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Home » Esteri

“Noi ragazze afghane condannate a restare analfabete e prigioniere in casa”

Immagine di copertina
Credit: Zohra Bensemra - REUTERS

I talebani hanno ripristinato il divieto per le donne di frequentare medie e superiori. Le testimonianze di alunne e insegnanti raccolte da TPI nel nuovo numero di The Post Internazionale - TPI, in edicola da venerdì 1 aprile

La mattina del 23 marzo Marwa Sultan aveva lo zaino pronto per ritornare a scuola in grade 12. Era felice, perché dopo aver trascorso sette mesi senza poter studiare era pronta a riprendere in mano i suoi libri e la sua vita da studente. Quel giorno però ha trovato tutte le porte chiuse. Marwa ha 17 anni e vive a Kabul, in Afghanistan, nell’unico Paese al mondo dove le ragazze non possono più andare a scuola. «Sono davvero molto arrabbiata, ho paura che non potrò più avere un futuro nel mio Paese», confida a TPI.

S&D

Pochi giorni fa i talebani hanno annunciato che le ragazze non saranno autorizzate a frequentare la scuola secondaria, da grade 7 a 12 – quindi medie e superiori – nonostante ci fossero state delle rassicurazioni e il Ministero dell’Istruzione avesse annunciato che tutte le scuole sarebbero state riaperte per studenti maschi e femmine. Una decisione contraddittoria e dannosa per l’Afghanistan che va ad accentuare le crisi già esistenti nel Paese. E priva una generazione di donne e ragazze del diritto all’istruzione, lasciandole più esposte alla violenza e allo sfruttamento.

«Questa negazione dell’istruzione significa analfabetismo, fallimento, e rimanere indietro nel progresso», sostiene Marwa che lancia un appello sperando di poter realizzare il suo sogno di diventare un medico: «Lasciate che le ragazze afghane abbiano la libertà di studiare e imparare, dateci l’istruzione».

Anche Sara racconta quanto si senta triste perché le ragazze in Afghanistan non hanno alcun diritto come negli altri Paesi. Ha 17 anni e vorrebbe diventare una insegnante ma ora teme di essere costretta a stare a casa e non poter lavorare. «Prima di questo divieto abbiamo già dovuto accettare di avere più restrizioni sull’uniforme, alcuni cambi di materie nella scuola e meno libertà nella società, non possiamo nemmeno ascoltare tutti i tipi di musica». Come Marwa e Sara, sono decine le studentesse che si sono radunate a Kabul per protestare contro questa decisione, consapevoli dei loro diritti violati.

Molti insegnanti e alunni lo hanno scoperto la mattina stessa, il primo giorno dell’anno scolastico in Afghanistan. «Erano le 9 del mattino quando abbiamo trovato l’annuncio del Ministero dell’Istruzione talebano. Alla notizia sono rimasta scioccata e tremavo. Non riuscivo a stare in piedi e non riuscivo a fermare le mie lacrime. Nonostante la notizia sono andata a scuola perché il mio turno era il pomeriggio. Lì ho trovato le ragazze dietro le porte chiuse della scuola, alcune di loro in lacrime e molto preoccupate per la situazione. Alcune parlavano di lasciare il Paese», ricorda Tamana Qadiri, insegnante di materie islamiche alla Wahdat Girls High School di Kabul. «Mia figlia che è in grade 9 ha pianto disperatamente e non ha mangiato tutto il giorno, è stata a guardare i suoi libri e il suo zaino».

I talebani hanno detto che avrebbero aperto le scuole e poi le hanno chiuse, perché questa inversione di marcia? «Non sono fedeli alle promesse che hanno fatto al popolo afghano, continuano a mentire a noi e al mondo», spiega l’insegnante. «Non consentono alle donne di andare al lavoro o di studiare. Sembra che siano contrari all’educazione e alla libertà delle ragazze. È invece indispensabile che studino perché quando un ragazzo viene educato una persona viene educata, ma quando una ragazza viene educata una famiglia intera viene educata. Se le ragazze non ricevono un’istruzione, come cresceranno i loro figli in futuro?». La decisione comporterà delle conseguenze a lungo termine se non ci saranno dei cambiamenti. «Per me è molto dolorosa e significa che metà del popolo afghano dovrà essere analfabeta e rimanere nell’oscurità. Perché le donne in Afghanistan non hanno gli stessi diritti degli uomini».

Promesse non mantenute

Anche K. Hashimi insegna da venticinque anni geografia e storia nelle classi da grade 10 a 12. Racconta a TPI di essersi preparata per la scuola la sera prima e di essere molto felice di rivedere le sue studentesse dopo la lunga pausa, ma quando ha ricevuto la notizia per lei è stato uno shock. «Quando sono arrivata quel giorno a scuola ho pensato fosse un incubo. Le guardie non permettevano alle ragazze di entrare a scuola e la maggior parte piangeva. Non capisco qual è il problema. Le scuole femminili e maschili sono separate a Kabul e nelle province, e la maggior parte degli insegnanti per ragazze sono donne o anziani. Anche il problema delle uniformi non sembra esistere. Forse la maggior parte della leadership è semplicemente contraria all’istruzione delle ragazze e al lavoro delle donne, e ciò significa mettere le ragazze nelle case come in una prigione e tenerle analfabete».

