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Cosa ci insegna la rivolta delle donne polacche contro il divieto di aborto

Immagine di copertina
Le proteste contro la sentenza della Corte costituzionale polacca. Credits: Attila Husejnow/SOPA Images via ZUMA Wire

La pandemia da Covid-19 non ha certo fermato i vari governi populisti, che hanno dimostrato maggiore attenzione nel promuovere i propri obiettivi invece di prendere adeguate misure per proteggere la salute del ‘popolo’ di cui si fanno paladini. Approfittando dell’attenzione dovuta alle questioni sanitarie, diversi leader populisti non hanno esitato a introdurre rigide restrizioni alle libertà, come Modi in India, o perfino farsi approvare una costituzione su misura, come Orbán in Ungheria.

S&D

Uno dei più recenti esempi in proposito è stata la sentenza del 22 ottobre scorso della Corte costituzionale polacca, un’istituzione sotto lo stretto controllo governativo, che ha dichiarato illegale l’aborto in caso di gravi malformazioni del feto.

Non è la prima volta che le autorità polacche cercano di limitare, se non del tutto abolire, il ricorso all’aborto nel loro paese. La Polonia ha una delle legislazioni più restrittive in materia, tanto che il diritto all’aborto, almeno finora, è permesso soltanto in tre casi: rischio per la vita o la salute della donna; atto di violenza (stupro o incesto, ad esempio); gravi malformazioni del feto. Tuttavia le prime due fattispecie rappresentano soltanto il 2,4% dei circa 1.100 aborti effettuati ogni anno in Polonia (Financial Times, 31 ottobre 2020). Dichiarare incostituzionale l’aborto in casi di gravi malformazioni del feto equivale quindi a una sostanziale messa al bando dell’aborto.

La sentenza della Corte costituzionale polacca ha immediatamente provocato un’ondata di proteste. Per circa due settimane, migliaia di donne polacche in decine di città hanno organizzato scioperi, inscenato proteste, marciato per le strade in quelle che, secondo i giornalisti del New York Times, sono state le dimostrazioni più imponenti dalla caduta del regime comunista nel 1989 (New York Times, 30 ottobre 2020). Se allora la Polonia cercava di scrollarsi di dosso l’oppressione di un regime autoritario, oggi reagisce all’arroganza di un potere nazional-populista d’ispirazione clericale.

Le autorità polacche si sono dimostrate confuse e impacciate nel reagire a una protesta popolare che non si aspettavano. Se la Corte costituzionale ha posticipato la pubblicazione della sentenza del 22 ottobre che la renderebbe legalmente effettiva, il presidente polacco Andrzej Duda ha proposto di rendere illegale l’aborto soltanto in caso di malformazione potenzialmente mortale per il feto.

Come ci si poteva aspettare, una tale proposta ha scontentato un po’ tutti. Se il presidente della Conferenza episcopale polacca, l’arcivescovo Stanisław Gądeckidalla, ha dichiarato che essa equivale a “una nuova forma di eutanasia” (Catholic News Agency, 04 novembre 2020), gli organizzatori delle proteste di piazza non si sono fatti dissuadere. Anzi.

Sembrerebbe che le proteste contro la sentenza della Corte costituzionale si stiano trasformando da manifestazioni di piazza in un movimento di protesta ben più ampio e organizzato. Come spiega un messaggio sulla pagina Facebook di Ogólnopolski Strajk Kobiet (Sciopero di tutte le donne polacche), il movimento che ha principalmente organizzato le proteste, “l’aborto è chiaramente diventato un simbolo della lotta per la libertà”. Le persone che hanno sfilato nelle strade, continua il post, hanno urlato in favore dei diritti delle persone non-eterosessuali, per riaffermare l’indipendenza della corte costituzionale, per rimuovere l’influenza religiosa dalle scuole.

I prossimi mesi ci diranno che cosa accadrà. Per il momento, tuttavia, le proteste delle donne polacche ci possono suggerire tre osservazioni, che hanno una rilevanza che va ben oltre la politica polacca.

Primo: ancora una volta, quella perversa mistura di nazional-populismo e conservatorismo religioso rischia spesso di sfociare in misure restrittive delle libertà e lesive della dignità. Come sottolineava un documento pubblicato dal Consiglio d’Europa nel dicembre 2017, limitare i diritti riproduttivi, soprattutto tramite regressive legislazioni sull’aborto, equivale ad una violazione della dignità umana.

Quando non abbiamo la possibilità di prendere in piena autonomia delle decisioni sul nostro corpo e quando qualcuno ci dice che cosa fare o non fare con esso, non viene meno solo la nostra libertà e la nostra salute, ma anche la nostra dignità. E queste conseguenze, ahinoi, vengono maggiormente avvertite dalle le donne delle classi sociali più deboli, coloro che non si possono permettere un viaggio in una clinica di un paese estero nel quale l’aborto è permesso, ma devono ricorre a pratiche clandestine, spesso gestite da intermediare senza scrupoli. Scrivere di questo può sembrare banale, ma è sempre opportuno ricordarlo quando si parla di aborto per evitare che la discussioni in materia rischino di risultare un po’ astratte.

Secondo: sebbene Giorgia Meloni abbia ragione nel ricordarci che dovremmo fare i conti con i populismi ancora a lungo, sembra di dimenticarsi come i vari governi populisti siano molto più fragili di quello che vorrebbero far credere. Spesso la loro tracotanza può perfino trasformarsi in un boomerang. La marcia indietro del governo polacco ne è un esempio.

Terzo: le donne polacche hanno dimostrato un coraggio civile come pochi altri. Malgrado le difficoltà dell’attuale situazione sanitaria, l’arroganza del governo populista al potere, il diffuso conservatorismo sociale di quel paese, hanno sfidato l’ennesimo tentativo di limitare le loro libertà. In tal senso, esse sono un esempio per tutti coloro, dal Brasile alla Federazione Russa, dall’India alla Vecchia Europa, che si trovano a fronteggiare politiche populiste rivolte a limitare i diritti civili e politici faticosamente conquistati.

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