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Home » Esteri

Nicaragua, così il governo reprime nel sangue le proteste: torture, sparizioni, sequestri

Immagine di copertina
Le manifestazioni di protesta in Nicaragua

Dal 18 aprile 2018,il caos regna in Nicaragua, con una stima di morti che oscilla fra i 300 e i 450, a seconda della fonte. Per il governo, i morti sono solo 197. Il reportage di TPI da Managua

Iacopo Luzi da Managua – Strade deserte, negozi chiusi, ristoranti che serrano i battenti dopo il tramonto, pochissime persone in giro. Sembra la descrizione di una città fantasma, eppure è questa la realtà che vivono le persone di Managua, capitale del Nicaragua, da quattro mesi a questa parte.

E la cosa non migliora nel resto del paese, anche città turistiche come Granada, sulle sponde del lago Cocibolca, dopo il tramonto si trasformano. Un tempo le persone facevano festa fino a notte inoltrata, i negozi stavano aperti quasi a tutte le ore e l’economia andava a gonfie vele, mentre ora regna solo il silenzio, l’oscurità delle luci distrutte e la paura.

Credit: Iacopo Luzi

Dicono che le cose stiano lentamente migliorando e, dal 19 di luglio 2018, il governo del presidente Daniel Ortega ha dichiarato che il paese è tornato alla normalità, dopo che negli ultimi mesi,  precisamente dal 18 aprile 2018, il caos aveva regnato in Nicaragua, con una stima di morti che oscilla fra i 300 e i 450, a seconda della fonte.

Tuttavia, per il governo, i morti sono solo 197. Senza contare i “desaparecidos”, le persone scomparse di cui non si sa più nulla,  il numero dei feriti supera quota 2.500.

Credit: Iacopo Luzi

 

Sembrerebbero i numeri di un conflitto o di una guerra civile, eppure sono solo le cifre di una protesta, iniziata come rifiuto di una riforma delle pensioni, e tramutatasi, dopo le prime vittime, in una dura opposizione che chiede, con le buone o le cattive, le dimissioni di Ortega, ormai accusato di aver tramutato il paese in una dittatura, e di anticipare le elezioni, che si dovrebbero tenere nel 2021.

Una protesta che ha visto gli studenti delle università, prima di tutti, scendere per le strade e manifestare, arrivando addirittura a occupare le università come la UNANA e il Politecnico del Nicaragua, fra le più grandi della nazioni, per sperare in un cambio.

Credit: Iacopo Luzi

Senza contare “los tranques”, le barricate di mattoni erette in tutto il paese che avevano paralizzato il Nicaragua e fatto fuggire i turisti in massa. Per esempio, Masaya, una piccola cittadina a 25 chilometri da Managua, era diventata uno dei baluardi dell’opposizione con la polizia incapace di entrare, a giugno, nella città per più di due settimane, riuscendola a “liberare” dalle barricate solo a metà luglio. 

Credit: Iacopo Luzi

Ligia Gonzalez, una residente di Masaya, rivela: “Sono rimasta chiusa in casa per tre settimane, sperando che questo incubo finisse”. E persino lei, un’orteghista, ossia una sostenitrice del presidente, arriva a dire che tutto ciò che è accaduto e sta ancora accadendo nel paese è una follia senza senso, un mero spargimento di sangue.

Il 18 agosto sono passati 4 mesi esatti dall’inizio di una delle proteste più grandi e sanguinose della storia nicaraguense, con il governo che, dopo aver ripreso possesso del paese, delle università, delle strade, si è messo alla caccia di tutte quelle persone che hanno osato protestare e opporsi.

Un vero rastrellamento o, come afferma Axell O’Connor, uno dei leader studenteschi e ideatore dell’occupazione della Unan, “una caccia alle streghe” per farla pagare a chiunque abbia deciso di opporsi al governo.

Credit: Iacopo Luzi

Chi non è stato già arrestato e condannato a 25 anni di prigione, cerca di lasciare il paese, se può, oppure resta nascosto, senza mai fermarsi in un posto per più di pochi giorni e sfruttando le ombre della notte per uscire, sperando che nessuno abbia fatto la spia o si sia accorto che “un golpista terrorista” (così li ha definiti Ortega e la sua firstlady/vicepresidente Rosario Murillo) si stia nascondendo nel suo quartiere.

Le malelingue credono che sia proprio la moglie di Ortega, la presidente in pectore, colei che muova i fili di tutto, sognando di prendere il posto del marito un giorno.

