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Vita tra due fuochi

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La realtà quotidiana degli abitanti di Gaza, tra gli interventi militari di Israele e le restrizioni imposte da Hamas

La quiete e l’innata bellezza del paesaggio difficilmente si sposano con il ricordo delle assordanti e distruttive bombe sganciate a ripetizione. Gioire di una corsa in macchina per le campagne assolate stride con l’immagine di autorità locali dalle manovre sempre più restrittive.

Una maratona in solidarietà con la popolazione di Gaza programmata per aprile è il proposito della visita nella Striscia. Invece, “Unrwa si dispiace di dover annunciare la cancellazione della terza maratona in favore di Gaza,” legge una missiva ricevuta pochi giorni prima. “La decisione avviene in seguito al divieto da parte delle autorità di Gaza di far partecipare le donne.” Saltato l’evento sportivo, cresce l’interesse verso questa controversa lingua di terra.

Dopo aver preso accordi con un fixer palestinese – figura fondamentale per qualunque freelance giramondo – per definire le cavillose carte rilasciate da Hamas, ti appresti a valicare il confine egiziano. Dopo ore di attesa, il tuo nome echeggia in fondo alla sala. La mano tesa è pronta ad afferrare il passaporto, ma l’aria intorno si fa pesante. Centinaia d’occhi palestinesi sono incollati su di te. “Si accorge del privilegio che ha di poter viaggiare quando e dove le pare?” sembrano voler dire.

Dopo aver pagato 4 euro per un autobus che, in non più di un minuto e mezzo, ti scarica alle porte della Striscia, aspetti fiduciosa il tuo tutto-fare. Materializzatosi dopo un paio d’ore, il giovane palestinese si profonde in eloquenti ringraziamenti verso gli ufficiali appuntati e, consegnati gli incartamenti, t’intima a seguirlo. Sei finalmente ‘libera’.

Le rovine di Soraya, prigione gestita in passato dalle forze israeliane, poi da quelle palestinesi, ed eventualmente fatta a pezzi durante l’operazione israeliana Pilastro di Difesa del novembre scorso, si ergono nel mezzo di una vasta e alienante distesa sabbiosa.

Un attimo prima cammini per il moderno centro di Gaza City e ti viene naturale interrogarti. Che fine hanno fatto le macerie dei palazzi accartocciati su sé stessi mostrati in TV dopo gli attacchi di novembre? Com’è possibile che tutto sia stato ricostruito così in fretta?

“Il Qatar ha investito miliardi di euro nella messa a nuovo degli edifici pubblici e privati qui a Gaza,” spiega Mohammed. “Da un lato, i qatarioti hanno fatto un ottimo lavoro ma, dall’altro, hanno agito secondo la linea israeliana, cancellando in breve tempo ogni traccia dei recenti attacchi militari.” Come niente fosse successo, dunque.

Tende militari riuniscono ex detenuti, e i familiari di chi in carcere ci sta ancora, impegnati nel mostrare supporto alle migliaia di prigionieri palestinesi, in balia sia delle autorità israeliane sia di quelle di Hamas. Il guardiano del posto prova piacere nel raccontare i dettagli dei brutali metodi adottati dai secondini israeliani, ma puntualizza come quella non sia “la sede adatta per indagare la condotta dei successivi carcerieri islamisti.” Che sorpresa.

La notte porta con sé un cambio di scenografia. Nella vaga luce dell’alba il porto di Gaza ricorda una scena da film fantasy. Decine di sagome saltellano su e giù dai carri merce, e le voci si fanno nitide solo via via che ci si avvicina. Quando l’immagine si fa chiara, si riconosce una sessantina di uomini impegnati nella compravendita del pesce. A dispetto di ciò che si dice sulla pesca come fulcro dell’attività commerciale della Striscia, l’atmosfera è tutt’altro che vibrante.

Gaza ospita 4 mila pescatori ma, di questi, solo un migliaio possiede i mezzi per lavorare nelle sue acque. “I due mesi che vanno da metà aprile a metà giugno dovrebbero essere i migliori per la pesca,” spiega il pescatore Majed Jada. “In passato, quando potevamo ancora pescare sardine, molti dei rivenditori israeliani dipendevano da noi. Ora, a causa del limite israeliano delle tre miglia nautiche per la pesca e del divieto totale imposto da Hamas, possiamo scordarcelo tutto quel pesce.”

Una sfilza di occhi incavati, simbolo di troppe notti insonni, non ti molla un attimo. “Sono cinque mesi che non guadagniamo un centesimo,” continua il pescatore Asef Kollaba. “Abbiamo iniziato a liberarci dell’oro delle nostre mogli per avere una qualche possibilità di prestito dalla Banca Internazionale.”

Dal mare, percorrendo appena 10 chilometri, si giunge in aperta campagna. Una corsa in macchina verso sud, e una svolta a sinistra verso il confine israeliano, e di fronte a te ci sono i 300 metri di florida e bellissima terra dorata del villaggio di Khuzaa – non distante da Khan Younis. Purtroppo, essa non è accessibile ai contadini palestinesi per “ragioni di sicurezza,” a dire israeliano. Siamo nel mezzo della contesa e pericolosa buffer zone.

Embedded con le Brigate Internazionali, organizzazione i cui membri agiscono da ‘scudi umani’ per proteggere i contadini nella semina e raccolto, si procede in fila indiana e a passo felpato verso il confine israeliano. Carri armati scorrono a ripetizione lungo l’impercettibile linea divisoria, ma l’atmosfera d’insieme infonde una calma palpabile.

Uomini e donne si aiutano vicendevolmente nel duro lavoro agricolo e, per alleggerire il carico, si scambiano battute e intonano canti popolari. Nello sfondo la monotona sinfonia dei carri armati bianco-azzurri.

Nel pomeriggio un appuntamento all’Università di al-Aqsa è motivo di un rapido ritorno in città. È un’università pubblica, cioè sotto controllo statale da parte delle autorità di Hamas, e applica la completa segregazione tra generi, mentre obbliga le studentessa all’uso dell’hijab (velo).

All’interno del cancello dell’università, in un fiorito giardino, siedono ragazze assorte a sfogliare gli ultimi appunti, o a chiacchierare e ridere con le amiche. Nabila, studentessa energica e chiacchierona, è lì che si guarda intorno in cerca di te.

La legge sull’educazione appena approvata, che prevede segregazione obbligatoria dalla tenera età e divieto per gli uomini di insegnare al gentil sesso, dà motivo a Nabila di spiegare il perché la situazione attuale sia di per sé già molto tesa. “Siamo controllati 24 ore su 24 dalla polizia di Hamas,” afferma. “Ad alcune ragazze hanno imbrattato i vestiti di nero, mentre ai ragazzi è stata rasata la testa. ‘Dobbiamo essere più modesti’, non fanno che ripetere i poliziotti.”

Spesso in testa per l’assurdità e brutalità delle vicende che la coinvolgono, la Striscia di Gaza rappresenta un microcosmo completo tra una popolazione che lotta e un vertice – di due fuochi nemici opposti ma complementari – che mira a farla tacere. Con evidente insuccesso.

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