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L’Ue verso lo stop ai prodotti dal “lavoro forzato”: nel mirino la Cina

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L’Ue verso lo stop ai prodotti dal “lavoro forzato”: nel mirino la Cina

La Commissione europea ha presentato una proposta di legge “per proibire i prodotti creati a partire dal lavoro forzato dal mercato dell’Unione”. Secondo il comunicato della Commissione “la proposta riguarda tutti i prodotti, vale a dire quelli fabbricati nell’UE per il consumo interno e per l’esportazione, e quelli importati, senza prendere di mira aziende o settori specifici. Questo approccio globale è importante perché si stima che 27,6 milioni di persone siano costrette al lavoro forzato, in molti settori e in ogni continente. La maggior parte del lavoro forzato avviene nell’economia privata, mentre una parte è imposta dagli Stati”. La proposta ha deluso diversi attivisti per la sua genericità. Non precisando i settori, le regioni o le aziende che ricorrono al lavoro forzato, l’identificazione dei prodotti da bandire viene lasciata nelle mani degli Stati membri, che dovranno indagare sui singoli prodotti se allertati da associazioni.

L’eurodeputato francese Raphaël Glucksmann è da anni in prima linea nella campagna contro lo sfruttamento degli Uiguri in Cina. Ieri si è detto soddisfatto sulla sua pagina Instagram, seguita da 800 mila persone “E’ fatta! La Commissione europea ha appena proposto un meccanismo per bandire i prodotti del lavoro forzato dai nostri mercati.Il testo ha delle lacune e lotteremo in Parlamento per renderlo più ambizioso e efficace, sui livelli di prove richiesti e sulle tempistiche ad esempio”. Si tratta comunque, secondo lui, di un passo importante “Quando penso alle prime reazioni della Commissione alla nostra campagna e alle nostre domande, la strada percorsa fino ad oggi è semplicemente folle…”.

Un’altra voce francese si è alzata a Strasburgo, criticando il provvedimento, è quella dei leader dei Verdi francese Jannick Jadot: “Dobbiamo fare come gli Stati Uniti e il Canada, in modo che quando c’è un sospetto, spetta all’azienda dimostrare che non utilizza il lavoro forzato nella sua produzione”. Senza un tale provvedimento i costi delle indagini ricadrebbero sugli stati membri, secondo Jadot, e creerebbero un sistema inefficiente. “Quindi, ad esempio, quando proviene dalla Corea del Nord, lo sappiamo, quando proviene da un certo numero di miniere in Africa, o da un certo numero di regioni dove lavorano i bambini e ovviamente quando proviene dalla Regione Autonoma Uigura, vietiamo le importazioni, tranne se l’azienda dimostra che anche in questa regione non ha usato il lavoro forzato”, ha spiegato a Euronews.

La misura degli Stati Uniti è considerata più un atto di guerra commerciale che un reale impegno per i diritti umani. Ma il paragone che gli osservatori hanno stabilito con la legislazione di Washington deriva anche dal fatto che diverse aziende occidentali sono state accusate di vendere prodotti fabbricati nei campi di lavoro cinesi. Proprio Glucksman ha pubblicato più volte “liste nere” di aziende compromesse, da Apple e Zara a Volkswagen.

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