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Un Paese diviso

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Spenti i riflettori sulle elezioni e sui successivi tafferugli, il Venezuela rimane un Paese letteralmente spaccato in due

“Il Paese è diviso. Qui è come l’Italia del dopoguerra: chi non ha niente vuole avere quello che gli altri hanno. Solo che in Italia la gente ha lavorato per arrivarci, qua invece insegnano che non c’è bisogno di lavorare, che il benessere è un diritto divino e che chi ha fatto i soldi è un fetente”, afferma Guillermo Basile, 43 anni, imprenditore nel settore alimentare e figlio di italiani trasferitisi a Caracas nel 1960.

Alfredo Ascanio è un avvocato di 66 anni e secondo lui la morte di Chavez non fermerà la rivoluzione chavista: “Maduro è un genuino rappresentante della sinistra, l’ho votato perché è un prodotto della rivoluzione chavista e in quanto tale riconosce le masse come parte del popolo per il governo dello stesso”. Due posizioni diverse, due ideologie opposte che in Venezuela non ne vogliono sapere di conciliarsi. Due Paesi in uno.

Dall’immediato dopo-voto la tensione è schizzata alle stelle. Troppo risicato il margine per la destra, troppo pochi quei 265 mila voti di differenza per ammettere l’ennesima sconfitta dopo 14 anni di dominio chavista. Troppo forte la tentazione di gridare allo scandalo e denunciare brogli.

Nessuno è mai andato tanto vicino a sconfiggere il Partito Socialista Unito del Venezuela. A un mese dalle elezioni i media davano Maduro favorito con un margine di vittoria a doppia cifra. Un distacco evaporato dopo soli dieci giorni di campagna elettorale e assottigliatosi fino raccogliere il 50,8 per cento delle preferenze contro il 48,9 per cento del suo avversario.

La sera del 14 aprile, Capriles chiede a gran voce il riconteggio dei voti. Dapprima Maduro acconsente ma ben presto fa un passo indietro e chiude la porta in faccia al suo avversario. Al rifiuto del neo-presidente la gente scende in piazza. Impietoso il bollettino diramato due giorni dopo dai media governativi: tafferugli in tutto il Paese, otto morti, tutti pro-Maduro, e danni per milioni di euro.

“Non è così. I morti erano sia chavisti sia rappresentanti dell’opposizione”, confida un giornalista politico di El Universal che preferisce rimanere anonimo. Sulla stessa linea Guillermo: “Non hanno mostrato una sola immagine di quei danni. È vero la gente si è riversata in strada, chavisti e sostenitori di Capriles, ma io non ho visto la violenza che dice il governo”.

La morte di Chavez prima e il ristretto margine di voti che ha portato Nicolás Maduro alla presidenza “dimostrano la debolezza di Maduro e della leadership chavista”, analizza il giornalista di El Universal. “Più di 700 mila persone che alle elezioni di ottobre votarono per Chavez hanno scelto Capriles. Il chavismo sa di uscirne ferito e ha deciso di correre ai ripari tramite l’utilizzo della repressione. Il Venezuela è sull’orlo della sua peggiore crisi, con un inasprimento delle divisioni e della violenza”.

L’avvocato Ascanio però non ha dubbi: “I manifestanti di destra sono responsabili della morte di otto persone e del ferimento di oltre sessanta. Hanno attaccato strutture mediche e alimentari create dalla rivoluzione appositamente per il popolo”. 

In un Paese in cui una fazione accusa l’altra e non esistono media indipendenti, la verità è un concetto relativo. “Il governo ha tentato di creare una matrice di opinione basata su un presunto piano golpista che presupponeva la distruzione di beni pubblici”, confessa il giornalista di El Universal.

Tuttavia la sinistra ha vinto e il chavismo prosegue. Ma per le strade e i cantieri di Caracas la classe operaia palesa in questi giorni un entusiasmo diverso, più equilibrato. Lo ha visto Guillermo, negli occhi e nei modi dei suoi stessi operai: “Ieri sono andato in un mio cantiere, 50 operai circa. Li ho subito visti svogliati, lenti, col muso lungo. Il mio ingegnere mi ha detto che sono così da quando Maduro ha preso il posto di Chavez. Sono depressi, dicono che al supermercato non trovano più quello che trovavano prima, che gli stipendi si sono abbassati. Fino a qualche mese fa erano contenti, mi gridavano ‘sei fregato, capitalista!’, serbavano la speranza del povero che sogna una vita agiata. Non è più così”.

Venerdì il Consiglio Elettorale Nazionale ha accolto il ricorso di Capriles e ordinato il riconteggio dei voti. L’operazione richiederà 30 giorni. Un tempo enorme per un Paese che necessita risposte immediate.

“Siamo tutti venezuelani, dobbiamo considerarci fratelli”, è la speranza di Alejandro Moreno, studente di biologia a Caracas. “Il percorso di inclusione sociale avviato da Chavez sarà di grande importanza per l’unità di tutto il Sud America. Il consenso che Maduro saprà ottenere da parte del resto della popolazione passerà più dalle sue attività sociali che politiche. Servirà pazienza”.

Lorenzo Bodrero
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