Omicidio Regeni, l’impertinenza egiziana: “Non c’è motivo per iniziare un processo”
La sfrontatezza dell’Egitto sul caso Regeni va avanti senza battute d’arresto. Sono trascorsi 20 giorni da quando è iniziato il processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate a danni del ricercatore friulano e ora il governo egiziano comunica che non vi è ragione per proseguire col processo. Secondo lo stato egiziano non vi sono elementi per mandare a processo i quattro ufficiali di polizia, ovvero il generale Tariq Sabir e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Le autorità egiziane, martedì 15 giugno, hanno convocato l’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini per trasmettere i documenti ufficiali, in arabo e italiano, con le inchieste svolte in Egitto in questi 5 anni. Il Procuratore Generale si è incontrato con Cantini e il Primo Segretario dell’Ambasciata d’Italia in Egitto, Giulia Mantini, presso la sede della Procura Generale del Cairo, alla presenza dell’Ambasciatore Badr Abdel Atti.
L’Egitto prosegue nella sua posizione, affermando che “non vi è motivo di intentare un procedimento penale perché ignoto l’autore”. Nello stesso incontro, l’ambasciatore italiano ha ricevuto anche la risposta delle autorità giudiziarie keniane sollecitate dall’Egitto. I documenti prodotti dall’Egitto sono stati inoltre consegnati all’ambasciatore italiano, affinché vengano portati in Tribunale a Roma.
Già a dicembre 2020, la procura egiziana affermava: “Il Procuratore generale ha annunciato che per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto”. Una posizione che non è cambiata nonostante le indagini della procura di Roma abbiano dimostrato che gli elementi ci sono e come.