Altre voci, confermate personalmente anche da un pezzo grosso dell’impresa privata del paese come Josè Adan Aguirre, capo della Cosep, affermano che il governo sia con l’acqua alla gola e che la crisi economica stia per far pagare pegno a tutti, anche ai fedelissimi dello stato.

Secondo Aguirre, Ortega potrebbe essere costretto a lasciare il potere a breve. Tuttavia, nessuna fonte ufficiale conferma la possibilità.

È un dato di fatto che il turismo sia crollato ai minimi termini, con una perdita economica del paese che potrebbe arrivare a miliardi di dollari entro la fine dell’anno, se le cose non cambieranno, mentre il numero dei disoccupati supera i 200.000, secondo la Fondazione nicaraguense per lo sviluppo economico.

Il commercio è stato affetto per il 70 per cento e la fortuna di molti nicaraguensi sono, attualmente, i soldi che i compatrioti all’estero, specialmente dagli Stati Uniti, spediscono a casa. Le file alle banche o ai negozi delle società di trasferimento di denaro sono sempre lunghe e incominciano dal mattino presto.

Stesse file che si vedono all’ufficio d’immigrazione dove, centinaia di persone, fanno la coda per poter ricevere un passaporto con il quale, possibilmente, lasciare il paese in maniera legale.

Credit: Iacopo Luzi

Chi non può, come molti degli studenti e delle altre persone che hanno protestato, tenta di scappare in Costa Rica o in Honduras attraverso quelli che vengono chiamati “Punti ciechi”, dei passaggi illegali dove, pagando un “Coyote”, ovvero un trafficante, si può uscire dal paese.

Sempre che la polizia, i paramilitari, o l’esercito non li scoprano, altrimenti sarebbero guai.

Murdock, questo il suo nome di codice usato nelle chat di Whatsapp fra i manifestanti, è uno studente di giurisprudenza della UNAN,  che è riuscito a scappare in Costa Rica, fino a San José; ora sta bene, ma a qualche chilometro alla frontiera sud di Peñas Blancas, nelle montagne, era stato fermato insieme ad altri studenti dai militari nicaraguensi, fatto entrare dentro una casa di guardia, denudato e picchiato quasi a morte.

Per poi lasciarlo libero, dicendogli: “Non tornare mai più in Nicaragua, o non sarai così fortunato”. 

Non che gli studenti siano gli unici che cercano di scappare: sono centinaia le persone che ogni giorno cercano di lasciare il paese. Autobus strapieni giungono alla frontiera, fanno scendere le persone e ripartono.

Credit: Iacopo Luzi

Chi arriva, si guarda un po’ intorno, e va verso la dogana, una piccola parte, il resto s’imbosca nella foresta, magari affittando degli stivali di gomma per guadare il fango e l’acqua da qualche coyote, per attraversare il confine illegalmente.

Il tutto sotto gli occhi inermi e oziosi dell’esercito che, dopo averci fermato perché stavamo ficcando il naso dove non dovevamo, attraverso le parole di un colonnello con qualche chilo di troppo, rivela: “Non possiamo mica bloccare delle persone che cercano solo di farsi una vita”.

L’importante è non stare nelle loro liste nere. 

Credit: Iacopo Luzi

I paramilitari, chiamateli pure forze parapoliziali, sono uno dei motivi per cui la violenza, negli ultimi quattro mesi, ha avuto picchi spaventosi.  C’è chi sostiene che siano militari e poliziotti in abiti civili, altri credono siano solo cittadini che, a sostegno del presidente Ortega, abbiano imbracciato le armi per difendere la patria.

Il governo nega che siano associati con le forze di polizia, ma a un posto di blocco poco fuori Managua, era abbastanza surreale la situazione nella quale ci siamo imbattuti: una pattuglia della polizia con, poco più in là, tre persone armate di AK-47, senza alcun distintivo, e la testa coperta da un passamontagna con l’immagine di un teschio.

I paramilitari sono stati accusati di aver ucciso, torturato, sequestrato, fatto sparire persone e compiuto le efferatezze più atroci. Pare facciano il lavoro sporco che le forze dell’ordine non possono fare, specie di notte, dove vanno in giro a bordo di pick-up, rastrellando le strade, entrando nelle case degli individui sospetti o accusati di aver fomentato le proteste. 

 

C’è poco da dire: la gente ha paura e per questo preferisce non uscire di notte. Meglio evitare i guai.

