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Home » Esteri

Viaggio nelle banlieue di Parigi dove nascono i terroristi che attaccano la Francia

Immagine di copertina

Il reportage di TPI da Aulnay, il sobborgo fuori Parigi dove Théo è stato violentato dalla polizia il 2 febbraio. È in posti simili che si radicalizzano i terroristi

Seine-Saint-Denis, Francia – Da queste parti lo chiamano Neuf trois, “93”. È il dipartimento di Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi. Stritolato tra disoccupazione, segregazione, violenza e radicalismo, è una delle province più difficili della Francia.

Da qui venivano Karim Cheurfi, l’attentatore degli Champs Elysées, e Samy Amimour, il terrorista che si fece esplodere fuori allo Stade de France durante la partita Francia-Germania il 13 novembre 2015. In questo dipartimento, pochi giorni c’è stato l’assalto che permise di neutralizzare la cellula terrorista di Abdelhamid Abaaoud.

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È un dipartimento difficile, in cui si trova anche la cittadina di Aulnay, teatro di scontri proprio pochi mesi fa, dopo un intervento della polizia. Difficile non vedere nel disagio sociale di questa provincia una delle cause dell’impennata radicalista in Francia.

Aulnay è un comune di 80mila abitanti, nel nord popoloso e a forte immigrazione di Parigi. Qui nessuno dimentica le storie dei ragazzi delle banlieue, i sobborghi disagiati della capitale francese: Zyed e Bouna, folgorati dall’alta tensione durante un inseguimento con la polizia; Adama, morto durante un fermo di polizia a Beaumont-sur-Oise; e Théo, vittima di uno stupro il 2 febbraio durante un intervento di poliziotti della Brigata d’intervento criminale proprio ad Aulnay.

“Zeina, Bouna, Théo…on oublie pas on pardonne pas”. Zeina, Bouna, Théo, non dimentichiamo, non perdoniamo.

Il racconto di Théo, violentato a colpi di manganello nelle parti intime, ha provocato violenze quasi simili a quelle del 2005, quando la morte dei due ragazzi fu il preludio a scontri in tutte i sobborghi di Francia. In piena campagna elettorale le banlieue tornano magicamente nell’agenda dei politici come argomento elettorale. Salvo poi sparire di nuovo, una volta sedate le braci della rivolta.

(Credit: Marco Cesario. L’articolo continua dopo la foto)

 

Segregazione e radicalismo

Aulnay è una città spaccata in due. Da un lato villette a schiera con graziosi giardini sul retro, dall’altro la Cité des 3000, un agglomerato di edifici abnormi a scandire una quotidianità fatta di segregazione e abbandono.

È stata edificata negli anni Settanta, per dare alloggio a un migliaio di operai di una fabbrica Citroën, che dopo quarant’anni ha chiuso i battenti per trasferirsi in Slovacchia.

Privata del suo principale motore economico, la cité è oggi in stato di abbandono, nelle mani dell’egemonia dei pusher e della minaccia dei giovani che si radicalizzano.

“Ad Aulnay il jihad fa molti proseliti”, racconta a TPI Julien, volontario di un’associazione per il recupero delle banlieue nord. “L’anno scorso l’associazione l’Espérance musulmane de la jeunesse française (Emjf) ha addirittura invitato in un ginnasio il predicatore radicale Mehdi d’Aubervilliers, il mentore dei fratelli Kouachi, autori dell’attentato a Charlie Hebdo. Il sindaco dice di voler combattere il radicalismo, ma poi fa parlare chiunque apra il portafogli”.

Quando si avvicina la sera la cité diventa una sorta di terra di nessuno. È una piazza conosciuta per lo spaccio di cocaina e di eroina. Quando cala la notte e le ombre si fanno più lunghe, gli androni dei palazzi si trasformano in sportelli per la vendita. Per ogni palazzo si calcolano fino a 30mila euro al giorno di guadagni.

Il prezzo da pagare per viverci è però altissimo.

“Mio figlio ha paura ad uscire”, racconta Janina, madre di due ragazzi. Vorrebbe fuggire da qui ma non può. “Qui gira di tutto. Se ti trovi nel posto sbagliato al momento sbagliato la polizia ti porta via”.

Sui muri diroccati della città le scritte contro la polizia sono state cancellate. Quelle che ricordano le vittime delle violenze no.

L’ultima, in ordine di tempo, riguarda il cinese Shaoyo Liu, 56 anni, sposato e padre di quattro figli. È stato ucciso il 20 marzo 2017 con un colpo di pistola nella sua abitazione durante un’irruzione della polizia. Secondo gli agenti aveva cercato di attaccarli con un oggetto appuntito. Secondo la famiglia, invece, è stato ucciso senza motivo.

Come per Théo e altri prima di lui, la gente è scesa in strada. La rabbia è quella di non sentirsi cittadini dello stesso paese: vivere qui è come vivere in un altro mondo.

(Credit: Marco Cesario. L’articolo continua dopo la foto)

 

Una città come una prigione

Ahmed è cameriere in un caffé nei pressi del centro di Aulnay. Anche lui viene dalla cité.

