaramente che per contenere il surriscaldamento globale entro la soglia di 1,5°C entro fine secolo occorre lasciare idrocarburi nel sottosuolo e nei fondali marini, ovunque si trovino. La salvaguardia delle specie e del Pianeta è la più importante delle priorità.

Avete percepito queste ultime decisioni come un cambiamento repentino di direzione dei 5 Stelle. Perché dopo essersi battuti sul territorio hanno preso questa strada?

Ho l’obbligo di ricordare che i consiglieri regionali M5S pugliesi furono i primi a schierarsi a favore di No Triv nella fase che portò al deposito in Cassazione dei quesiti referendari, in controtendenza rispetto all’attendismo dei “vertici” del Movimento.

Il primo segnale di cambiamento di rotta risale ai primi di settembre: il Ministro Di Maio intervenne sulla situazione libica per affermare la necessità di stabilizzare quell’area dove l’Italia ha importanti interessi “petroliferi”. Lo facemmo notare e fummo molto criticati. I fatti ci hanno dato purtroppo ragione.

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