C’è un ampio consenso tra le attiviste per i diritti delle donne e gli osservatori internazionali sul fatto che non ci sia una giustificazione legittima per la chiusura delle scuole femminili. Anche l’Unione europea ha affermato che non c’è alcuna giustificazione culturale o religiosa e viola non solo il diritto fondamentale all’istruzione ma anche diversi accordi internazionali sui diritti umani di cui fa parte anche l’Afghanistan, oltre a essere in contraddizione con l’impegno dell’Emirato islamico. «Questa decisione erode ulteriormente le possibilità dei talebani di ottenere la legittimità interna che cercano, che dovrebbe essere guadagnata da un governo inclusivo e responsabile piuttosto che attraverso l’uso della forza e della violenza», si legge nella dichiarazione. Secondo gli esperti queste decisioni sono un segno di profonde divisioni all’interno del gruppo sulla futura direzione del governo in Afghanistan. Nel frattempo anche gli Stati Uniti hanno annullato gli incontri con i talebani a Doha organizzati per affrontare questioni economiche importanti.

«Dieci milioni di studenti tra maschi e femmine erano pronti a tornare a scuola, non sappiamo da chi dipenda questa decisione e cosa sia successo perché non è stata data nessuna motivazione. Anche osservando le reazioni sui social media, la maggior parte degli afghani, e anche alcuni favorevoli ai talebani, sono contrari a questa imposizione e hanno enfatizzato quanto sia indispensabile l’istruzione. Di fatto però chi l’ha presa vuole che le ragazze rimangano nell’ombra e non si emancipino così da poter fare ciò che vogliono e decidere delle loro vite». È quanto sostiene Saeeq Shajjan, avvocato afghano che fa parte di Afghanistan Rights Watch, la rete di avvocati che monitorano i diritti umani degli afghani con l’intento di tutelarli. «Sia le ragazze che i ragazzi sanno molto bene che l’istruzione è ciò che fa la differenza in questa società e contribuisce a creare un Afghanistan migliore, e una vita migliore per se stessi e le proprie famiglie».

È vero che in molte zone rurali del Paese le persone sono riluttanti a mandare le figlie a scuola? «In alcune zone del Paese le famiglie non permettono alle ragazze di andare all’università dopo aver terminato le scuole perché gli alloggi per studenti non sono molto buoni, perché starebbero lontano dalle loro famiglie, o perché non possono permetterselo economicamente. Ci sono anche famiglie molto conservatrici, contrarie a mandare le loro figlie in delle scuole miste dove ci sono anche i maschi. In questo caso dovrebbero avere la possibilità di poter scegliere e poter andare magari in una scuola di sole femmine così che possano comunque continuare a studiare».

Nuovi e vecchi talebani

Quando i talebani presero il controllo del Paese a metà agosto, mentre gli Stati Uniti ritiravano le loro truppe dopo venti anni di guerra, il timore della comunità internazionale era che avrebbero imposto gli stessi editti repressivi di quando in precedenza governavano l’Afghanistan dal 1996 al 2001. Periodo in cui imposero un regime estremamente autoritario e repressivo e resero la vita impossibile alle donne, vietando loro l’istruzione e la maggior parte delle occupazioni. E così è stato: da quando sono al potere hanno emanato delle linee guida che impongono una dura segregazione di genere e nuove regole di condotta e abbigliamento per le donne. Ora non solo è vietata loro l’istruzione ma anche la possibilità di prendere un volo aereo se non accompagnate da un parente maschio. I talebani hanno anche ordinato di sospendere le trasmissioni dei media internazionali e le serie drammatiche straniere. Ma non è tutto: hanno imposto a uomini e donne di visitare i parchi pubblici solo in giorni separati e imposto il divieto a utilizzare i cellulari nelle università.

«Questi talebani sono diversi nella struttura rispetto al ’96: c’è una fazione più moderata e più disposta nei confronti dell’Occidente ma continua a esserci anche una leadership integralista», spiega Luca Lo Presti presidente di Pangea, la Onlus che da venti anni si occupa di favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne. «Nelle settimane precedenti a questo divieto soltanto a Kabul sono state trovate sei ragazze che erano state legate, stuprate e uccise e messe di fronte alle scuole. È un’intimidazione ed è chiaro che anche se dovessero riaprirle un padre di famiglia ci pensa bene a mandare la propria figlia a scuola perché teme anche delle ritorsioni».

Nel quartiere periferico di Kabul, Arzan Quema, Pangea gestisce una scuola per ragazze e ragazzi sordi dai 3 ai 18  anni. «Quest’anno per la prima volta le ragazze sorde avrebbero potuto accedere all’università ma con questo divieto non potranno più studiare. Stiamo nascondendo e proteggendo anche moltissime donne con figli, che sono giornaliste o avvocate».

Una spinta verso il passato

La crisi umanitaria ed economica in Afghanistan è peggiorata da quando i talebani hanno preso il potere. «L’economia nel Paese è completamente bloccata. I talebani hanno difficoltà economiche e le banche sono ancora chiuse. Ci sono 28 milioni di persone che potrebbero morire di fame e molti che vorrebbero andare via ma i corridoi umanitari non sono stati riaperti».

I media riportano che la spinta a tornare al passato con questo divieto possa essere emersa da un incontro di tre giorni la settimana precedente a questa decisione nella città meridionale di Kandahar, il luogo di nascita dei talebani. E che gli editti derivino dalle richieste del leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada, che apparentemente sta cercando di riportare il Paese alla fine degli anni Novanta, quando i talebani avevano bandito le donne dall’istruzione e dagli spazi pubblici e messo fuori legge la musica, televisione e molti sport.

Ma c’è anche chi ritiene che i talebani lo facciano per fare pressione sulla comunità internazionale affinché dia loro qualcosa in cambio di un riconoscimento nei confronti delle donne. Un’intransigenza che sembra voglia portare il Paese indietro nel tempo e un altro passo repressivo contro il popolo afghano.

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