“Liberté, égalité, fraternité. C’è scritto ovunque. Ma che vuol dire? Dopo 12 anni è tutto uguale”, mi risponde quando gli chiedo come si vive qui. “Siamo sempre bastonati, dalle autorità e dai politici. Corrono quando ci sono le elezioni, fuggono via quando abbiamo bisogno di loro. Qui non c’è futuro”.

“Si sono fatti sei mesi per un’imboscata a una volante”, racconta dei suoi amici in prigione Rachid, che fuma una sigaretta lì fuori. Poi mi indica un ragazzo incappucciato con la visiera abbassata seduto davanti ad uno scooter. “Lo vedi quello li? È uno chouffeur”.

Chouffeur in arabo vuol dire sentinella. Appena arriva la polizia i chouffeur fischiano e inizia il lancio di pietre dai balconi contro le volanti. “È per evitare che arrestino i pusher”, dice con un sorriso amaro.

 

 

All’interno del bar, la televisione mostra immagini dell’ultimo dibattito presidenziale. Ahmet fa una smorfia eloquente. Guarda distratto fuori al bistrot un orizzonte fatto di ombre lunghe, palazzoni e cantieri che nascondono la flebile luce del sole.

Qualche strada più in là, nell’oscurità della sera squarciata dai lampioni gialli, s’intravedono le barriere del cantiere del Grand Paris Express, la nuova linea del metrò che entro il 2024 unirà il centro di Aulnay a quello di Parigi. Servirà davvero ad avvicinare le periferie?

“Se ne fregano di noi”, dice Ahmed cambiando canale. “A che serve votare? Si ricordano di noi solo quando vengono i giornalisti di Tf1 perché hanno incendiato qualche macchina. Qui la polizia reprime ma non educa. Questa città è una prigione”.

Disoccupazione, astensionismo, violenza

La Cité des 3000 è tra i quartieri più sensibili di Francia. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale della politica della città (Onpv), nel 2016, ha fatto un ritratto nero della crisi che affligge questa banlieue. Mentre nel resto del paese riprende la crescita, qui si sprofonda nella recessione. “Il tasso di disoccupazione in banlieue nella fascia 15-64 raggiunge quasi il 30 per cento, laddove a livello nazionale si attesta attorno al 10 per cento”, si legge nel rapporto.

 

In altre parole la disoccupazione in questi quartieri è tre volte superiore al resto del paese. Il disagio economico genera paura e violenza.

Ne sa qualcosa Mamadou, spazzino franco-senegalese che vive ad Aulnay. “Vuoi che ti racconti come si vive qui?”, mi dice accendendosi una sigaretta e guardando davanti a sé. “Quando vedi un keuf picchiare un bambino di 10 anni capisci cosa vuol dire”.

I keuf sono i poliziotti in dialetto verlan, un linguaggio gergale parlato in Francia. Mamadou mi spiega che il quartiere è doppiamente stigmatizzato. “La gente è violenta perché la polizia è violenta. È come un cane che si morde la coda”, spiega mettendosi una mano sul cuore: “Voi giornalisti dovete dire come si vive qui con lo stato d’emergenza”.

A spiegarlo è Laurence Blisson, segretaria generale del sindacato della magistratura. “La situazione è divenuta estremamente preoccupante, lo stato d’emergenza è diventato invasivo”, spiega Blisson. “Perquisizioni, violenze, blitz della polizia a danno della popolazione senza prove sufficienti. Ma se questo tutto sommato è gestibile in centro, nelle banlieue queste operazioni diventano abuso di forza”.

(Credit: Marco Cesario. L’articolo continua dopo la foto)

Fuori alla stazione della Rer, la ferrovia urbana, TPI incontra Djamel. Ha 65 anni, il viso rigato dal tempo. Ad Aulnay ne ha vissuti almeno venti, ma questa città se la ricorda molto diversa.

“All’epoca i poliziotti erano padri di famiglia, ci potevi parlare”, racconta. “Oggi si comportano come robot. Tra droga e polizia qui viviamo col coprifuoco”.

 

Normale, in questo contesto depresso, che la politica interessi poco. Alle ultime elezioni il tasso d’astensionismo qui ha toccato il 50 per cento al primo turno delle municipali del 2014.

“Se potessi alle elezioni voterei Hadama Traoré”, dice sorridendo Meriah, una studentessa franco-algerina che aspetta il treno per andare a Parigi, dove studia. Traoré è un rapper che ha lanciato il suo movimento, la Révolution est en marche, “il movimento degli insorti”. È amato ad Aulnay e nelle banlieue nord.

“È uno di noi come Moussa Sissoko (giocatore del Tottenham ndr)”, spiega Meriah. “Basta puntarci il dito contro. Ciò che è successo a Théo è il risultato dell’abbandono di questi quartieri da parte del governo”.

Meriah ha ragione. Il destino dei ragazzi qui sembra segnato. E mentre il treno inghiotte ciò che resta del tramonto e le ruote stridono fastidiosamente sulle rotaie pensi alla banlieue come un luogo immaginario, senza patria. In perenne attesa di un futuro che non arriva mai.

 

@marco_cesario

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