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L’uomo dell’antiterrorismo

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John O. Brennan è il custode delle regole con cui l’America uccide

L’ha codificata. L’ha burocratizzata. L’ha resa permanente. La guerra al terrore è cosa sua.

S&D

Lui è il custode delle regole con cui l’America uccide. Istruzione gesuita, è un tipo a cui non conviene tagliare la strada.

Ha passato 25 anni nei ranghi della Cia, di cui oggi è a capo dal 2013, e ha la fama di sceriffo cattivo e lavoratore infaticabile.

Chi ha lavorato con lui lo ha definito un astuto bastardo. La leggenda narra che come agente segreto abbia pure affrontato una spia iraniana per le strade di Riyad, in Arabia Saudita, dov’era a capo della base saudita dell’agenzia d’intelligence americana.

È anche l’uomo dei droni, che con lui  sono diventati l’arma principale nella caccia ai terroristi. Nel primo mandato Obama, i droni hanno condotto 296 attacchi solo in Pakistan, uccidendo tra le 1.500 e le 2.500 persone — fra i quali oltre cento civili. Nella presidenza Bush, i raid non superavano la cinquantina.

Già consigliere di Obama per l’antiterrorismo, gode della totale fiducia del presidente, cui ha diretto e immediato accesso.

In quattro anni da assistente del presidente, John O. Brennan, 60 anni di North Bergen, New Jersey, ha supervisionato per suo conto l’accentramento e la sistematizzazione della guerra al terrore.

Sotto di lui, le misure d’emergenza successive all’11 settembre sono diventate istituzioni codificate. Un’infrastruttura di antiterrorismo in grado di sostenere una campagna permanente.

Il compito di Brennan è stato quello di raccogliere tattiche spesso sovrapposte nell’arsenale americano – i raid della Cia, quelli dei militari, tra gli altri -, armonizzarle e accentrarle alla Casa Bianca. Mettendo se stesso al centro di questo sistema solare.

L’eredità principale di Brennan è la disposition matrix. Come ha rivelato un’inchiesta del Washington Post, non è una semplice lista di persone da eliminare, bensì un elenco degli strumenti a disposizione per rintracciare l’obiettivo, arrestarlo o ucciderlo.

Il terrorista si trova negli Stati Uniti o all’estero? È in un Paese che può estradarlo o che lo processerebbe? È una minaccia immediata? Qual è l’unità militare più vicina?

Tutte domande a cui la disposition matrix risponde. La compilazione della lista coinvolge tutti gli attori della sicurezza nazionale, in un processo coordinato da Brennan. Quando si tratta di colpire un obiettivo importante, è lui in persona a sottoporre le opzioni al presidente.

Non solo: quando il giorno di Natale del 2009 un giovane nigeriano tentò di farsi esplodere a bordo del volo Northwest Flight 235 sui cieli di Detroit, l’amministrazione Obama decise di aprire un nuovo fronte della guerra al terrore in Yemen, dove opera la branca di al-Qaeda responsabile del fallito attentato.

Brennan è stato protagonista dell’escalation con 7 viaggi nel Paese arabo, supervisionando una campagna segreta che ha portato a 47 attacchi tramite droni negli ultimi 12 mesi, di cui 5 dalla vigilia di Natale a oggi.

Dei droni, Brennan è il volto pubblico, parte di una campagna dell’amministrazione iniziata proprio nel 2012 per giustificare il loro uso. In un discorso al Wilson Center, l’allora-ormai-prossimo direttore della Cia ha definito i droni un’arma ‘etica’, per la loro capacità “senza precedenti” di “colpire con precisione un obiettivo militare minimizzando i danni collaterali”.

Mai prima d’ora si sarebbe potuto “distinguere più efficacemente tra un terrorista di al-Qaeda e civili innocenti”.

Alla Cia, Brennan prima o poi doveva finirci. Entrato nell’agenzia nel 1980 rispondendo a un annuncio sul giornale, parla perfettamente l’arabo, è stato prima analista e poi spia sul campo in Medio Oriente, quindi capo di staff di George Tenet, direttore nel primo mandato Bush.

Da capo dell’agenzia, è stato chiamato a ricalibrare la missione della Cia. I servizi segreti sono stati accusati di essersi concentrati troppo sul lato militare durante la direzione Petraeus (dimessosi a novembre 2012 per uno scandalo a sfondo sessuale), arrivando a chiedere 10 droni in più rispetto al già affollato arsenale di 30/35 velivoli.

L’ex capo della Cia Michael Hayden era stato chiaro: più spionaggio e meno armi. Lo stesso Brennan è di questo avviso: da supervisore dell’antiterrorismo ha insistito perché i raid fossero condotti dai militari piuttosto che dai servizi segreti.

La sua nomina a capo della Cia era già spuntata nel 2008. Allora però l’opinione pubblica insorse: il presidente Obama era stato eletto promettendo di bandire la tortura dagli interrogatori e Brennan era stato ai vertici dell’agenzia quando queste tecniche venivano approvate.

In televisione aveva persino difeso alcune pratiche. Come quando disse che la rendition (portare detenuti all’estero per interrogarli, non una tortura in sé) era “uno strumento assolutamente vitale”.

Oppure quando affermò che “molte informazioni sono uscite grazie a queste procedure […] e hanno salvato delle vite”. Si era detto invece contrario al waterboarding (l’annegamento simulato).

I nei nella carriera di Brennan non sono finiti qui. Nel 2011 una sua frase sulla campagna di droni in Pakistan ha suscitato scandalo: “Non c’è stata una sola vittima [civile] grazie all’eccezionale precisione nelle capacità che stiamo sviluppando”.

Un’affermazione che gettò luce sul modo discutibile con cui la Casa Bianca conteggia le vittime dei droni. Tutti gli uomini in età da combattimento presenti nell’area di un raid sono definiti come militanti: colpevoli per associazione.

Ancora, il giorno dopo l’operazione che ha portato all’uccisione di Bin Laden, Brennan diede impressioni sbagliate ai cronisti: il capo di al-Qaeda era armato, si era fatto scudo delle mogli, viveva nel lusso.

Salvo poi essere smentito dalla ricostruzione di Panetta, allora capo della Cia. Le contraddittorie e imbarazzanti versioni dei fatti spinsero il segretario della Difesa Robert Gates a fare irruzione alla Casa Bianca: “Ho un nuovo approccio di comunicazione strategica da raccomandare: shut the fuck up”.

Tutte queste controversie non sono in ogni caso bastate per alienare a Brennan la stima di Obama. Che, dopo averlo nominato, gli ha ceduto il podio per tenere un discorso.

Trattamento più caloroso rispetto a quello riservato a John Kerry, scelto come segretario di Stato. E che la dice lunga su chi detenga le chiavi del pensiero strategico di Obama.

*Federico Petroni è consigliere redazionale a Limes, la rivista italiana di geopolitica, e analista di politica estera e di difesa americana a The Post Internazionale

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