Anche la delinquenza ha raggiunto picchi elevati dal 18 di aprile in poi, anche perché, durante i primi tentativi di dialogo fra il governo e “l’opposizione” (trattative di pace che sono poi naufragate e al momento sono in fase di stallo senza che nessuno sappia quando e se riprenderanno) una delle richieste dei manifestanti era stata quella di non far uscire pattuglie della polizia nella notte, affinché si evitassero rastrellamenti, ulteriori repressioni e scontri.

Credit: Iacopo Luzi

Questo ha portato all’anarchia durante la notte, con chiunque legittimato a saccheggiare negozi, rubare, aggredire,  anche se, Houston Castillo, giornalista nicaraguense, sostiene che siano stati gli stessi paramilitari a compiere atti criminali per creare il caos nel paese e far salire la tensione.

“Se sale la tensione, è più facile controllare la situazione”, sostiene Castillo.

La situazione in Nicaragua non è la normalità, o per lo meno non è la normalità che precedeva la metà di aprile, quando incominciò tutto.

Credit: Iacopo Luzi

 

I media non allineati al governo vengono presi di mira, censurati, minacciati. In molti casi aggrediti fisicamente e privati/rapinati delle loro attrezzature.

È della settimana scorsa, la notizia che il direttore di Canal 10, Carlos Pastora, abbia dovuto chiedere asilo all’ambasciata dell’Honduras per evitare ritorsioni e minacce di morte. Il governo aveva tentato di controllare la linea editoriale del canale e Pastora si era rifiutato categoricamente, mettendo la sua vita in pericolo.

Emblematica una marcia dell’11 di agosto nella capitale, organizzata dai sostenitori di Ortega. La televisione statale mostrava migliaia di persone che marciavano, mentre la realtà era ben diversa: eravamo fisicamente alla manifestazione e ci saranno state meno di mille persone. A quanto pare, i canali del governo stavano mandando video e foto di una marcia dell’anno passato, solo per far vedere che le persone appoggiano Ortega.

Anche la Chiesa Vaticana è presa di mira, nonostante abbia un ruolo di mediatore all’interno del dialogo di pace fra il governo e gli oppositori.

Lo Stato accusa i preti e i vescovi di appoggiare i manifestanti e diversi sacerdoti sono stati aggrediti e le loro parrocchie distrutte.

Basti pensare all’Iglesia della Divina Misericordia di Managua, che il 13 luglio, è stata luogo di un assedio durato 40 ore, solo perché padre Raul Zamora aveva dato asilo a più di 160 studenti in fuga dall’università UNAN, luogo che era stato occupato e poi liberato dalle forze governative.

Un assedio portato avanti dai paramilitari che, con visori notturni, proiettili traccianti e puntatori laser avevano sparato ininterrottamente dentro la chiesa per uccidere.

Quando padre Zamora è uscito con le mani in alto per cercare di fermare l’attacco, è stato accolto solo dai proiettili, mentre a un mese di distanza da quelle 40 ore, la chiesa porta ancora i segni sui muri e le finestre degli spari. Un’immagine di Gesù Cristo attira l’attenzione: il suo corpo crivellato completamente di fori.

Una domanda sorge spontanea: chi ha fornito armi tanto sofisticate ai paramilitari? Perché la polizia aveva chiuso l’accesso alla zona della chiesa, affinché nessuno potesse entrare, neanche alle ambulanze affinché soccorressero i feriti?

Ovviamente, è possibile intuire quali siano le risposte, sebbene manchino le prove.

Il Nicaragua continua a vivere la sua normale anormalità, le persone scendono per strada quasi ogni giorno, marciando e chiedendo un cambiamento. Il governo, a ogni marcia, risponde con una contromarcia, obbligando spesso i lavoratori statali a manifestare per fare numero. Le università continuano a restare chiuse e, le poche aperte, sono desolate.

Credit: Iacopo Luzi

Il messaggio è chiaro per molti nicaraguensi: niente e nessuno tornerà alla normalità, fino a che Daniel Ortega sarà presidente. Anche se, va detto, le persone stanno tentando di tornare, molto lentamente, alla vita di prima. Quasi per sopravvivenza.

Catherine Avedo, giovane nicaraguense, confessa: “Temo che le persone a lungo andare dimenticheranno tutto, se nulla cambierà. Faranno finta che nulla è successo, che nessuno sia morto, solo perché questa è l’unica maniera per poter andare avanti”.

Mentre gli studenti scappati dal paese, come Axel O’Connor, dicono: “Ci stiamo organizzando per tornare nel paese e ricominciare la rivoluzione. Non è ancora finita.”

Credit: Iacopo Luzi
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