Il fotografo italiano che si è autoritratto per rappresentare i suoi attacchi d’ansia
Un giovane bresciano, Matteo Rigosa, ha voluto esorcizzare i suoi problemi di ansia e depressione rappresentandoli con la sua arte in bianco e nero
Matteo Rigosa ha 23 anni, vive a Brescia ed è in procinto di laurearsi presso l’Accademia di fotografia. Da quando ha sperimentato sulla sua pelle cosa voglia dire soffrire di attacchi d’ansia e di depressione, Matteo ha deciso di rappresentare le sue sensazioni attraverso la sua arte, con un progetto fotografico sul tema dal titolo “Phototherapy”, in cui, come si evince dal nome, la fotografia diventa anche un modo per esorcizzare la paura.
Secondo Rigosa, proiettare le cattive sensazioni nel processo creativo di un’immagine fotografica è un modo per dare loro una forma, definirle, studiarle e infine screditarle. Per farlo, il fotografo usa proprio se stesso come soggetto di ogni singola immagine, in modo da rivivere ogni situazione e sensazione annessa dall’interno e trarne quindi dei benefici terapeutici.
Dice Rigosa: “Le rappresentazioni di ciò che mi terrorizza di più sono volutamente estremizzate all’eccesso per permettermi meglio di comprendere che ciò che sto vivendo non è poi così insostenibile in confronto a quello che vivo al momento dello scatto. Ogni fotografia è una sfida con me stesso e i miei limiti, ogni vittoria è spazio vitale riconquistato”.
Anche a livello tecnico, l’autore ha esplorato un territorio nuovo, secondo le sue stesse parole: “Non avevo mai scattato in bianco e nero prima di questo progetto, anzi quasi lo disprezzavo, trovavo che i colori avessero una potenza comunicativa ineguagliabile. Ma mi sono ricreduto. In un progetto dove viene rappresentata l’ansia e le condizioni in cui vive una persona ansiosa non è possibile la presenza dei colori. Un ansioso non vede colori, non vede le sfumature, vede solamente o bianco o nero, cose che si è in grado di affrontare e cose che invece non lo si è ancora. In questo momento la mia vita è in bianco e nero e così è giusto che lo siano anche la mie immagini”.
Nonostante le immagini siano estremamente personali e intime (l’autore, che si autoritrae, è spesso nudo), Rigosa ha capito che tenersi dentro quelle sensazioni non faceva altro che farlo stare peggio, mentre esporsi, gridare, esprimere ciò che provava era un modo per ribaltare le carte a suo favore e trasformare la sofferenza in un trampolino per saltare fuori dalla gabbia.
Su TPI pubblichiamo le sei opere più significative del progetto, che si può trovare nella sua interezza su questo tumblr.